lunedì 2 ottobre 2017
Caos e tensione nel giorno della votazione, il governo catalano parla di oltre 800 feriti. Nella notte diffusi i dati sui votanti: oltre due milioni
Dopo il referendum: sciopero generale contro le violenze
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Attonita. Così si è risvegliata lunedì Barcellona dopo la sua giornata più lunga. Domenica il “gioco dell’indipendenza” s’è trasformato in una maratona ad alta tensione. Madrid ha usato la mano pesante per impedire il referendum separatista, definito illegale. La Guardia civil ha fatto irruzione in 92 seggi delle principali città catalane: la gente è stata sgomberata con una buona dose di forza. Il bilancio è pesante: 841 feriti – tra cui una decina di agenti -, alcuni in gravi condizioni.

Il pugno di ferro, però, non ha impedito alla gente di andare alle urne: la Generalitat (l’esecutivo catalano) ha censito 2,2 milioni di partecipanti, il 42 per cento degli aventi diritto. Non solo: ha creato una solidarietà spontanea nell’opinione pubblica nei confronti del fronte indipendentista, che, fino all’ultimo, non ha reagito. Mentre le immagini degli elettori – alcuni anziani – trascinati via in malo modo, pesti e sanguinanti, rimbalzavano sui social network, cresceva l’indignazione sociale.

Anche i vescovi catalani hanno criticato la “deprecabile violenza”. Il cui effetto politico rischia di essere destabilizzante per il già fragile governo centrale del popolare Mariano Rajoy. Quest’ultimo ha difeso fino all’ultimo le cariche della polizia contro “il golpe separatista”. L’opposizione socialista – la cui astensione durante il voto di fiducia aveva consentito l’insediamento del premier meno di un anno fa –, però, ha preso le distanze dall’esecutivo. E ha chiesto di aprire un negoziato con la Catalogna. Il vertice dei partiti in Parlamento, convocato da Rajoy in giornata, rischia di trasformarsi in un processo. Mentre cresce il fronte dei favorevoli a un dialogo con la Generalitat. È possibile? È questa la grande incognita di oggi.

La repressione di domenica ha ulteriormente contribuito a rompere i ponti, già in equilibrio precario, tra Barcellona e Madrid. Eppure le alternative non sono tante. Il presidente della Generalitat, Carles Puigdemont, ha sottolineato che con il 90 per cento di vittoria del sì alle urne, la regione si è guadagnata il diritto a un proprio Stato. Il leader, però, sa bene che una dichiarazione unilaterale di indipendenza – senza sostegno internazionale – non produrrebbe alcun effetto. Se non un nuovo intervento duro da parte spagnola, con lo scioglimento della Generalitat, opzione legalmente possibile in base all’articolo 155 della Costituzione. Per tale ragione, Puigdemont sembra intenzionato a rinviare lo strappo ai prossimi giorni. Nel frattempo, cerca una mediazione europea che faccia uscire la Catalogna dal vicolo cieco del “muro contro muro”.

«Vogliamo risolvere la questione catalana parlando, non vogliamo una rottura traumatica con nessuno», ha detto Puigdemont nel pomeriggio di lunedì, spiegando di desiderare «una nuova intesa con lo Stato spagnolo».

Migliaia di persone sono scese in piazza a Barcellona contro la violenza e martedì ci sarà uno sciopero generale proprio per protestare contro la violenza. Mercoledì al Parlamento europeo si terrà un dibattito sulla Catalogna in seduta plenaria.

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