È stato distrutto il centro medico della Caritas a Deir al-Balah
La struttura, che è un presidio medico e umanitario fondamentale nel sud della Striscia, è finito nel mirino dei bombardamenti israeliani. La denuncia degli operatori: «Siamo allo stremo»

«Il dottor Jihad, uno dei nostri medici in servizio a Gaza, ci ha raccontato una scena straziante. In attesa di essere medicato, un bimbo non la smetteva di piangere. Pensavano fosse per il dolore o per la paura. Invece era per la fame», racconta Anton Asfar, segretario generale di Caritas Gerusalemme. Fino ad alcune settimane fa, avrebbero potuto sottrarre qualche alimento dalle già risicate scorte per lo staff per attenuargli la sofferenza. Ora, però, non c’è più nulla e il personale si nutre di acqua, sale e te. «Stiamo cercando di fare il possibile per aiutare – prosegue il segretario dell’ente caritativo della Chiesa cattolica della Terra Santa –. Ma siamo sovrastati». Spesso poi anche i piccoli sforzi messi in atto per alleviare almeno un po’ la catastrofe umanitaria sono vanificati dalla furia bellica. È quanto accaduto proprio al centro sanitario di Caritas Gerusalemme di Al-Bourqua, a Deir al-Balah, «zona sicura» di Gaza fino a domenica quando i residenti della parte orientale e meridionale della cittadina – un totale di almeno 50mila – hanno ricevuto l’ordine urgente di evacuare.

Subito, gli operatori del principale hub medico per l’assistenza al sud della Striscia, hanno impacchettato le attrezzature e le hanno spostate nel presidio di Nuseirat. La precauzione, però, non ha salvato il centro, danneggiato in modo grave nei combattimenti esplosi poco dopo e andati avanti fino a mercoledì. Carri armati e bulldozer israeliani – racconta Caritas Gerusalemme – hanno fatto irruzione nel circondario, radendo al suolo edifici, alberi, infrastrutture. La struttura sanitaria ha subito danneggiamenti strutturali: garantiva cure di base, supporto psicologico a mamme e bimbi e vaccinazioni anti-polio, per un totale di duecento pazienti al giorno. Si occupava, inoltre, anche della riabilitazione dei mutilati. Almeno fino a marzo quando il governo di Benjamin Netanyahu ha impedito l’entrata di protesi nell’enclave. Il resto filtra con il contagocce o viene bloccato dal lato palestinese dei valichi di Kerem Shalom e Zikim, in attesa che le organizzazioni umanitarie ricevano l’autorizzazione di raccogliere i soccorsi e distribuirli. Problemi logistici, per Tel Aviv: per aggirarli ha autorizzato la ripresa dei lanci di pacchi da parte di altri Paesi. Difficile che siano sufficienti davanti alla «carestia di massa» denunciata da 115 realtà indipendenti, tra cui la stessa Caritas Gerusalemme. «Nella Striscia circola una espressione macabra – sottolinea Asfar – Chiamano «fortunati» quanti sono morti all’inizio della guerra perché almeno è stata risparmiata loro la lenta e umiliante agonia che i vivi devono affrontare». Di fronte a questo scempio, «sì è pervasi da un profondo senso di rabbia e di impotenza. Non lasciamo, però, che questi sentimenti ci paralizzino. Al contrario, da essi traiamo la determinazione a stare al fianco di questo popolo, come dei troppi feriti dalle guerre in corso nel mondo», afferma don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana che sostiene i nove centri medici di Caritas Gerusalemme a Gaza con un contributo di 700mila euro, circa un sesto del costo totale del progetto finanziato dalla rete delle varie Caritas di 5 milioni di euro «Le sofferenze di chi vive la tragedia della guerra ci spinge a credere ancora di più nella pace. E a impegnarci per costruirla», aggiunge don Pagniello. Caritas Italiana, dunque, si unisce alla “chiamata che Caritas Gerusalemme ha rivolto direttamente a Donald Trump.

«Intervenga e ci aiuti a mettere fine a questa guerra brutale», si legge nell’appello. «E chiunque fra i potenti della terra faccia altrettanto. I leader ufficiali come quanti di cui non conosciamo nemmeno i nomi ma hanno influenza in Medio Oriente», aggiunge don Pagniello. Le dichiarazioni di ieri, però, del presidente Usa non sono rassicuranti. «Hamas non voleva davvero l’accordo. Penso, dunque, che saranno braccati», ha detto il tycoon, trasformando due settimane e mezzo di «buone notizie imminenti», nell’annuncio di un flop. In linea con quanto affermato giovedì dall’inviato Steve Witkoff, il presidente Usa ieri sembra avere archiviato definitivamente i negoziati di Doha. «Arriva un momento in cui devi finire il lavoro», ha detto mentre Netanyahu ha ipotizzato «metodi alternativi» per la liberazione degli ostaggi. Una durezza che ha «sorpreso» Hamas. «Washington ci rivolge accuse che contrastano con la realtà», ha detto Bassem Naim, dell’ufficio politico del gruppo armato. I mediatori Egitto e Qatar cercano di raccogliere i cocci delle trattative, infrante – sostengono fonti ben informate – sulla clausola esplicita posta dai miliziani di un cessate il fuoco permanente. «Gli sforzi proseguono», hanno dichiarato in una nota congiunta. Al momento, però, una nuova tornata non è stata fissata. L’agonia di Gaza continua.
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