Abu Mazen all'Onu: «Pronto a lavorare con Trump su pace e sicurezza»
L'anziano presidente dell'Autorità nazionale palestinese ha denunciato il «genocidio» a Gaza e condannato Hamas e l'antisemitismo. Il progetto di uno Stato «moderno e democratico»

A giudicare dalla lunghezza dell’applauso ricevuto, l’intervento del presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) all’Assemblea generale dell’Onu, a New York, non è stato sminuito dal fatto che fosse in videocollegamento, essendogli stato negato il visto dagli Usa. Parlando da Ramallah, l’anziano leader (90 anni a novembre) ha denunciato «il genocidio» in atto nella Striscia di Gaza. «Quello che Israele sta facendo – ha detto – è un crimine di guerra e contro l’umanità, che sarà ricordato nei libri di storia come una delle più orribili tragedie del ventesimo e del ventunesimo secolo». Ma il suo intervento non è stato un mero atto d’accusa. «Condanniamo quello che Hamas ha fatto il 7 ottobre» ha ribadito, prendendo per l’ennesima volta le distanze dal gruppo islamista che «non rappresenta i palestinesi che lottano per la libertà e l’indipendenza». Ricordando che l’Autorità palestinese ha riconosciuto lo Stato di Israele nel 1988 e, nuovamente, con gli Accordi di Oslo del 1993, ha aggiunto: «E ancora lo riconosciamo». Quanto all’antisemitismo: «Lo condanniamo, in base ai nostri principi». Nel discorso è risuonata più volte la parola «pace», ma anche la parola «occupazione». Ha denunciato lo stato d’assedio nel quale vivono i palestinesi di Gaza – «che è parte dello Stato di Palestina» – così come quelli della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, «capitale dello Stato di Palestina». «La pace non può essere ottenuta – ha dichiarato Mazen – se la Palestina non è libera e in sicurezza».
Articolando l’esposizione in nove punti, il presidente dell’Anp ha indicato come priorità la fine della guerra a Gaza. A seguire: l’ingresso degli aiuti umanitari, gestiti dall’Onu anche tramite l’Unrwa (che Israele accusa di connivenza con Hamas); il rilascio «degli ostaggi e dei prigionieri da entrambe le parti»; il ritiro dell’occupante e la rinuncia a piani di deportazione, colonizzazione e annessione; la necessità che i palestinesi assumano piena responsabilità della Striscia, sotto l’ombrello dell’Onu («Hamas e altre fazioni dovranno consegnare le armi all’Anp: non vogliamo uno stato armato»); la ricostruzione di Gaza e dei villaggi distrutti in Cisgiordania; la riconsegna all’Anp delle tasse riscosse da Israele in Cisgiordania; il sostegno internazionale alla costruzione di uno Stato palestinese «moderno e democratico», che vada alle urne entro un anno dalla fine della guerra. Infine, Abu Mazen si è detto «pronto a collaborare con Trump» (nessun cenno al visto negato), oltre che con Arabia Saudita, Francia e Onu, «per implementare il piano di pace del 22 settembre»: il riferimento è al riconoscimento dello Stato palestinese (ha ringraziato i Paesi che si sono espressi in tal senso) e della “soluzione dei due Stati” da parte della maggioranza dei membri dell’Onu (159 su 193). L’anziano leader ha esortato i restanti Paesi a prendere la stessa decisione: «Chiediamo di sostenere l’ottenimento da parte della Palestina di un’adesione piena alle Nazioni Unite» (ora ha lo status di Stato osservatore permanente). Anche qui, nessun cenno al fatto che in Consiglio di sicurezza, dei cinque membri permanenti con diritto di veto (Usa, Russia, Cina, Francia e Regno Unito), ne resta uno (gli Usa) a bloccarne l’adesione. «Non si può arrivare alla pace senza giustizia – ha detto Mazen –. Vogliamo vivere in libertà, sicurezza e pace come tutte le altre popolazioni e in uno stato sovrano, indipendente entro i confini del 1967 con Gerusalemme Est come capitale. In sicurezza e in pace con i nostri vicini».
Poche ore prima, dall’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv – a una cinquantina di chilometri dal quartier generale dell’Anp – il premier israeliano Benjamin Netanyahu era decollato alla volta di New York, dove oggi interviene al Palazzo di Vetro prima di spostarsi a Washington per il faccia a faccia, lunedì, con il presidente Donald Trump. «All’Assemblea generale dirò la nostra verità – ha dichiarato -: la verità dei cittadini di Israele, la verità dei soldati, la verità della nostra nazione». Stando ai media israeliani, funzionari della sicurezza avrebbero consigliato al governo di imporre sanzioni personali ai leader dell’Anp, a cominciare da Abu Mazen, limitandone gli spostamenti e confinandoli di fatto a Ramallah.
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