Alfredo Schiavo libero, Alberto Trentini no. Il carcere è l'arma di Maduro

L'imprenditore è stato consegnato sabato alla comunità di Sant'Egidio dopo una delicata mediazione che ha coinvolto Roma e Caracas. Spiragli per Trentini
May 5, 2025
Alfredo Schiavo libero, Alberto Trentini no. Il carcere è l'arma di Maduro
ANSA |
«Tumulatelo subito, altrimenti niente salma». Il ricatto viene dall'alto: le guardie del penitenziario di Tocorón lo comunicano con freddezza, cercando di dissimulare l'imbarazzo. Erano impacciati, come i loro tanto odiati colleghi americani. La mamma di Lindomar Jesús Amaro Bustamante annuisce in silenzio. Non ha la forza per replicare: occhi bassi, ormai irritati dal pianto. Non vedeva suo figlio da nove mesi, dal suo arresto nello Stato di Cojedes nell'ambito delle retate anti-opposizione eseguite dalle Forze dell'ordine dopo le controverse elezioni presidenziali dell'estate 2024. Ora è lì, dinanzi a un corpo senza vita, e anche il lutto le è stato rubato. Lindomar aveva solo 27 anni e di mestiere faceva il tassista, ma in motorino. Tra i suoi capi d'accusa: l'incitamento all'odio e possesso d'arma di guerra. Il suicidio è la motivazione ufficiale della morte. Secondo le autorità è stato trovato impiccato nella sua cella. Tuttavia le esequie express hanno impedito gli accertamenti autoptici del caso.
«Sappiamo solo che Lindomar è morto sotto la custodia dello Stato venezuelano», fa sapere il Comitato per la liberazione dei prigionieri politici dopo aver appreso la notizia sabato 3 maggio. L'Ong ha denunciato che già in passato Lindomar aveva provato a togliersi la vita, ma non ha ricevuto le attenzioni mediche necessarie. Sulla vicenda è intervenuta anche la leader dell'opposizione, Maria Corina Machado, per la quale «il responsabile di questa morte è solo uno: Maduro». Nelle stesse ore, sempre a Tocoron, stava per verificarsi un altro suicidio. Si tratta di Jhoandri Joel Silva Lara, recentemente dimesso dall'ospedale centrale militare di Maracay. I familiari denunciano che entrambi i casi sono conseguenza «di crisi di nervi» dovute a «trattamenti inumani e degradanti» volti a «spezzare la psiche del detenuto».
In Venezuela si contano circa 900 prigionieri politici di cui oltre 60 stranieri secondo l'Ong Foro Penal, che dal 2014 ha registrato 18.334 detenzioni arbitrarie a sfondo politico. Tuttavia i prigionieri stranieri hanno una sorte meno tragica di quelli venezuelani. «Siamo delle pedine di scambio, dei gettoni», ha spiegato David Estrella, lo statunitense con doppio passaporto, raccontando su PresaDiretta – nella trasmissione dedicata ad Alberto Trentini – i suoi 145 giorni di prigionia a El Rodeo I. Per Estrella non è quindi nell'interesse delle autorità venezuelane far del male ai cittadini stranieri. Nella stessa sede è intervenuta anche la mamma di Alberto Trentini, il cooperante 45enne detenuto in Venezuela dallo scorso 15 novembre, Armanda Colluso, che ha riferito di aver sostenuto «un incontro molto utile» con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, che l'ha rassicurata sull'impegno del governo italiano per liberare il figlio.
Alberto Trentini, il cooperante 45enne detenuto in Venezuela dallo scorso 15 novembre - ANSA
Alberto Trentini, il cooperante 45enne detenuto in Venezuela dallo scorso 15 novembre - ANSA
E fa ben sperare la recente liberazione dell'imprenditore italo-venezuelano Alfredo Schiavo, da cinque anni recluso nel Helicoide, il carcere dei servizi con sede in Plaza Venezuela (Caracas), e consegnato sabato alla comunità di Sant'Egidio dopo una delicata mediazione che ha coinvolto Roma e Caracas. Ma ci sono anche altre feritoie di speranza. È il caso dell'apertura negli ultimi mesi di un canale tra Usa, El Salvador e Venezuela per lo scambio di 252 prigionieri politici, compresi gli stranieri, per altrettanti deportati venezuelani reclusi al Centro de confinamiento del terrorismo (Cecot) di San Salvador.
Certamente, neppure i deportati se la passano bene. Né a El Salvador né presso i Centri di detenzione disseminati in Florida, Texas e altri stati Usa. Sette i decessi registrati in questi luoghi, nei primi cento giorni di amministrazione Trump. Tra gli episodi più strazianti vi è il caso di Marie Blaise, la donna haitiana morta il 25 aprile, all'età di 44 anni, dietro le sbarre del Broward Transitional Center. Persino l'Alto commissario delle Nazioni Unite (Acnur-Unhcr) si è detto preoccupato della sorte dei migranti trattenuti e deportati, sottoponendo a Washington un elenco di cento venezuelani, arrestati nel nome dell'Alien Enemy Act e dei quali si sono perse le tracce.

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