«I migranti accerchiati»: nel Mississippi lo spettro di un nuovo razzismo
di Francesco Castagna, Jackson (Mississippi)
Con l’approvazione del Laken Riley Act, che prevede la detenzione o la deportazione, chi non possiede documenti è ancora più in difficoltà. Bailey è un’assistente sociale in prima linea: «Dobbiamo vincere la sfiducia»

Negli Stati Uniti di Trump è una corsa a salvare il salvabile sui temi sociali. Dopo l’approvazione del Laken Riley Act, che prevede la detenzione o la deportazione dei migranti, chi entra fuori dai canali ufficiali è ancora più in difficoltà. È un sistema sbagliato a monte che gli americani difficilmente comprendono, spiega Bailey, un’assistente sociale di una scuola del Mississippi. Lo dimostra la risposta che danno: «Capiamo che sono dovuti partire, ma non possono venire qui illegalmente, devono tornare indietro e farlo nel modo giusto». Per lei è ridicolo: «Le modalità sono ingiuste: richiedono anni e denaro». Si respira una profonda sfiducia: i migranti si chiudono e gli americani percepiscono le barriere culturali e linguistiche come minaccia. Ogni giorno Bailey prova ad avvicinare mondi troppo distanti, in uno scenario che è un mix di povertà, razzismo sistemico e disconnessione tra scuola e comunità.
«La scuola è composta per quasi un quinto da immigrati, molti sono privi di documenti», spiega, e aggiunge: «Costruire un rapporto con le famiglie che non parlano inglese è impegnativo. C’è diffidenza verso di noi, perché non si sa mai chi potrebbe chiamare l’Immigrazione (Ice)». Così, come assistente sociale, si impegna nel creare legami profondi con genitori e studenti: lo sviluppo di gruppi simili a quelli di auto-mutuo aiuto contribuisce alla sensibilizzazione sul tema e al coinvolgimento della cittadinanza. Tutto sommato, il suo distretto è tra i più “fortunati”: è previsto un assistente sociale per ogni scuola elementare e consulenti per le classi superiori. «Ho tre figli, due frequentano l'università e dipendono dagli aiuti federali per pagare le rette. Senza fondi non potrebbero frequentare», ammette. Il terzo riceve un sostegno per le difficoltà di apprendimento diagnosticate e rischia di perderlo a causa della chiusura del Dipartimento», spiega Bailey. Ora lavora con una mamma immigrata senza documenti. O meglio, quelli per l’immigrazione temporanea li aveva, ma l’amministrazione li ha annullati.
Isabela (nome di fantasia a tutela) viene dall’Honduras. Ha deciso di emigrare per due ragioni: la sua salute fisica è a rischio e il suo Paese è in preda al dominio delle gang. «Non è una criminale e non è in cerca di carità». Prima di arrivare era un’insegnante in cerca di un futuro migliore per la sua famiglia. «Vorrei che più persone vedessero il suo volto e sentissero la storia di chi vuole e merita un futuro migliore». Quando è arrivata in Mississippi, è stata accolta da un’amica. Le spese sono molte, ma nessuno le dà né fiducia né un impiego. «Sono scettici. Io mi presento di persona, un volto e un sorriso fanno molto più di un titolo di assistente sociale», spiega Bailey, che si è persino organizzata per assistere alle partite di calcio o ai saggi dei suoi studenti. Ha anche creato un gruppo a scuola in cui i bambini parlano delle loro famiglie. Tempo e pazienza sono la chiave: va nei quartieri in cui vivono, fa spesa per loro, parla la loro lingua. Lì incontra Isabela, che vive impaurita sempre in casa. «Abbiamo paura di uscire per fare ogni cosa. Il rischio è che ci rimandino a casa». Con un figlio di dieci anni, senza formazione per diventare un futuro professionista, dice che tutto avrebbe voluto, tranne che emigrare. «Nel mio Paese mancano molte cose, soprattutto la sicurezza. Sono una persona onesta a cui è sempre piaciuto lavorare. Non voglio dire che non esistano persone cattive, ma non siamo tutti malintenzionati o criminali». Quindi, il Paese che fonda la sua storia sull’immigrazione di cosa ha paura? «È la domanda del secolo”, dice Bailey, che prova a rispondere: «La mia conclusione è che gli americani sono stati a lungo etnocentrici con un patriottismo smisurato. La prima potenza mondiale, la nazione guidata da Dio. Ma il mondo si è evoluto, altri Paesi ci hanno raggiunto. Ora che siamo connessi digitalmente, la paura delle vecchie generazioni di essere lasciate indietro provoca rabbia e sfiducia e, beh, eccoci qui».
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