lunedì 3 febbraio 2020
«Il conflitto catalano si risolverà solo votando». Sono le condizioni che pone Oriol Junqueras, presidente di Esquerra Republicana, condannato a 13 anni per il referendum indipendentista del 2017
Oriol Junqueras prima di essere incarcerato

Oriol Junqueras prima di essere incarcerato

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“La fine della repressione e l’esercizio dell’autodeterminazione, perché il conflitto catalano si risolverà solo votando”. Sono le condizioni di partenza che pone Oriol Junqueras, il presidente di Esquerra Republicana di Catalogna (Erc), per l’apertura di un dialogo con il governo spagnolo Psoe-Podemos presieduto dal socialista Pedro Sanchez. Un negoziato da cui dipende il voto decisivo di Erc sulla Finanziaria e, dunque, l’intera legislatura. Che ha preso ufficialmente il via oggi, con l’appello solenne al dialogo e all’unità di re Felipe VI in Parlamento, disertato da 49 deputati dei partiti sovranisti baschi, catalani e galiziano (incluso Erc), perché “la monarchia non ci rappresenta”.

In un’intervista on line dal carcere catalano di Lledoners con alcuni media internazionali, fra i quali Avvenire, l’ex vicepresidente della Generalitat ed eurodeputato decaduto, dopo la condanna a 13 anni e altrettanti di interdizione dai pubblici uffici, per il referendum indipendentista dell’ottobre 2017, ribadisce le sue condizioni. “Fine della via giudiziaria e penale e ritorno alla politica, mediante un’amnistia” dei dirigenti catalani in cella. E “stabilire le modalità perché i cittadini della Catalogna possano decidere il proprio futuro”.

Un terreno minato per Sánchez, reso ancora più insidioso dal recente annuncio dello scisma sul fronte indipendentista, con l’annuncio del ‘governatore’ Quim Torra di future elezioni nella regione, in cui i partiti sovranisti si contenderanno l’egemonia, difendendo la patente di ‘purezza’ della causa. Un sondaggio, pubblicato ieri, dava la somma dei tre partiti indipendentisti – Erc, JxCat ed Erc – ferma sempre al 47,5% della Camera catalana; ma un secondo, sul quotidiano La Vanguardia, proiettava la maggioranza sovranista oltre la soglia del 51%.

Junqueras, se i socialisti hanno escluso una consultazione sulla sovranità, cosa pensa di ottenere Esquerra nelle future trattative con Madrid?

Questa è la posizione del Psoe ed è legittima. Ma la nostra proposta è di un referendum sull’indipendenza e crediamo sia l’unica a poter aiutare realmente a risolvere il problema, dar voce ai catalani. La domanda è perché il governo spagnolo ha tanta paura della democrazia e di ascoltare i cittadini.

Una riforma dello Statuto di autonomia può essere un punto di arrivo soddisfacente per le parti?

No, in assoluto. Lo Statuto si è tentato in passato e si è dimostrato chiaramente insufficiente. E ora siamo in una fase diversa, più complessa e con il precedente governo catalano in carcere o in esilio, pertanto non siamo per la riforma statutaria.

L’astensione di Erc, che ha consentito l’investitura di Sánchez e l’avvio del governo di coalizione progressista, significa che vi aspettate l’amnistia?

Non è mai stata parte dei negoziati, che hanno riguardato solo l’intesa sull’avvio di un tavolo di dialogo fra governi, che era stato impossibile finora, ed è dove si discuteranno le proposte. In ogni caso, crediamo che l’amnistia possa essere una buona occasione per chiudere i processi giudiziari e penali aperti e restituire il conflitto alla politica, un ambito che non avrebbe mai dovuto abbandonare.

Ha piena fiducia in Pedro Sánchez e che risultati si aspetta?

La nostra posizione è di grande scetticismo, perché conosciamo il Psoe e Sánchez, ma allo stesso tempo crediamo di dover dare un’opportunità al dialogo. La fiducia va guadagnata mutuamente, veniamo da un’epoca di molte contraddizioni. Erc ha ceduto in passato il voto dei suoi 15 deputati a Sánchez, ma lui ha preferito tentare un patto con la destra, che non è andato in porto, e poi si è lanciato a nuove elezioni, esponendo i cittadini alla destra più intransigente. Il risultato finale gli ha ridato la vittoria, questa volta più ampia, come a noi in Catalogna. Ora ci chiede il nostro appoggio, ma bisognerà vedere se la svolta è reale o solo di circostanza. Deve capire che la maggioranza dei cittadini della Catalogna è favorevole all’autodeterminazione e che Erc non rinuncerà all’indipendenza, per quanto carcere ci impongano.

