venerdì 15 gennaio 2021
La responsabile degli Esteri spagnolaa colloquio con Avvenire: il «vincolo mediterraneo» che rappresenta un quarto della popolazione e del Pil, si è tradotto in una spinta decisiva per il Recovery
La ministra Arancha González, 51 anni

La ministra Arancha González, 51 anni

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«Il presidente Trump ha provocato un'erosione del sistema democratico in un paese che è stato il faro della democrazia nel mondo. Un attacco diretto al sistema istituzionale, al suo equilibrio di pesi e contrappesi. La banalizzazione delle regole del gioco, e un linguaggio soverchio di menzogne e incitamento all'odio sfociata nell'assalto al Campidoglio da parte di una turba di cittadini, guidati dal disprezzo per la sede della sovranità popolare». La ministra degli esteri del governo Sánchez, Arancha González Laya, in un'intervista ad Avvenire analizza la scottante attualità: il secondo impeachment al presidente degli Stati Uniti ma anche la crisi che tiene banco in Italia. «In questi momenti di grave incertezza provocata dalla pandemia la cosa più raccomandabile agli stati membri della Ue è la stabilità», osserva, senza voler entrare nel merito della politica interna. Evidenzia piuttosto che «il Recovery Fund deve molto al motore italo-spagnolo, alla buona intesa fra i due Paesi, promotori di una soluzione in cui si canalizza la crisi aperta dal Covid-19».

Ministra, lei ha una lunga esperienza internazionale e di negoziatrice. Basca di San Sebastián, specializzata in diritto europeo, è stata fra l'altro ai vertici della Wto, parla sei lingue e ama l'alpinismo. Qual è la cima più alta che ha dovuto scalare in questo primo anno nel governo Sánchez?

La più complicata è stata la gestione della pandemia, una montagna che abbiamo dovuto scalare nostro malgrado. Un buon alpinista sa che deve prepararsi, conoscere le pareti e il cammino possibile per arrivare alla vetta. Il problema è che nessuno era preparato per affrontare una crisi integrale, sanitaria, trasformata in economica, poi divenuta sociale, di dimensioni globali e imprevedibili. Per questo siamo ancora a metà dell'impresa. La scalata più interessante è stata invece l'accordo sull'uscita del Regno Unito dalla Ue e su Gibilterra, perché eravamo meglio preparati e avevamo chiara la meta. Abbiamo raggiunto un'intesa buona per gli spagnoli ma anche per i gibilterrini, che avevano in comune il desiderio di restare nella Ue. E abbiamo trovato un punto di incontro sul quale costruire una nuova relazione.

L'accordo con il suo omologo inglese Raab fa cadere la Verja che divide la Linea de la Concepción dall'exclave britannica. La considera 300 anni dopo il trattato di Utrecht una vittoria o un effetto collaterale positivo del Brexit?

E' un principio di intesa, che ora Spagna ha chiesto di tradurre in un trattato fra la Ue e il Regno Unito, perché l'estensione di Schengen a Gibilterra o l'applicazione dell'unione doganale sulle merci richiede un consenso comunitario. Chi ha vinto è il XXI secolo, dell'interdipendenza. Abbiamo prefigurato il futuro negoziato, senza cedere sulle questioni di sovranità, il grande punto di disaccordo. Ma quello di grande consonanza è su un nuovo progetto comune per passare, dopo tre secoli di contrasti, a una fase di cooperazione.

A parte Frontex, ci saranno agenti spagnoli a Gibilterra per i controlli alla frontiera Schengen? Il ministro principale Picardo ha intanto sostenuto che le due frontiere di Spagna e Gibilterra restano separate….

E' molto semplice: l'ultima parola sull'entrata di un cittadino nello spazio Schengen attraverso Gibilterra l'avrà la Spagna, è quello che dice il principio di accordo. Il che non è incompatibile con il fatto che Gibilterra possa a sua volta opinare se chi entra nella Rocca lo possa fare d'accordo con le sue basi di dati. Ma è Spagna lo stato membro della Ue.

Il 'vincolo mediterraneo' inaugurato in estate dai premier Sánchez e Conte con la battaglia comune sul Next Generation EU, saldato al vertice bilaterale a novembre a Maiorca, quali cambi ha portato negli equilibri Ue? Teme ora un freno alla ripresa?

