I bambini soldato del Sudan che nessuno vede

La denuncia del Cesvi si aggiunge a quelle delle altre Ong. Si aggrava la crisi umanitaria nel paese in guerra
December 1, 2025
I bambini soldato del Sudan che nessuno vede
Una madre con il figlio in fuga attraverso il confine con il Ciad / REUTERS
Dopo il genocidio, lo stupro usato come arma di guerra, i massacri a sfondo etnico di civili in Darfur, agli orrori nascosti del conflitto sudanese si aggiungono i bambini soldato usato come carne da cannone. Lo conferma un testimone come il Cesvi, ong italiana da oltre un anno presente nella nazione dilaniata da due anni e mezzo di guerra civile, dove cura i soggetti più fragili per ora nella parte settentrionale del grande Paese africano. «Questa guerra è esplosa in un momento– spiega Stefano Piziali, direttore generale di Cesvi – in cui la comunità internazionale era distratta da altri conflitti. Come spesso accade, dietro i contendenti ci sono altri Paesi e quindi c’è chi spera che questo conflitto continui con la vittoria o dell’una o dell’altra parte. Con le Nazioni Unite così deboli diventa difficile che le cosiddette guerre dimenticate vengano affrontate e risolte».
In tutto il Sudan la situazione umanitaria è sempre drammatica: quasi una famiglia su due sperimenta bisogni non soddisfatti in materia di sicurezza alimentare e mezzi di sussistenza, mentre circa una su dieci non riesce a coprire i bisogni nutrizionali di base. E milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile. Come racconta Amel, 16 anni, sfollata nel campo di Wadi Halfa, dove lavora il Cesvi. L’acqua arriva poche ore a settimana, le cisterne non bastano e molte adolescenti evitano di bere dopo il tramonto per paura di dover uscire la notte verso latrine buie e insicure. «L’acqua che beviamo è poca e ci fa ammalare – racconta rassegnata – e a volte è sporca, ha un cattivo odore. Ma non abbiamo alternative. Quando riempio un secchio penso sempre se questa acqua farà ammalare me o i miei fratelli». Nel dramma di una generazione che di under 18 che per la metà è costretta a non andare a scuola si innesta quello dei bambini-soldato.
«La nostra missione – spiega Piziali – è prevalentemente dedicata agli sfollati interni nella parte settentrionale del Paese, nella zona verso il Mar Rosso e l’Egitto, e prevede un intervento estremamente importante e delicato, perché in crisi di questo tipo i ragazzi dai 12 anni in poi vengono arruolati a forza da entrambe le parti. Questo va detto con chiarezza».
Parole che confermano ulteriormente la denuncia di un anno fa di un dossier dell’Agenzia Onu per i diritti umani: il reclutamento forzato dei bambini-soldato da parte delle forze in conflitto è pratica che continua. Secondo il dossier delle Nazioni Unite, oltre 255mila giovani fino al 2024 erano stati armati e coinvolti nei combattimenti in tutto il Sudan. Le comunità etniche Fur, Masalit e Zaghawa hanno arruolato i propri piccoli per mandarli a morire e le Rsf, paramilitari arabi eredi dei genocidari Janjaweed, hanno reclutato giovani dalle tribù arabe del Darfur e del Kordofan.
È l’ennesimo crimine di guerra in Sudan dove si stima che oltre 15 milioni di persone, soprattutto bambini, soffrano di disturbi legati a stress, fame, paura e sfollamento. Cesvi assiste psicologicamente le persone che hanno subito violenza, soprattutto donne e bambini. «C’è la vittima dello stupro – spiega Piziali – o chi ha visto il fratello più grande portato via dalle forze militari per essere arruolato a forza».
«Cerchiamo di lavorare con loro, in modo individuale, laddove necessitano di interventi anche sanitari – prosegue – e, come tutti gli interventi umanitari, anche il nostro è organico, per cui se si tratta poi di aiutare la persona ad avere accesso a medicine o piuttosto che a cure, indirizziamo da altre organizzazioni non governative».
L’ong si prepara a restare a lungo e punta a spostarsi verso le zone centrali del Paese dove stanno tornando molti sfollati.
© riproduzione riservata

© RIPRODUZIONE RISERVATA