Gli Accordi di Abramo in frantumi. Chi ha strappato la tela?

Siglati nel 2020 per normalizzare le relazioni tra Israele e parte del mondo arabo, sembravano il segno di una riconciliazione sotto la regia Usa. Ora è saltato tutto: vanno comprese le responsabi
September 10, 2025
Gli Accordi di Abramo in frantumi. Chi ha strappato la tela?
Donald Trump e Mohammed Bin Salman durante la recente firma di un accordo tra Usa e Arabia Saudita: la tela degli Accordi Abramo ha avuto i due leader tra i protagonisti
Rileggendo oggi il testo degli Accordi di Abramo, con cui gli Emirati Arabi e il Bahrein normalizzarono le relazioni con Israele nel 2020, non si può che provare l’amaro in bocca delle opportunità svanite. Almeno per parecchio tempo. I firmatari si impegnavano a «lavorare per l’avanzamento della causa della pace, della stabilità e della prosperità in Medio Oriente». Parole forse un po’ retoriche, che sicuramente celavano forti interessi nazionali, ma che trasmettevano le tante speranze che quell’accordo storico schiudeva per la regione. Cinque anni dopo gli Accordi di Abramo sono ancora in vigore. Nessuno li ha fin qui cancellati, né formalmente ridimensionati. Però, la loro forza trasformatrice si è spenta, mese dopo mese, attacco dopo attacco, strage dopo strage. Il bombardamento di Israele contro la riunione di Hamas a Doha, in Qatar, è un altro strappo, l’ennesimo, a quella tela. Forse quello politicamente più grave per gli Stati del Golfo, perché ha violato la sovranità di uno di loro, portando la polvere dei bombardamenti dentro l’oasi politica del Qatar.
Di certo, in un Medio Oriente in cui prevale la rapidità delle armi sulla fatica del dialogo, l’emirato degli Al Thani è politicamente “meno utile” di un tempo, nei calcoli di Israele e degli Stati Uniti. E le tante ambiguità che il mediatore Qatar ha fin qui abilmente maneggiato, anche su richiesta israeliana e americana, ospitando per esempio la leadership politica di Hamas, diventano ora motivo di vulnerabilità. Sono molti gli attori che hanno logorato la tela degli Accordi di Abramo, fino a strapparla. Innanzitutto, Hamas: il massacro del 7 ottobre e la presa di ostaggi sono stati attuati anche per impedire la normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele, che sembrava davvero alle porte. Poi sono venute le scelte del governo israeliano: l’interminabile guerra a Gaza e soprattutto la fame dei palestinesi assediati nella Striscia, fino ai piani di annessione della Cisgiordania, che affosserebbero qualunque ipotesi di “due popoli e due Stati”.
C’è un terzo attore, però, che ha una grande responsabilità nel fallimento politico e strategico – vedremo poi se anche formale – degli Accordi di Abramo: gli Stati Uniti di Trump. Il quale ha largamente contribuito a disfare la tela politica che aveva intrecciato nel primo mandato, con posizioni ondivaghe, talvolta contraddittorie, spesso schiacciate sulla linea del governo Netanyahu (vedi il “Piano Riviera”).
Il risultato è l’ulteriore perdita di influenza americana. Il bombardamento israeliano su Doha mette in luce tutto questo, nelle ore in cui gli americani sostenevano di avere un piano (l’ennesimo) per il cessate il fuoco a Gaza: le bombe arrivano di nuovo a trattativa aperta. E stavolta l’obiettivo è in uno dei paesi più strettamente alleati degli Stati Uniti..
Il Qatar è diventato il luogo dove i nemici regionali regolano i loro conti politici, prima l’Iran (con l’attacco alla base americana di giugno), ora Israele. Per Doha e i vicini la lezione è la stessa: la deterrenza americana nel Golfo non funziona più, né per frenare i nemici (Iran) né gli amici (Israele) di Washington. Per le monarchie del Golfo, l’inaffidabilità americana è ormai una realtà, anche se somiglia a un brutto sogno dal quale vorrebbero svegliarsi.
Qualche giorno fa, gli Emirati Arabi hanno lanciato un segnale chiaro sugli Accordi di Abramo, dicendo pubblicamente che l’annessione di gran parte della Cisgiordania proposta dal governo israeliano sarebbe per Abu Dhabi una “linea rossa”. Un’espressione che, in politica internazionale, si è spesso rivelata inconcludente. Stavolta, però, la situazione pare diversa. Il viceministro Lana Nusseibeh, tra le voci emiratine più autorevoli, ha detto che è stato Israele, con le sue politiche, ad aver “rovesciato” il senso e lo spirito regionale degli Accordi. Quasi fosse Tel Aviv a essere uscita, nei fatti, da quell’intesa e non, eventualmente, possano essere gli Emirati a farlo. Un ribaltamento di prospettiva che fotografa quanto la speranza di un Medio Oriente davvero pacificato si sia, per ora, spenta.

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