Così la “generazione Z” in Africa spaventa i dinosauri della politica

Dal Madagascar al Marocco, passando per il Kenya, cresce la mobilitazione di piazza degli "under 30". Tra rischio violenza e solidarietà digitale
October 5, 2025
Così la “generazione Z” in Africa spaventa i dinosauri della politica
Giovani in piazza a Rabat, in Marocco, nei giorni scorsi
Dopo l’Asia, l’Africa. Dalle barricate antigovernative viste ad Antananarivo alle manifestazioni violente ad Agadir, anche gli under 30 africani ultraconnessi della generazione Z cercano ora di aprire brecce, reclamando «una vita migliore» ai rispettivi vertici nazionali: ovvero cibo, acqua, alloggi, lavoro, il rispetto delle libertà civili, la fine della corruzione endemica. Manifestanti spesso senza leader riconosciuti. Apparentemente lontani dagli schemi ideologici del passato. Riuniti in modo “orizzontale”, in primis, dall’uso di social e altri canali digitali. Tanto da improvvisare sondaggi “live” per decidere ogni nuova mossa. In mezzo alle manifestazioni convulse e alle repressioni anche sanguinose che in particolare stanno mettendo a soqquadro da una settimana Madagascar e Marocco, in modo simile a quanto si era già visto con i movimenti studenteschi in Kenya, ha colpito un dettaglio eloquente: le bandiere pirata di One Piece, manga dal successo planetario, esibite da molti come emblema politico “pop” generazionale.
In Madagascar, dopo una settimana di proteste e scontri, con almeno 22 morti, la rabbia dei giovani manifestanti non sembra placarsi, nonostante il presidente Andry Rajoelina abbia già congedato il governo contestato. A innescare i primi cortei, i continui tagli all’elettricità e all’acqua. Ma ora, il rischio di una escalation pare più alto che mai. Vengono reclamate le dimissioni di Rajoelina, secondo il quale il movimento è strumentalizzato dall’esterno per «provocare un colpo di Stato». Su Facebook, il presidente ha sostenuto genericamente che «Paesi e agenzie hanno pagato» i dimostranti. Questi ultimi, da parte loro, hanno appena diffuso un nuovo appello a manifestare mercoledì prossimo.
Grazie pure a una sorprendente “solidarietà digitale”, le proteste in Marocco hanno riecheggiato quelle malgasce. Inizialmente, i giovani del movimento «Gen Zed 212», che prende il nome pure dal prefisso telefonico internazionale marocchino, reclamavano servizi pubblici meglio finanziati, a cominciare da ospedali e scuole. Ma dopo le repressioni violente che hanno lasciato al suolo almeno tre morti, con centinaia di feriti, il movimento ha scritto venerdì al re Mohammed VI pretendendo la caduta del governo. Una mossa che per il momento non ha spinto il monarca ad uscire da una posizione parsa fin qui ambigua. Non pochi giovani marocchini riconoscono i progressi compiuti recentemente nel Paese, ma tanti additano un percorso di riforme «incompiuto».
Rispetto a un passato africano più lontano, le manifestazioni giovanili viste in città come Rabat, Casablanca, Tangeri o Marrakech, con scontri e centinaia di arresti, non hanno preso il testimone del vecchio “panafricanismo”. Anzi, l’accento sulla dimensione generazionale mostra una polemica neppure troppo velata verso la passività dei meno giovani, che non sono riusciti negli ultimi 30 anni a pungolare i vertici, pronti così a “riciclare”, più o meno indisturbati, i vecchi mali quali la corruzione. Come in Madagascar, più che le ideologie politiche del passato, dunque, l’orizzonte di riferimento degli studenti appena scesi in piazza è dato dalle difficoltà concrete della vita quotidiana, con rivendicazioni molto pragmatiche legate innanzitutto ai servizi di base. Del resto, in Marocco, a fungere da scintilla era stata la morte sospetta, nel mese di agosto, di 8 donne incinte presso l’ospedale di Agadir: drammi umani colti come simboli eloquenti di un «Marocco a due velocità», fra i residenti più agiati delle città economicamente dinamiche e il resto del Paese, soprattutto rurale, a rimorchio fra sacche di reale miseria.
Una situazione tanto tesa, quella marocchina, da spingere pure la Commissione dell’Unione Europea a lanciare un appello alla calma. Ma da parte loro, gli studenti marocchini, come quelli malgasci, non sembrano guardare solo all’Occidente, mostrando simpatie pure per il Sud asiatico, già teatro negli ultimi anni di cortei giovanili rabbiosi, come in Sri Lanka, Bangladesh e Nepal.

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