È a favore di nuove elezioni in Catalogna, dopo l’inabilitazione di Quim Torra?

Non sono io a dover decidere al riguardo. È certo che lo Stato inabilita un presidente per aver mantenuto striscioni sugli edifici pubblici a favore dei deputati detenuti. In ogni caso, i catalani non temono le urne e i voti, noi siamo in carcere per questo, per aver votato.

Vedendo come Carles Puigdemont è riuscito a sfuggire alla giustizia ed è stato riconosciuto come eurodeputato, pensa di essersi sbagliato a consegnarsi alla giustizia spagnola?

Ognuno ha fatto ciò che credeva fosse meglio. Nel mio caso ho deciso di restare per essere vicino ai miei e dimostrare il carattere‘demofobico’ della Spagna. Avevamo chiaro che potevamo finire in carcere, ma l’intendiamo come una fase sul nostro cammino verso la libertà del Paese. Il nostro carcere sarà la sconfitta dello Stato. Non mi piace contrapporre cella ed esilio. Le nostre lotte sono complementari e il presidente Puigdemont o Marta Rovira (segretaria di Erc riparata in Svizzera, ndr.) stanno facendo un lavoro molto importante a livello internazionale.

Come definisce l’attuale fessura fra gli indipendentisti catalani di Erc e quelli di JXCat di Puigdemont?

Non rilievo nessuna fessura. Ci sono da sempre diverse strategie e sappiamo che questo è un processo non facile né rapido. Proprio perché siamo da sempre indipendentisti sappiamo che dobbiamo continuare a crescere fino a raggiungere una maggioranza inappellabile.

Che ruolo ritiene abbia giocato nella storia dell’indipendentismo catalano quanto avvenuto nell’autunno separatista del
2017?

Senza dubbio quello di spartiacque, perché è stato quando abbiamo saputo che l’indipendenza non aveva marcia indietro; ma allo stesso tempo è quando abbiamo capito fin dove fosse disposto ad arrivare lo stato per impedire un referendum.

Nell’ottobre dell’anno scorso, l’ex presidente di Convergencia, Artur Mas, ha riconosciuto che il movimento indipendentista aveva agito con troppa rapidità, e che avrebbe dovuto e dovrà fare molto di più per convincere i catalani della necessità dell’indipendenza. Come pensa di cambiare la mente della maggioranza dei catalani che non vuole la Catalogna indipendente?

Non vogliamo cambiare le menti di nessuno. Spieghiamo il nostro progetto perché crediamo sia il migliore, perché la gente di questo paese possa vivere meglio. E aspiriamo a che vi si sommino sempre più persone. Non c’è un’alternativa reale all’indipendenza perché i catalani possano vivere meglio e sono convinto che sia ogni giorno più evidente. Noi chiediamo che si possa votare e di rispettare le decisioni di tutti i catalani e le catalane.

Si vede come presidente della Catalogna?

Per chi come me si dedica a servire i cittadini, essere presidente della repubblica catalana sarebbe un onore. Ma, come abbiamo sempre detto, in Erc ci sono persone molto qualificate per poter esercitare questa funzione e, in ogni caso, saranno i cittadini a decidere.

Dopo oltre 2 anni di carcere, le sconfitte politiche del processo di indipendenza, le condanne, lei e gli altri protagonisti del movimento sovranista credono ancora nella possibilità di una repubblica catalana?

Ne sono assolutamente certo. Non abbiamo mai pensato che fosse facile e indolore. Ma la strada verso l’indipendenza di Catalogna è irreversibile.

Qual è la prima cosa che farà una volta fuori dal carcere?

Abbracciare i miei figli, la mia famiglia e gli amici. E continuare a spiegare su cosa si basa il nostro progetto e perché crediamo che i cittadini di Catalogna starebbero meglio in una repubblica indipendente dalla Spagna.

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