Cosa c'è nella risoluzione Usa su Gaza approvata dall'Onu

Una forza internazionale sarà incaricata di stabilizzare la Striscia e disarmare Hamas. Donald Trump esulta, definendo il voto «storico» e annunciando la creazione di un Board of Peace che guiderà personalmente. Ma restano molti nodi da sciogliere
November 18, 2025
Le via di Gaza City, con gli scheletri dei palazzi bombardati
Le via di Gaza City, con gli scheletri dei palazzi bombardati
Neanche il tempo di approvare la risoluzione Onu per la stabilizzazione di Gaza (con l’astensione di Russia e Cina), che cominciano i tentativi di sabotaggio. Tra attacchi all’arma bianca contro israeliani nelle colonie di occupazione, arresti di israeliani solidali con i palestinesi, e schermaglie delle diplomazie.  Il clima non è ancora quello della “pax”, quando semmai si annuncia una stagione da regolamenti di conti. Un uomo è stato accoltellato a morte e altre tre persone sono state ferite in un attacco terroristico allo svincolo di Gush Etzion in Cisgiordania. La vittima è stata successivamente identificata come Aharon Cohen, 65 anni, residente nell’insediamento israeliano di Kiryat Arba, vicino a Hebron, nella Cisgiordania occupata. L’attacco è stato compiuto da due assalitori palestinesi piombati in auto, da cui sono saltati fuori accoltellando diversi civili israeliani. Entrambi i terroristi sono stati uccisi dalle forze di sicurezza di Tel Aviv presenti sul posto. Nell’auto dei due diciottenni palestinesi la polizia ha fatto sapere di aver rinvenuto alcuni ordigni.
Pur non rivendicando direttamente l’azione, Hamas ha affermato che l’attacco è «la risposta naturale ai tentativi dell’occupazione israeliana di liquidare la causa palestinese». Poco dopo le forze israeliane hanno arrestato decine di attivisti israeliani, solidali con i raccoglitori di olive palestinesi nei pressi del villaggio di Burin, in Cisgiordania, aggrediti nei giorni scorsi dalle squadracce dei coloni estremisti. Mentre altri militari hanno ferito un cameraman di Al Jazeera.
Alcune ore prima il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva chiesto che Hamas venisse espulso dalla regione, dopo che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva approvato la proposta del presidente Donald Trump per porre fine alla guerra, e che offre l’amnistia al gruppo militante palestinese. Netanyahu ha pubblicamente approvato il piano durante una visita alla Casa Bianca alla fine di settembre. Tuttavia, le sue ultime dichiarazioni sembrano mostrare divergenze con gli Stati Uniti. Come del resto Hamas che ha contestato parti del piano, temendo la definitiva estromissione dalla gestione politico-economica della Striscia.
In privato i diplomatici affermano che le posizioni radicali sia da parte israeliana che da parte di Hamas hanno reso difficile portare avanti il piano, che manca ancora di scadenze specifiche e di meccanismi di applicazione, ma che può contare su un forte sostegno internazionale. Ieri Netanyahu ha pubblicato una serie di post su X in risposta al voto delle Nazioni Unite. Da una parte applaude Trump lodandone la leadership, e indicando una possibilità di pace e prosperità perché l’iniziativa richiede la «completa smilitarizzazione, il disarmo e la deradicalizzazione di Gaza».
Poi però punta i piedi su condizioni che il progetto di Washington non prevede. «Israele tende la mano in segno di pace e prosperità a tutti i nostri vicini», ha scritto il premier israeliano, e invita i Paesi confinanti a «unirsi a noi nell’espellere Hamas e i suoi sostenitori dalla regione», ha affermato. Non una frase fatta, perché la cancellazione definitiva del gruppo fondamentalista in realtà non è contemplata dagli accordi. Alla domanda su cosa intendesse il primo ministro con «espellere Hamas», un portavoce ha risposto che ciò significherebbe «garantire che non ci sia Hamas a Gaza, come delineato nel piano in 20 punti, e che Hamas non abbia la capacità di governare il popolo palestinese». In realtà l’accordo include una serie di clausole da leggere in controluce. I membri di Hamas «che si impegnano a coesistere pacificamente e a smantellare le loro armi saranno amnistiati», e ai membri che desiderano andarsene sarà garantito un passaggio sicuro verso paesi terzi. Un’altra delle condizioni concordate afferma che Hamas accetterà di non avere alcun ruolo nel governo di Gaza. Ma da nessuna parte è scritto che il gruppo militante islamista dovrà sciogliersi o lasciare Gaza. «E in diplomazia quello che non è scritto - spiega un negoziatore israeliano ad Avvenire – è implicitamente permesso».
C’è un altro passaggio che i mediatori israeliani avevano accettato e che ora Netanyahu sembra respingere. Il piano Usa afferma che le riforme dell’Autorità palestinese con sede in Cisgiordania potrebbero creare le condizioni «per un percorso credibile verso l’autodeterminazione e la statualità palestinese». In altre parole, il riconoscimento anche da parte degli Usa di uno stato palestinese. Ma in vista del voto delle Nazioni Unite, Netanyahu aveva dichiarato che Israele rimane contrario alla statualità palestinese e che Israele si oppone anche a qualsiasi coinvolgimento dell’Autorità palestinese a Gaza. Il testo afferma che gli Stati membri potrebbero aderire a un “Consiglio di pace” che supervisionerebbe la ricostruzione e la ripresa economica nella Striscia. E Hamas ha criticato la risoluzione perché non «soddisfa le richieste e i diritti politici e umanitari» del popolo palestinese, che secondo Hamas - che da questa proposta uscirebbe esautorata - ha rifiutato un meccanismo di tutela internazionale di Gaza. Qualsiasi forza internazionale deve essere dispiegata solo lungo i confini di Gaza per monitorare il cessate il fuoco e sotto la supervisione delle Nazioni Unite, ha affermato Hamas in una dichiarazione, avvertendo che tale forza perderebbe la sua neutralità se cercasse di disarmare il gruppo militante.
Israele ha parzialmente ritirato le sue forze, ma controlla ancora il 53% di Gaza e le parti si sono accusate a vicenda di violazioni. Abu Abdallah, un imprenditore sfollato nella zona centrale di Gaza, ha dichiarato che i palestinesi sosterrebbero il dispiegamento di forze internazionali se ciò significasse il ritiro completo delle forze israeliane. «Hamas non può decidere da solo il nostro destino, ma - ha aggiunto - non vogliamo nemmeno liberarci di un’occupazione, quella israeliana, per ritrovarci con un’altra occupazione internazionale».

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