Ciò che i cittadini e le imprese e i mercati cercano è stabilità, che significa un piano di recupero chiaro e la capacità di eseguirlo. Ed è su questo che l'esecutivo Sánchez sta incidendo. Il motore italo-spagnolo o ibero-italiano, che rappresenta un quarto della popolazione e del Pil europei, è molti importante. E si è tradotto in una spinta decisiva per il Recovery Fund e la mutualizzazione della crisi del Covid-19. Entrambi Paesi hanno sofferto la crisi finanziaria nel 2008 e visto come la risposta sia stata molto insufficiente non solo per Italia e Spagna ma per la Ue, generando dolore sociale e una stagnazione dell'economia. Abbiamo imparato la lezione e cercato una soluzione differente. E credo che il Next Generation EU, poi fatto proprio dall'asse franco-tedesco che l'ha portato alla Commissione europea, sia una chiara manifestazione del nostro lavoro congiunto. Tuttavia comporta anche una mutualizzazione della responsabilità. Non è un regalo, ci stiamo tutti indebitando. Ma è meglio farlo assieme perché genera fiducia e la capacità dell'Europa di uscire più rapidamente dalla crisi

Gli effetti socio-economici della pandemia saranno più duraturi della crisi sanitaria, nonostante gli sforzi per 'non lasciare nessuno dietro'?

Questa deve essere una delle grandi preoccupazioni delle nostre democrazie: che le crisi non comportino un retrocesso nella lotta alle disuguaglianze. Il nostro governo progressista ne ha fatto un obiettivo principale della sua azione, uno dei 4 assi fondamentali del piano di recupero con la transizione ecologica, digitale e la parità di genere. Non solo simbolica, ma perché il gap esistente è un ostacolo alla crescita economica e al progresso comune. In questo ci giochiamo la solidità della nostra economia, ma anche della nostra democrazia, che non si può sostenere su incrementi costanti delle disuguaglianze.

Roma e Madrid hanno lavorato assieme per imporre a Bruxelles una riforma della condizionalità del Mes, il fondo salva Stati. La Spagna è ancora dell'idea di non farvi ricorso?

Per il momento no. La nostra intenzione è focalizzarci nell'impiego del fondo di recupero per promuovere investimenti trasformatori.

Sul piano sanitario, con un nuovo massimo di 40mila contagi, la Spagna - con l'Italia fra i paesi più colpiti - ricorrerà a un nuovo lockdown totale? La morsa di neve e gelo sulla penisola ha ritardato il piano di vaccinazioni?

Sul piano sanitario, accelerare la distribuzione del vaccino è il nostro obiettivo comune. Grazie allo sforzo comunitario, sta arrivando a tutti simultaneamente, anche se non tutti i paesi dell'Unione non sono capaci di somministrarlo con la stessa rapidità. Qui la nevicata eccezionale non ha fermato la distribuzione, il 65% delle dosi finora ricevute è stato consegnato alle autonomie regionali e stiamo raggiungendo la velocità di crociera. In questa settimana termineremo il ciclo della prima dose di Pfizer a tutti gli anziani e il personale delle residenze che, dalla prossima, riceveranno la seconda dose. Significa che in 5 settimane avremo tutti i nostri anziani nelle Rsa immunizzati. La previsione è di vaccinare 15-20 milioni di spagnoli entro giugno. Quanto al confinamento, Sanità in questa fase non lo ritiene necessario.

Tornando all'azione comune, in materia di politica europea di immigrazione, Spagna - con gli arrivi record alle Canarie -e Italia rischiano di diventare centri di accoglienza e detenzione di massa alla frontiera sud?

L'immigrazione è un altro buon esempio di funzionamento del motore ispano-italiano. Entrambi siamo paesi di primo ingresso e con esperienza di politiche che non hanno funzionato, per cui stiamo promuovendo un patto europeo di immigrazione e asilo che sia responsabile e solidale, dove responsabilità e solidarietà non siano solo a carico dei paesi di prima entrata ma della Ue..
E' vero che continuano ad arrivare migranti in Italia, Spagna, o alla frontiera est, attraverso Bulgaria e Romania. Noi continuiamo assieme a negoziare un accordo, ma ancora non c'è la versione finale.

La politica dei respingimenti è stata una delle fonti di tensione con i soci di Podemos nel governo di coalizione fra il Psoe e la sinistra, così come l'aumento del salario minimo o il no socialista alla commissione d'inchiesta sul re emerito Juan Carlos I. Le differenze minano la tenuta dell'esecutivo?

Esistono punti di vista diversi su come costruire la risposta del governo, che però alla fine è unica. Sul salario minimo interprofessionale è chiara: il nostro è stato il paese che l'anno scorso l'ha aumentato del 20% rispetto ai soci Ue, l'incremento più alto di sempre, per mitigare le disuguaglianze salariali. Abbiamo solo rinviato una decisione a più avanti, quanto avremo più chiara la situazione economica e del mercato del lavoro, dato l'alto numero di disoccupati soprattutto fra i giovani, che non hanno nemmeno capacità di accedere al mercato del lavoro. Non c'è disaccordo sul fondo, ma sui tempi. La volontà è molto chiara ed è interessante quanto è avvenuto in questa crisi: c'è stata una grande dose di corresponsabilità da parte di imprenditori e sindacati, perché anche gli agenti sociali capiscono che la lotta alle disuguaglianze è primaria.

