Gli ostaggi israeliani a Gaza: chi si salverà? Il dramma della “lotteria”
È polemica sulla lista di persone da liberare mentre i media accusano Netanyahu di avere prolungato la guerra per garantirsi la sopravvivenza politica

«Save all 50», cioè «salvate tutti i 50». Nell’enorme scritta, comparsa ieri sulla spiaggia di Tel Aviv lo zero è diventato un fiocco giallo, inconfondibile simbolo degli ostaggi prigionieri di Hamas da 645 giorni. Mai come ora, dopo mesi di stallo, i negoziati tra Israele e Hamas appaiono prossimi a un accordo. «Giorni» o «settimane», ripetono, a fasi alterne, Donald Trump e Benjamin Netanyahu. Il premier israeliano dice di avere raggiunto «tutti gli obiettivi» della missione a Washington». In realtà, è tornato ieri senza l’attesa svolta. Il presidente Usa ha, in teoria, strappato all’amico-alleato l’impegno a non riprendere l’offensiva dopo i 60 giorni di cessate il fuoco. Ma la delegazione del suo governo continua a insistere per mantenere l’esercito schierato sul “corridoio Morag”, una linea di dodici chilometri d’asfalto che divide Khan Yunis da Rafah, nel sud di Gaza. Per il gruppo armato – già scottato dalla fine della tregua a marzo –, è un campanello d’allarme che lo fa essere riluttante. Il viaggio a Doha dell’inviato statunitense Steve Witkoff per gli ultimi dettagli – previsto quattro giorni fa –, dunque, è stato rinviato a data da destinarsi.
Il braccio di ferro, nel mentre, prosegue. Insieme all’agonia dei gazawi: anche ieri, altri trenta, secondo il ministero della Sanita, controllato da Hamas, sono stati uccisi nei raid. E dei familiari degli ostaggi. Pur nella migliore delle ipotesi – la firma dell’intesa a breve –, solo dieci della ventina di rapiti ritenuti in vita – su un totale di cinquanta – sarà rilasciato nell’arco dei due mesi di “pausa bellica”. Otto all’inizio e gli altri due dopo 50 giorni. In realtà, i miliziani si sono offerti di liberarli tutti insieme all’inizio in cambio della garanzia della fine della guerra. Poi tutto s’è fermato di nuovo. In quest’ottica si inquadra l’ennesimo appello dei parenti a «salvare tutti». Per ora, però, il numero resta fissato a dieci. «Chi saranno?», chiedono con insistenza. Netanyahu sostienne che sarà Hamas a compilare la lista. Non è quanto, però, sostengono fonti ben informate anche alla luce delle due tregue precedente. Allora, però, la “scelta” era facilitata dalla presenza di alcuni gruppi “sensibili”: civili – minori, donne, anziani e, in seconda battuta– soldatesse. I 23 – secondo il Forum delle famiglie di cui tre, però, secondo il governo, su tre ci sono «gravi preoccupazione sulle loro condizioni – sono tutti uomini giovani, due sono militari catturati in servizio. A chi dare la priorità? Un criterio di selezione ipotizzato potrebbe essere quello dello stato di salute. Ma dopo ventidue mesi di prigionia è impossibile definirlo con precisione. Proprio per evitare quella che è stata definita «la lotteria degli ostaggi», i familiari non si stancano di chiedere il rilascio di tutti in un’unica soluzione.
Il loro grido, però, resta inascoltato nonostante sia condiviso dal 74 per cento degli israeliani. «Non fra i miei elettori», ha replicato Netanyahu che, appena rientrato ha alzato di nuovo i toni. Se non si raggiungeranno risultati entro i prossimi giorni, «impiegheremo la forza», ha detto ad Hamas. E ha inviato un messaggio analogo all’Iran: «Se Teheran non raggiungerà un’intesa sul nucleare con gli Usa entro due mesi, completeremo la missione». Lo spettro della «vittoria totale» aleggia ancora, dunque, sulla trattativa. Potrebbe trattarsi di una strategia per aumentare la pressione sulla controparte in modo da spingerla all’intesa. O potrebbe essere finalizzata all’obiettivo opposto. È la tesi sostenuta dall’inchiesta del New York Times che, al riguardo, ha intervistato 110 funzionari in Israele, Usa e Paesi Arabi. Dalle loro testimonianze, corroborate da trascrizioni di riunioni riservate, emerge la volontà del premier di boicottare le trattative per garantirsi la sopravvivenza politica. L’intesa con il gruppo armato metterebbe a rischio la tenuta della maggioranza: l’ultradestra di Itamar BenGvir e Bezalel Smotrich chiede l’eliminazione di Hamas e si oppone a qualunque ipotesi di Stato palestinese. Questione quest’ultima che resta cruciale nel dopo guerra e che sarà al centro della Conferenza Onu, rinviata al 28 luglio. Il prestigioso quotidiano Usa sottolinea, in particolare, come nell’aprile 2024, quando l’intesa era ormai pronta, Netanyahu la fece naufragare intenzionalmente ponendo una serie di clausole, tra cui il controllo del “corridoio Filadelfia”. Quindici mesi dopo, lo scoglio è un altro asse: il Morag.
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