Tra il rock e la Bibbia un dialogo che parla di ricerca e redenzione
di Luca Miele
Dalle radici gospel e spiritual afroamericane fino alle riletture contemporanee, la musica continua a intrecciare sacro e profano Anche sulle note la salvezza può essere per tutti

Dannati, ribelli e profani? I rocker hanno davvero solo “simpatia per il diavolo”, come cantavano, in una celebre canzone, i Rolling Stones? A ben vedere il rapporto tra la musica rock e la Bibbia è molto più complesso, stratificato e profondo. Basta tuffarsi nel corpus magmatico della canzone americana, ascoltare alcune delle sue voci più significative, per scoprire come nel battito del rock riecheggi (e a volte tracimi) la Bibbia, «il grande canone», secondo la celebre definizione del critico Northrop Frye. Storie, personaggi, simboli, valori, riscritture: un vero e proprio “saccheggio”. Le Sacre Scritture sono una sorta di “pre-testo”, di patrimonio fondativo nel quale la canzone americana non ha mai smesso di tuffarsi. Un’immersione che non conosce una sola direzione, anzi. Siamo davanti a una religiosità inquieta, “mobile”, non immune da ombre, nella quale il confine tra sacro e profano è spesso labile, il travaso tra voce e corpo, tra esperienza singola e vita comunitaria è continuo. Insomma, un qualcosa di tellurico, di contraddittorio, che imbocca strade divergenti.
Eppure, come ha notato il critico Steve Turner, una profonda consonanza allaccia il rock alla Bibbia: il bisogno di redenzione, la spinta alla salvezza. Nel rock convivono luce e oscurità, salvezza e dannazione, desiderio di trascendenza e peccato. In Faith, Hope and Carnage, il suo libro di conversazioni con Seán O’Hagan, Nick Cave restituisce questo nesso: «La musica gioca con il desiderio che molti di noi provano istintivamente: il vuoto a forma di Dio. È la forma d’arte che può colmare più efficacemente quel vuoto, perché ci fa sentire meno soli, esistenzialmente. Ci fa sentire spiritualmente connessi. Certa musica può persino condurci in un luogo in cui può avvenire un fondamentale cambiamento spirituale di coscienza. Nella migliore delle ipotesi, può evocare uno spazio sacro». E per “il re del rock” Elvis Presley, «il rock and roll è fondamentalmente solo musica gospel, o musica gospel mescolata al rhythm and blues». Il racconto biblico inaugura la storia della fratellanza, marchiandola con la violenza omicida e con la violenza dell’omicidio più efferato: il fratello che uccide il fratello. Caino che uccide Abele. Un punto cieco sembra dunque oscurare la storia della salvezza. Per narrare il rapporto sempre conflittuale tra padri e figli, Bruce Springsteen sceglie proprio la figura biblica di Caino. Di più, si identifica con Caino: il figlio – nella canzone Adam Raised a Cain – è figlio della de-generazione. Tra padri e figli si trasmette qualcosa di inesorabile: la colpa, il peccato. «Sei nato in questa vita pagando/per i peccati di qualcun altro/ Papà ha lavorato per tutta la vita per niente altro che dolore/ Ora cammina per queste stanze vuote cercando da maledire/ Tu erediti i peccati, erediti le fiamme/Adamo ha allevato un Caino».
Caino compare in Dirt In The Ground, straziante lamento di Tom Waits, nel quale è richiamato anche Ezechiele 34,7. L’umanità è segnata dal primo omicidio: «Caino uccise Abele con una pietra/ il cielo si squarciò/ il tuono risuonò/ Potranno queste ossa asciutte rivivere lungo un fiume di carne?/ Chiedilo a un re o a uno straccione/ la risposta sarà sempre/ saremo tutti/ polvere nella terra». Un altro figlio biblico rinasce nella canzone Usa. È Isacco. Come nel brano Highway 61 nel quale Bob Dylan riscrive il testo biblico con poche, sferzarti, pennellate. Abramo e Isacco vengo attualizzati e trascinati nella strada, nella storia: «Dio disse ad Abramo, “uccidimi un figlio”/Abramo disse, “ma mi stai prendendo in giro”/ Dio disse, “No.” Abramo disse, “cosa?”/ Dio disse, “puoi fare quello che vuoi/ ma la prossima volta che mi vedi/ farai meglio a scappare”/ se è così disse Abramo, “dove vuoi che lo ammazzi?”/ Dio disse, “là fuori sulla Statale 61”». Isacco fa capolinea anche in Story of Isaac, lunga composizione del cantautore canadese Leonard Cohen. La storia del suo minacciato sacrificio diviene un anatema contro la guerra, contro i padri che “sacrificano” i figli in nome di ideali solo apparentemente superiori: «Voi che costruite questi altari/ Per sacrificare i bambini/ Non dovrete farlo mai più/ Uno piano non è una visione/ E voi non siete mai stati tentati/ da un demone o da un dio».