Con la candidatura alla presidenza Generalitat del ministero di Sanità Salvador Illa, il governo Sánchez dovrà procedere a un rimpasto. E' prevista anche una revisione più profonda dell'esecutivo?

Credo che questa decisione corrisponda al presidente del governo, ora immerso nell'urgenza di dare una risposta al problema sanitario e alla crisi, quando sarà il momento. Le elezioni catalane sono annunciate per il 14 febbraio, anche se la stessa Generalitat sta valutando se ci saranno le condizioni per quella data.

L'unilateralità all'indipendenza è a suo parere un capitolo chiuso? Oppure un'eventuale nuova maggioranza sovranista nel Parlament può riaccendere le ambizioni del 2017?

L'illusione dell'unilateralismo ha perso molto vigore e francamente quanto abbiamo visto negli Stati Uniti è stato un campanello di allarme. Siamo tutti coscienti che se vogliamo costruire convivenza, comunità e progetto politico, non si possa fare sulla base dell'unilateralità, ma nelle regole del gioco e del rispetto delle istituzioni. E se le regole del gioco non piacciono, vanno cambiate, ma sempre nell'ambito degli ordinamenti. Quanto abbiamo visto negli ultimi mesi riflette anche il sentire di un'ampia maggioranza delle forze politiche di Catalogna. Possono presentarsi partiti politici diversi, dall'estrema destra all'estrema sinistra, ma la ricerca dell'indipendenza attraverso l'unilateralità, che è chiaramente fallita.

Tranne che per l'ex presidente catalano Carles Puigdemont, riparato a Waterloo…

Anche lui deve scegliere. E' questo è il paradosso: l'incompatibilità della democrazia, che è il governo di tutti e per tutti, con l'unilateralismo. Mai come negli ultimi giorni abbiamo visti che l'unica via sensata è quella democratica del dialogo e del negoziato.

Nelle ore in cui a Washington la Camera dei deputati ha approvato il secondo impeachment al presidente Trump, quali lezioni trarre dalla drammatica congiuntura americana?

La prima è che non c'è democrazia senza rispetto della divisione di poteri, delle istituzioni e degli avversari politici, e che le parole precedono i comportamenti, per cui urge analizzare come le utilizziamo, soprattutto nelle e dalle istituzioni. La seconda è la maniera in cui è avvenuto il trasferimento dei poteri, anche questo nel disprezzo delle regole, perché la normalità democratica vuole che quando si vince si assumono le responsabilità, quando si perde, ci si fa da parte, ma non si delegittima un governo emanato dalla libera volontà degli elettori. La terza, è la debilitazione dell'idea stessa della democrazia come governace, che dà piede a modelli autoritari. Mi preoccupa particolarmente perché la Spagna ha conosciuto la dittatura e sappiamo cosa significa. Sono tre lezioni da tenere a mente per rafforzare ciò che ci unisce e ci definisce come cittadini di società libere. Abbiamo grande fiducia che l'arrivo del presidente Biden e della vicepresidente Harris contribuiranno a un clima di concordia negli Stati Uniti e di intesa nel sistema multilaterale.

Un ritorno al multilateralismo, ma le relazioni transatlantiche torneranno quelle di prima? Oppure l'Europa ha compreso che non durano per sempre?

Per la Spagna la relazione transatlantica è fondamentale per ragioni storiche, di cittadinanza, economiche e politiche. Lavoreremo con la nuova amministrazione Usa a una nuova tappa, che non è quella precedente, perché evidentemente qualcosa è cambiato. Il multilateralismo ha bisogno di una spinta decisa e saremo al fianco degli Stati Uniti per un loro ritorno agli accordi di Parigi sul clima, fondamentale per il nostro futuro; per migliorare la governance dell'Organizzazione mondiale del commercio, dei Diritti Umani e della salute intorno all'Organizzazione mondiale della Salute. Ma lavoreremo anche per un multilateralismo più riformato, più efficace e adattato alle necessità del XXI secolo. E a nuove relazioni transatlantiche, che negli ultimi anni sono andate perdendo un significato strategico. Dopo la II Guerra mondiale lo era la lotta al totalitarismo, poi l'estensione della democrazia nel mondo, infine la relazione transatlantica ha puntato a estendere la globalizzazione nel pianeta. Ora siamo un po' a corto di senso strategico. Se dovessi cercarne uno, sarebbe riumanizzare la globalizzazione. Dotarla di un obiettivo, che è appunto il non lasciare indietro nessun cittadino.

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