sabato 27 agosto 2022
Raddoppiati i tempi di consegna dei vaccini, soprattutto nelle aree più disagiate del mondo. All'appello mancano 400 milioni di fiale. E ora il consorzio cerca di riformarsi
La campagna vaccinale in un ospedale di Nairobi, in Kenya

La campagna vaccinale in un ospedale di Nairobi, in Kenya - Ansa

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Andrés Manuel López Obrador è abituato a scatenare polemiche con le sue dichiarazioni incendiarie. Stavolta, però, la minaccia di denunciare il programma Covax di fronte alle Nazioni Unite per la mancata consegna dei vaccini anti-Covid pattuiti, ha colpito nel segno. Non tanto perché ha prontamente ottenuto l’annuncio di un carico da dieci milioni di dosi. L’ennesima boutade del presidente messicano ha fatto tornare al centro della scena mediatica, dopo mesi di invisibilità, il sistema creato da Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Onu e l’alleanza Gavi in collaborazione con Cepi e Unicef. Abbozzata nel tragico inverno 2020, nel pieno della prima ondata, e presentata ad aprile di quell’anno nell’ambito dell’Act accellerator (iniziativa di risposta al Covid), la piattaforma si proponeva di garantire l’equità vaccinale fra Nord e Sud del mondo. Per farlo, si era impegnata a distribuire entro il 2021, due miliardi di fiale alle 187 nazioni parte del meccanismo, tra cui le 92 più povere del pianeta. A queste ultime, inoltre, i vaccini sarebbero stati dati gratuitamente. Da una parte, dunque, Covax si presentava come una centrale regolatrice degli acquisti, in modo da impedire l’accaparramento da parte di alcuni. Dall’altra, si proponeva di evitare che le diseguaglianze economiche si traducessero in apartheid vaccinale per gli Stati con meno risorse. Traguardi nobili quanto ambiziosi. A un anno e mezzo da quando il primo “carico solidale” ha raggiunto il Ghana, il 24 febbraio 2021, tali obiettivi sono stati raggiunti solo in parte. Finora sono state consegnate 1,63 miliardi di dosi a 146 nazioni. Non poche, in senso assoluto. Si tratta, tuttavia, di 400 milioni in meno a quelle promesse e la distribuzione è avvenuta in quasi il doppio del tempo previsto.
La grande promessa di vaccinare il mondo, inoltre, non è stata mantenuta. O, meglio, buona parte degli Stati, in modo autonomo, è alla fine riuscita a immunizzare i propri cittadini. In totale quasi il 68 per cento della popolazione globale ha fatto almeno la prima iniezione. Gli squilibri, però, restano significativi. I Paesi più ricchi hanno accumulato un surplus di 1,2 miliardi di dosi di cui un quinto rischia di finire nella spazzatura se non sarà utilizzato al più presto. Al contrario, quelli più poveri hanno immunizzato a malapena il 20 per cento della popolazione. In alcuni, come in Yemen, il 2,2 per cento degli abitanti ha fatto la prima iniezione, in Congo il 4 per cento, in Madagascar il 5 per cento. In tutto, una trentina di Paesi ha vaccinato meno del 10 per cento dei cittadini. È evidente, dunque, che qualcosa non ha funzionato. Lo conferma la stessa scelta dei suoi creatori di sospendere l’intero Act-accellerator all’inizio dell’estate in attesa di una ristrutturazione generale dell’impianto Oms di reazione di fronte a una pandemia. Nel frattempo, le consegne di Covax già predisposte proseguono ma si tratta di “ordinaria amministrazione”.
«C’è l’idea di una trasformazione. Si cerca una governance in grado di poter rispondere in modo efficace alle nuove pandemie», spiega Nicoletta Dentico, esperta di salute pubblica della Society of international development (Sid). Se la linea resta quella di un partenariato tra pubblico e privato, ci si interroga su come questo debba essere realizzato nella pratica, anche alla luce degli errori di Covax. Il primo – secondo gli esperti – è stata la scelta di puntare, in pratica, su un unico fornitore: il Serum Institute indiano di Pune.
Quest’ultimo avrebbe dovuto somministrare 1,1 miliardi di fiale, di cui 110 milioni entro maggio 2021. Due mesi prima, però, l’India è stata travolta da un’ondata improvvisa di Covid e ha bloccato le esportazioni. Da quel momento, il programma ha cominciato ad accumulare ritardi. Vi è, poi, una questione di fondo. «Covax non ha dato il giusto protagonismo alla società civile. Questa è arrivata per ultima, mentre gli attori principali sono state le case farmaceutiche», afferma Dentico. Big Pharma, in particolare, ha cercato di utilizzare la piattaforma solidale come alternativa alla richiesta, portata avanti all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), di sospensione temporanea dei brevetti. Ci sono voluti 20 mesi di discussioni infuocate per arrivare, il 17 giugno scorso, all’approvazione dello stop, per quanto abbondantemente diluito. Ora, con una buona dose di ironia, a farsi guerra sui brevetti sono i due colossi farmaceutici Moderna e Pfizer/Biontech, dopo la denuncia della prima di aver “copiato” l’idea del Rna. Sullo sfondo c’è la corsa ad accaparrarsi gli extraprofitti che si preannunciano in seguito alla decisione Usa – ancora da confermare – di terminare la distribuzione dei gratuita dei vaccini, i cui costi passeranno in carico alle assicurazioni. Il sogno di immunizzare il mondo, in questo nuovo scenario, sembra destinato a restare tale. A meno che il nuovo sistema dell’Oms non decida di renderlo tale.

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