«A ottobre quando ritornerò forse la Striscia non ci sarà più»

Martina Marchiò (Msf): «L'enclave è una realtà distopica dove non ci sono più regole né garanzie per nessuno, nemmeno per gli operatori umanitari»
July 10, 2025
«A ottobre quando ritornerò forse la Striscia non ci sarà più»
ANSA | Due donne in quelle che erano le loro case, a Gaza City
«A Gaza non esiste più una morte degna o dignitosa, per nessuno» dice Martina Marchiò. È uscita dalla Striscia di Gaza da pochi giorni. Infermiera, lavora per Medici Senza Frontiere ed è sul territorio per la seconda volta in due anni. Negli ultimi mesi era a Gaza City, nel Nord, e spiega che «l’arrivo in città è stato l’ingresso in un mondo distopico: ci sono pochissimi edifici in piedi e non si sente più il rumore del mare, nonostante sia vicinissimo, per il suono costante dei jet e delle bombe israeliane».
Che cosa significa lavorare, oggi, a Gaza? «Vuol dire trovarsi in un contesto dove non ci sono più regole, non ci sono più garanzie per nessuno, nemmeno per gli operatori umanitari – risponde Marchiò – A livello concreto, il blocco israeliano degli aiuti ti obbliga a fare i conti con il materiale medico che si riduce: quando scarseggiano gli antibiotici, i sedativi, il materiale per le medicazioni, allora tu devi scegliere chi curare e chi no perché non hai risorse per tutti. Curi solo chi ha più possibilità di sopravvivere e quindi, di fatto, decidi chi salvare. Ritrovarsi a dire a una persona che non ci sono più risorse e non poterla prendere in carico è qualcosa che ti porterai dietro per sempre. È difficile da immaginare, se non sei lì».
Negli ultimi due anni, 12 operatori di Medici Senza Frontiere sono morti nella Striscia: alcuni erano in casa al momento di un bombardamento israeliano, altri stavano raggiungendo l’ospedale in bicicletta. Chi ancora lavora nelle cliniche si porta dietro anche la sua storia personale. K., ad esempio, una collega di Marchiò, deve mantenere otto bambini dopo la morte della sorella. «Dice che se anche arrivasse l’esercito israeliano via terra, lei non andrebbe via da Gaza City perché quella è casa sua - spiega l’infermiera - Lei è dimagrita di molti chili in poche settimane perché il poco cibo che riesce a recuperare lo tiene per i bambini». Il racconto di Marchiò si concentra anche sulla fame: «Ho incontrato due bambini che raccoglievano fili d’erba sul ciglio della strada, poi l’avrebbero cucinata e mangiata. Le persone dicono che questo era impensabile fino a poco tempo fa, ora è necessario per sopravvivere. Ho visto persone piangere per la fame».
Sulla distribuzione degli aiuti della Gaza Humanitarian Foundation, l’infermiera ha raccolto diverse testimonianze. «Gli aiuti diventano una trappola mortale. Alcune persone mi hanno detto che piuttosto che morire umiliate lì, preferiscono morire di fame. Altri vanno, non riescono a prendere niente ma rischiano la vita e dicono che non ci torneranno più. Però, dopo pochi giorni cambiano idea e ci riprovano. Lo fanno per i loro figli».
Marchiò cita anche le «12mila persone che avrebbero urgenza di uscire dalla Striscia perché lì non ci sono le risorse per curarle». Come R., una ragazza di 16 anni che ha dovuto sostenere per settimane tutta la sua famiglia: il padre era partito per reperire alcuni aiuti umanitari, non è mai tornato. Due settimane fa è sopravvissuta a un bombardamento. Non sapeva di avere schegge nel corpo finché non ha iniziato a stare male: ora è in coma, ma non ci sono le attrezzature per aiutarla. «Le storie a lieto fine purtroppo non sono molte» dice Marchiò, ma ce n’è una a cui pensa spesso. «Ho in mente il volto di una bambina che abbiamo incontrato nella nostra clinica. Era ferita alle gambe ed è tornata per molte settimane a farsi medicare da noi, nonostante spostarsi sia difficilissimo e pericoloso. Ricorderò per sempre il momento in cui ha ricominciato a camminare: ci siamo guardati tra colleghi e ci siamo commossi. La sua tenacia è simile a quella che ho visto tra alcuni colleghi. Penso a una dottoressa che un giorno è tornata a casa e non ha trovato più nessuno: tutta la sua famiglia era stata spazzata via da un bombardamento. Si è disperata per tre giorni, poi è tornata a lavorare».
A ottobre, Marchiò dovrebbe tornare a Gaza. «Quando Medici senza Frontiere me lo ha chiesto, ho detto di sì. Poi però ho pensato: se continua così, a ottobre Gaza non ci sarà più».

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