Un’altra coppia di fratelli, altrettanto “famosa” di quella costituita da Abele e Caino, è raccontata dal vangelo di Luca. La luce della redenzione (e del perdono) illumina il dramma del “figliol prodigo”. Dopo aver dissipato le ricchezze della famiglia, il figlio torna nella casa del padre. Viene riaccolto. Ma c’è l’altro fratello, il fratello “buono”, quello che è rimasto, che è vissuto nell’ombra. E che ora guarda, con odio, il padre prodigarsi per il fratello. A dare voce al “fratello buono” ci ha pensato Nick Cave, in un brano che “rovescia” e scava dentro la narrazione evangelica: «Il figlio buono cammina nel campo/ Fa il contadino, ha mani da contadino/ Ma nel profondo del suo cuore, ora/ Coltiva strani progetti/ Contro suo fratello e contro la sua famiglia/ Anche se adora suo fratello/ E adora sua madre/ Ma suo padre, dice lui, è un uomo ingiusto». Un’analisi del travaso continuo dell’immenso patrimonio che è la Bibbia nella musica d’autore non si può non partire da un gigante della canzone americana: Bob Dylan. «Sarebbe troppo poco dire – ha scritto il critico Alessandro Carrera – che Dylan legge la Bibbia, cita dalla Bibbia, si fa ispirare dalla Bibbia. Dylan è letteralmente attraversato dalla Bibbia, annega nella Bibbia e con la Bibbia risorge alla superficie. Non c’è quasi allusione oscura nelle sue canzoni che non sia riconducibile a un riferimento biblico ». Dylan spinge il suo linguaggio ai limiti dell’indecifrabilità, facendone un intricato, vertiginoso, mosaico poetico. Accatasta immagini, citazioni, allusioni. E saccheggiando la Bibbia. Lo studioso Renato Giovannoli ha battuto con certosina, archeologica competenza, le strade tracciate dall’autore di Knockin’ on Heaven’s door, ricostruendo la presenza vivificante della Bibbia nell’intera produzione del cantante. Un esempio su tutti: All Along The Watchtower. «C’è troppa confusione/ non riesco a trovare pace», canta nei primi versi del brano Dylan. Ma di una «città della confusione» e di una «torre di vedetta » c’è traccia in Isaia (24, 10 e 21, 5) mentre dell’ora che si fa tarda e del dovere di stare in guardia ci si può riferire a Matteo (24, 42-43). Ancora nel testo di Dylan fanno irruzione uno “sciacallo”, l’ululato del vento, l’avvicinarsi di due cavalieri, tutti segni della distruzione che si avvicina. Il riferimento è alla caduta di Babilonia.
Ma da dove arriva l’impronta biblica della musica rock? Quale origine anticipa questo ricorso al deposito di immagini e simboli delle Sacre Scritture? È dal grande corpus dei gospel che il rock eredita le tensioni che non smettono di elettrizzarla: la spinta alla liberazione individuale (prima), collettiva (poi). Tra Bibbia e spiritual c’è una coappartenenza originaria, così come è stata messa a fuoco dall’etnomusicologo Harold Courlander: «Se gli spiritual fossero sistematizzati in ordine cronologico rappresenterebbero una versione orale della Bibbia. Ogni canto si nutre di un passo significativo delle Sacre Scritture». La centralità del canto nella cultura afroamericana è stata colta dal teologo James H. Cone: «Per i neri il loro essere dipende interamente dal canto. Attraverso i canti, essi costruirono nuove strutture per vivere in una terra aliena». E, come ha sottolineato Franco Minganti, «il Cristianesimo fu per il nero esperienza di oralità e gestualità: si fece dialogo, preghiera, canto, urlo, danza, trance. Esorcismo, ritmo della sacralità e del magico della vita». Un esempio di questa stratificazione è il simbolo del treno, onnipresente nella musica americana. Come nel brano Land of Hope And Dreams di Bruce Springsteen che cuce assieme il gospel This Train e Bound To Glory di Woody Guthrie. Springsteen si distanzia, però, dal suo “modello” Guthrie. Per l’autore di This Land Is Yuor Land, considerato uno dei padri nobili della canzone folk americana, la salvezza è riservata «ai santi ai giusti»: «i ladri, i bugiardi, i giocatori d’azzardo » non salgono sul «treno che corre verso la gloria». Sul treno cantato da Springsteen ci sono, invece, tutti: «buffoni e re», «santi e peccatori », «perdenti e vincitori». La salvezza non ammette tagli o esclusioni, fratture o pedaggi. La salvezza, cantata dal rock’n roll, è inclusiva. Chiama tutti, interpella tutti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA






