Sempre più urgente l’educazione ai media
di Redazione
Caro Direttore, il Papa nel suo messaggio sui media e il cardinale Tettamanzi – nel suo recente discorso ai giornalisti – hanno ricordato quanto è importante l’educazione dei figli al buon uso dei media. Ci domandiamo se ci sono e quali siano le norme per evitare che siano nocivi. Già la nostra Costituzione stabilisce all’ultimo comma dell’art. 21 che «... sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e reprimere le violazioni», e il Codice penale interviene con gli articoli 527, 528 e 529, che però non sono praticamente applicati ai media. Per i quali invece c’è un apposito «codice di autoregolamentazione tv e minori» adottato nel 2002 e trasformato in vera legge nel 2004, la cui applicazione è affidata al Comitato tv e minori, come spiega Corrado Calabrò – presidente dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni – su «Il telespettatore» di dicembre 2008, il mensile dell’associazione spettatori Aiart. «Ci sono poi – aggiunge – il codice 'Internet e minori' del 2003 e il codice di autoregolamentazione dei gestori di telefonia mobile del 2004, ma l’applicazione di questi codici dipende dalla buona volontà dei gestori, dei quali c’è poco da fidarsi e se sbagliano non ci sono sanzioni, di cui invece c’è bisogno. Anche la bozza di codice di autodisciplina, che aveva elaborato il ministero delle Comunicazioni nella passata legislatura, per fortuna non è stata realizzata, perché nessuno si punisce da solo. Ciò che occorre invece è una nuova unica legge, che definisca la difesa dei minori e le sanzioni per ogni violazione dei loro diritti, da far valere per tutti i media, dalla tv a internet, videogiochi e videotelefoni. E questo aveva infatti deliberato il 15 maggio 2007 il Consiglio nazionale degli utenti dell’agenzia delle comunicazioni, con una precisa bozza di legge – pure riportata da «Il telespettatore» – che prevedeva un unico codice di norme e di sanzioni per tutti, ma questa proposta nessuno l’ha realizzata. Eppure ci sono tre enti responsabili delle comunicazioni: il Ministero, l’Autorità e l’Agenzia; perché non si mettono d’accordo per produrre un’unica legge a difesa dei minori?
Antonio Marzotto Caotorta, Milano
La sua domanda finale, caro Caotorta, legittima e ben posta, è il nocciolo della questione. In effetti risulta incomprensibile come a tutt’oggi manchi un testo unico di legge a protezione dei minori; un testo non solo unico ma univoco, al quale debbano attenersi controllori ( cioè i vari enti preposti) e controllati ( ovvero i media, i produttori di informazione e di comunicazione). Mentre un tempo lo spazio televisivo e d’intrattenimento deputato ai bambini e agli adolescenti era quello – ben circoscritto nella giornata – della « tv dei ragazzi » e del fumetto per l’infanzia, oggi con i palinsesti prolungati, con internet, coi videogame, coi telefonini e messaggini vige una « deregulation » piena di rischi e di insidie, soprattutto del pericolo di trasformare il minore da « utente » ( di un servizio pubblico dai contenuti morali e culturali tutelati) a « cliente » di servizi privati ottenibili comunque, talora pagando, talora con un semplice « clic » che qualunque ragazzino d’oggi può fare, soprattutto in assenza dei genitori, come comunemente avviene. Condizione perché l’immensa quantità di contenuti che affolla l’etere e il web non divenga un’ingovernabile « terra di nessuno » è che i vari codici di autodisciplina ( in mancanza di una norma universale) siano effettivamente fatti rispettare; il che vuol dire anche poter applicare – e applicare realmente – sanzioni e punizioni severe nei confronti dei trasgressori e degli abusi, cosa che quasi mai avviene. In questi anni, la nozione di « buon costume » si è radicalmente modificata se non appannata, così come si è abbassata la soglia della sensibilità comune alla volgarità e ai contenuti « forti » dal punto di vista dell’immagine e dell’impatto emotivo. Se davvero la televisione è il « grande fratello » del XXI secolo, dobbiamo poterne verificare la funzione formativa ed educativa: per farlo, servono strumenti efficaci. Merita segnalazione, in questa direzione, l’iniziativa dell’Aiart ( associazione che anche lei cita) – alla quale diamo spazio oggi a pagina 13 – che ha lanciato una campagna di raccolta firme per una proposta di legge d’iniziativa popolare per introdurre, nei programmi della scuola, l’educazione ai media.
La sua domanda finale, caro Caotorta, legittima e ben posta, è il nocciolo della questione. In effetti risulta incomprensibile come a tutt’oggi manchi un testo unico di legge a protezione dei minori; un testo non solo unico ma univoco, al quale debbano attenersi controllori ( cioè i vari enti preposti) e controllati ( ovvero i media, i produttori di informazione e di comunicazione). Mentre un tempo lo spazio televisivo e d’intrattenimento deputato ai bambini e agli adolescenti era quello – ben circoscritto nella giornata – della « tv dei ragazzi » e del fumetto per l’infanzia, oggi con i palinsesti prolungati, con internet, coi videogame, coi telefonini e messaggini vige una « deregulation » piena di rischi e di insidie, soprattutto del pericolo di trasformare il minore da « utente » ( di un servizio pubblico dai contenuti morali e culturali tutelati) a « cliente » di servizi privati ottenibili comunque, talora pagando, talora con un semplice « clic » che qualunque ragazzino d’oggi può fare, soprattutto in assenza dei genitori, come comunemente avviene. Condizione perché l’immensa quantità di contenuti che affolla l’etere e il web non divenga un’ingovernabile « terra di nessuno » è che i vari codici di autodisciplina ( in mancanza di una norma universale) siano effettivamente fatti rispettare; il che vuol dire anche poter applicare – e applicare realmente – sanzioni e punizioni severe nei confronti dei trasgressori e degli abusi, cosa che quasi mai avviene. In questi anni, la nozione di « buon costume » si è radicalmente modificata se non appannata, così come si è abbassata la soglia della sensibilità comune alla volgarità e ai contenuti « forti » dal punto di vista dell’immagine e dell’impatto emotivo. Se davvero la televisione è il « grande fratello » del XXI secolo, dobbiamo poterne verificare la funzione formativa ed educativa: per farlo, servono strumenti efficaci. Merita segnalazione, in questa direzione, l’iniziativa dell’Aiart ( associazione che anche lei cita) – alla quale diamo spazio oggi a pagina 13 – che ha lanciato una campagna di raccolta firme per una proposta di legge d’iniziativa popolare per introdurre, nei programmi della scuola, l’educazione ai media.
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