Amnesty: In Iran nuova stretta sul velo per le donne
Oltre quaranta donne denunciano di essere state intimidite dalla polizia e di aver subito il sequestro della loro automobile

«Ogni volta che le autorità mi mandavano un sms, nello stesso giorno mi chiamavano sul mio telefonino, ma all'inizio non rispondevo. Dopo una serie di altri messaggi della polizia, nei quali mi chiedevano di indossare il velo, un mese fa decisi di rispondere e gli agenti mi dissero che dovevo consegnare la mia automobile oppure me l'avrebbero confiscata alla prima occasione. Quando mi presentai alla Polizia morale, mi confiscarono l'auto per una settimana e mi trattarono malissimo, come se avessi fatto qualcosa che non andava. È stato molto umiliante. Mi hanno preso il telefonino e la borsetta e mi hanno detto: 'Sistemati il velo. È questo il modo di andare in giro?'. Hanno criticato il colore e il tipo di vestiti che indossavo e anche le mie unghie dipinte e il trucco. 'Pensi che puoi fare quello che vuoi come se non ci fossero leggi in questo Paese? Pensi che puoi vestirti come vuoi, senza preoccuparti di metterti l'hijab quando incontri degli uomini?'. Ho ricordato loro, diverse volte, che il loro comportamento è un insulto alla coscienza umana. Mi hanno detto: 'Se succede ancora, te ne pentirai e ci saranno conseguenze gravi come multe, la prigione e anche il divieto di viaggiare'».
È questa la testimonianza di Orkideh, iraniana della provincia dell'Azerbaijan occidentale, che ha parlato con Amnesty International che, in un rapporto pubblicato in vista della Festa delle donne dell'8 marzo, denuncia che le autorità del Paese hanno intensificato la loro sorveglianza delle donne, perché indossino il velo, alle quali, spesso, vengono confiscate le auto e che vengono intimidite con telefonate e messaggi.
Le donne vengono prese di mira con una "sorveglianza diffusa" negli spazi pubblici e "controlli di polizia di massa", nel caso in cui abbiano una patente e guidino. Grazie a telecamere di sorveglianza e a un app della polizia, gli agenti identificano le targhe dei veicoli e arrivano alle donne che vengono, poi, convocate con l'accusa di aver violato le norme e devono consegnare l'auto. Sono stati, così, sequestrati centinaia di migliaia di veicoli che vengono rilasciati, in alcuni casi, dopo 15-30 giorni, una volta che le donne hanno pagato delle sanzioni, considerate arbitrarie da Amnesty e ottenuto impegni scritti sul rispetto dell'obbligo del velo.
Le testimonianze ottenute da Amnesty International sono 46. A parlare sono 41 donne, un transessuale, una ragazza e quattro uomini, ma il rapporto contiene anche una serie di documenti ufficiali, tra i quali sentenze di tribunali e decreti penali, documenti di confiscazione delle auto e sms mandati dalla polizia alle donne nei quali vengono minacciate di essere private delle loro automobili se non indossano il velo. I documenti indicano che una serie di agenzie di stato sono coinvolte nella persecuzione del mondo femminile al quale viene tolto il controllo sul proprio corpo e la possibilità di esprimersi e di avere opinioni. Soltanto 20 delle testimonianze sono state rese pubbliche per consentire uno sguardo dentro la tremenda realtà quotidiana vissuta dalle ragazze e dalle donne iraniane. La charity per i diritti umani ha usato pseudonimi per proteggere le donne e ogni dettaglio che potrebbe consentire di identificarle come date, località, tribunali e nomi degli agenti di polizia è stato rimosso o cambiato.
«La mia auto si era rotta ed ero in lacrime. Sono uscita dal veicolo ma non indossavo un velo. Un uomo in borghese ha telefonato alle autorità chiedendo loro di mandare un agente - racconta Noushin, della provincia di Teheran -. Il compito dell'uomo in borghese, in questa zona, che si trova vicino a una moschea e a una base che appartiene alla forza Basij, è di controllare tutto il giorno le auto, scrivendo le targhe e chiamando la polizia. Un agente dei "Guardiani della Rivoluzione" in uniforme è arrivato su una di quelle enormi motociclette senza una targa e ha cominciato a urlare e a minacciarmi, chiedendomi di indossare il velo. Poi si è scritto la mia targa e ho ricevuto subito un sms che diceva che la mia auto era stata segnalata per essere sequestrata e che dovevo aspettare che la polizia mi contattasse. Durante l'ultimo anno ho ricevuto cinque o sei sms. Cerco di evitare di parcheggiare in posti molto frequentati e preferisco usare taxi che chiamo online per evitare di essere tormentata».
Il governo della Repubblica islamica è stato scosso, nel 2022, dalle proteste di massa seguite alla morte della giovane Mahsa Amini, arrestata e picchiata per avere indossato il velo in modo non regolare. Nonostante le rivolte durate mesi, Teheran non ha mai preso in considerazione l'abbandono dell'hijab obbligatorio, imposto dopo la rivoluzione islamica del 1979.
Secondo la vicedirettrice per Medio Oriente e Nord Africa di Amnesty International Diana Eltahawy, la campagna di intimidazioni e minacce inflitte alle donne iraniane e il sequestro delle loro automobili sono "un sinistro tentativo di indebolire la resistenza al velo obbligatorio" attraverso un'attività che mira a "terrorizzare donne e ragazze sottoponendole a costante sorveglianza e attività di polizia".
«L'accesso ai trasporti, agli aeroporti e ai servizi bancari viene regolarmente negato e subordinato all'uso del velo da parte delle donne», ha affermato ancora Diana Eltahawy. Altrimenti, si rischia il processo e, nello scorso mese di gennaio, è stata eseguita una condanna alla fustigazione di 74 frustate contro una giovane donna, Roya Heshmati, per essere apparsa senza velo in pubblico. Nel settembre scorso, il parlamento iraniano ha approvato il "disegno di legge a sostegno della cultura della castità e dell'hijab" che aumenta le punizioni per chi viola tale regola. La legge deve essere approvata anche dall'organismo di supervisione del Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione.
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