Il laburista Albanese batte Dutton, il tycoon in formato ridotto

La riconferma del premier era insperata fino all'arrivo di Trump alla Casa Bianca. È il primo che ottiene due mandati consecutivi in due decenni. Il rivale conservatore ha perso il seggio.
May 2, 2025
Il laburista Albanese batte Dutton, il tycoon in formato ridotto
Afp | Il premier australiano Anthony Albanese festeggia la vittoria a un evento elettorale a Sidney
L’anti-trumpismo, all’estero, paga. Va letta così la storica vittoria, in Australia, del laburista Anthony Albanese, alle elezioni politiche. Fino a dicembre scorso, il leader della sinistra australiana, titolare del governo uscente, era dato dai sondaggi come perdente. L’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, a gennaio, e il polverone sollevato dalle controverse politiche della sua Amministrazione sono diventate per Albanese l’asso nella manica con cui recuperare i consensi e stravincere la consultazione per il rinnovo del Parlamento federale in ogni Stato. Il suo principale rivale, il conservatore Peter Dutton, presentato all’opinione pubblica come un tycoon in miniatura che, in perfetto stile Elon Musk, avrebbe fatto a pezzi l’apparato statale, è stato, letteralmente, fatto fuori: non è riuscito neppure a mantenere il seggio di Dickson, nel Queensland, in cui era stato eletto per 24 anni.
L’anti-trumpismo è del resto ciò che, la scorsa settimana, ha portato anche alla vittoria, in Canada, dell’ex banchiere liberale Mark Carney.
«Non abbiamo bisogno di prendere modelli di leadership in prestito. Non cerchiamo ispirazione all’estero. La troviamo qui, nei nostri valori e nella nostra gente» ha sottolineato Albanese a suggellare la sua storica impresa. Negli ultimi 21 anni, nessun altro premier australiano era mai riuscito a infrangere la “maledizione del primo mandato” inanellandone due di seguito. Ci vorranno giorni prima che la Commissione elettorale australiana pubblichi i risultati definitivi della tornata elettorale che ha chiamato alle urne, da un lato all’altro del Paese attraversato da tre fusi orari, 18 milioni di persone.
Secondo i primi conteggi, il partito Laburista si appresta a a portare alla nuova Camera dei rappresentanti almeno 84 depurati su 150 seggi totali. La scorsa legislatura ne aveva 77. Il conservatore Dutton, il leader della coalizione Liberal-Nazionale che aspirava a diventare premier, ha ammesso la sonora sconfitta: «Me ne assumo – ha detto – la piena responsabilità». Poi, però, ha provato a difendersi. «L’immagine che gli avversari hanno restituito al Paese del nostro partito durante la campagna elettorale – ha puntualizzato – non è vera». Non sono tuttavia passati inosservati i proclami intrisi di trumpismo allo stato puro che hanno animato la sua campagna. La senatrice Jacinta Price, designata al ministero per l’Efficienza Governativa (proprio come quello di Musk), si è spinta fino a promettere che la coalizione avrebbe «reso di nuovo grande l’Australia». Parafrasi del mantra caro al tycoon “Make America Great Again”.
Ci si chiede adesso cosa ne sarà della “mateship”, per usare uno slang più australiano, che da tempo tiene legate Washington e Canberra. Tra i primi a congratularsi con Albanese per il pieno di voti c’è stato Marco Rubio, numero uno della diplomazia a stelle e strisce, mandato avanti dalla Casa Bianca a ricordare che l’Australia è per gli Stati Uniti «un’alleata e un’amica preziosa». La nota diffusa dal Dipartimento di Stato ha sottolineato anche l’auspicio a «rafforzare le relazioni per promuovere gli interessi comuni e promuovere libertà e stabilità nella regione dell’Indo-Pacifico e nel mondo». Distinguo che conferma l’interesse ad avere nell’emisfero australe un partner affidabile su cui contare per tenere a bada la Cina.
Gli Usa condividono con l’Australia, oltre all’alleanza di intelligence “Five Eyes”, il programma di difesa Aukus. «Che cos’è?», si chiedeva a febbraio Trump mentre riceveva il premier britannico Starmer nello Studio Ovale. Dopo una breve spiegazione di un collaboratore, incalzato sul futuro dell’intesa, il presidente, che ha “graziato” gli amici australiani dalla guerra commerciale imponendogli dazi “solo” al 10%, ha promesso: «Ne riparleremo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA