Riverdersi ragazzi solitari tra questi campioni di umanità

L’atrofia sentimentale dell’adolescenza e l’incontro con studenti, volontari e giovani speciali di tutto il mondo all'associazione Jupiter di Viterbo
July 18, 2025
Riverdersi ragazzi solitari tra questi campioni di umanità
-- | Affinati con studenti, volontari e ragazzi speciali dell’associazione Juppiter a Viterbo
Da Milano a Roma, in un viaggio povero, lento e condiviso, lungo la Via Francigena, per raggiungere piazza San Pietro e consegnare una lettera al Papa. È il Cammino della Pace che ha visto protagonisti i ragazzi delle scuole Penny Wirton, una rete di 65 associazioni i cui docenti volontari insegnano gratuitamente italiano ai migranti. Eraldo Affinati, scrittore e fondatore nel 2008 con la moglie Anna Luce Lenzi della prima Penny Wirton romana, racconta ogni settimana una tappa di questo cammino. Condividendo gli incontri lungo la strada e le parole ascoltate.

Il cammino della pace sta volgendo al termine. Domani sarò a Roma, dove ritroverò i volontari della nostra scuola insieme ai tanti amici studenti di ogni parte del mondo che vorranno intervenire alla giornata conclusiva. Ma ora, nel chiostro della chiesa della SS. Trinità, a Viterbo, ripenso agli innumerevoli incontri avuti nelle tappe precedenti: un’esplosione di mondi umani pronti ad incrociarsi gli uni con gli altri nella costante rivendicazione di cose che noi spesso diamo per scontato: lavoro, giustizia, dignità, accoglienza, fraternità. Vecchi scogli eretti dai nostri simili per contrapporsi alla natura ferina che purtroppo ci appartiene e di cui continuiamo a scrutinare senza sosta i segni ogni ora nella striscia di Gaza e nell’oblast di Zaporizhzhia, contro i quali si abbatte la cupidigia, l’arroganza, l’istinto primordiale della sopravvivenza cieca che spinge gli individui a scannarsi senza pensare alla possibilità di alcuna riconciliazione, calpestando le convenzioni internazionali e le antiche pietà formulate da certi nostri padri.

In questo eremo agostiniano, scorrendo gli affreschi di Marzio Ganassini dedicati alla vita del santo d’Ippona, oltre centotrenta metri di pittura con quarantaquattro grandi quadri rettangolari, mentre si susseguono al di sopra altrettante lunette dipinte, il quale portò a termine l’opera in soli sei mesi, da maggio a ottobre del 1606, ripenso alla classica biografia che dell’autore delle Confessioni, caposaldo della letteratura autobiografica occidentale, ci lasciò Possidio, che lo conobbe intimamente: negli ultimi anni della vita del santo, mentre i Vandali distruggevano le chiese, uccidevano gli abitanti, torturavano i sacerdoti, incendiavano tutto, il vecchio monaco moribondo trovava la forza di rispondere al vescovo Honoratus, che gli aveva chiesto quale atteggiamento avrebbe dovuto tenere il clero durante l’invasione barbarica, se ad esempio bisognava fuggire, preservando almeno i simboli religiosi di ciò che veniva distrutto, o restare sul posto per dividere la sorte estrema insieme alla comunità assediata. Le parole di Agostino, accorte e circostanziate come pochi avrebbero saputo scrivere nelle sue condizioni, conservano un valore universale che dovremmo far nostro. Fra le tante che potremmo citare: «Nessuno accordi troppo valore alla propria persona, da dire, se gli par di eccellere in qualche qualità, di essere più degno di vivere, e perciò di fuggire. Chiunque pensa così, piace troppo a sé stesso; chi poi anche lo dice, dispiace a tutti».

Esco nel quartiere dove viene da secoli venerata l’icona della Madonna Liberatrice che il 28 maggio del 1320, secondo la leggenda, protesse la popolazione dal terrore delle tenebre infernali, una zona dove a tutt’oggi il disagio sociale appare evidente, per recarmi nella Casa delle Arti, nel quartiere Pilastro, sede della locale Penny Wirton, pronta ad accogliere, all’interno dell’associazione Juppiter, fondata nel 1992 da Salvatore Regoli, nello spirito di don Antonio Mazzi, gli immigrati che a Viterbo desiderano imparare la nostra lingua in un rapporto personale con l’insegnante, senza sottostare al sistema precettistico del voto da assegnare e del diploma da rilasciare. Noi, per riprendere una preziosa intuizione di José Luis Corzo, uno degli esegeti più perspicaci di don Lorenzo Milani, vorremmo andare oltre l’efficacia, puntando piuttosto alla giustizia.

Entrando nella sala affollata di studenti e volontari, mischiati ai ragazzi cosiddetti speciali, come vengono definiti i tanti disabili ospitati in questa struttura, ed è tale presenza il tratto a mio avviso più bello di Juppiter, pochi attimi prima di sedermi in mezzo a loro, ho la sensazione di salutare la mia adolescenza solitaria e ribelle. Se l’Eraldo quindicenne, asociale e introverso, per qualche miracolo profetico, avesse potuto vedere come sarebbe diventato da adulto, pronto a incontrare persone d’ogni tipo, mettendosi in gioco senza timore, non avrebbe creduto ai propri occhi. E se, viceversa, a causa di un prodigio retrospettivo, ora avessi il potere di dialogare con il giovane ansioso e insoddisfatto, ribelle e inquieto, che sono stato, sarei tentato di cancellare l’immagine di quel me stesso di un tempo, come se non fosse mai esistita: sarebbe, me ne rendo conto, un grave errore, perché se adesso mi sento attirato da quelli che mi vogliano regalare le parole di pace da portare in piazza San Pietro donandole a papa Leone XIV, ciò dipende proprio dal fatto che non ho dimenticato l’atrofia sentimentale da cui provengo.
Perché nel momento in cui Elena e Olga, russe, comunicano in cirillico lo stesso bisogno di letizia e serenità che anima la loro coetanea ucraina, costretta a fare la badante pur essendo laureata in economia, sento i brividi scorrermi sulla pelle? Forse a causa della stessa ragione per cui, quando Foday, originaria del Gambia, dove qualche anno fa andai a conoscere la madre di un mio studente alla Città dei Ragazzi, esprime il bisogno di volerci bene, percepisco da parte mia la necessità di recarmi fisicamente sul luogo delle operazioni. Alle persone pronte a venirmi incontro lungo la via, provenienti da Stati segnati dal rancore, non servono troppe parole per testimoniare le motivazioni dell’esilio che oggi patiscono. Una madre libanese ci spiega in poche battute, le lacrime agli occhi, la terribile condizione in cui versa il suo Paese. Padre Joseph e una signora congolese ricordano con cenni sommessi la loro terra ricca e martoriata.

Barbara Paris, coordinatrice della scuola insieme a tante altre volontarie, organizza e gestisce gli interventi: provo riconoscenza e gratitudine nei confronti di queste campionesse d’umanità. Le emozioni che sento di fronte a loro non avrei potuto averle se da bambino non avessi sofferto la mancanza delle parole che ora sto raccogliendo. Ecco perché le frasi composte da Shauma, diciassettenne yemenita, che potrebbe raccontare non solo i deserti della sua origine, anche la neve alta fino alle ginocchia attraversata al confine fra Svezia e Norvegia, mi toccano il cuore nel profondo: «Sono una ragazza nata in mezzo alla guerra che ha portato via ogni cosa bella intorno a me… Signore, sono uomini malvagi… Ma noi siamo i peggiori, quando ci hanno chiesto aiuto e siamo rimasti in silenzio…». La guardo, piccola, minuta, la veste tradizionale e il cellulare in pugno, incarna il vecchio e il nuovo mondo: credo che se ci sarà una vittoria, da qualche parte nel pianeta e chissà forse oltre ancora, dovrà essere lei a ricevere la medaglia d’oro.

Pochi minuti dopo l’incontro, una delle ragazze speciali, seduta in carrozzina, mi fa domande con un meraviglioso sguardo obliquo sotto il controllo premuroso dell’educatrice tunisina, più volte si scusa per essere intervenuta durante la conferenza facendo osservazioni e commenti. Non sa che i suoi interventi erano rose rosse sui campi arati. E questo ricordo resta, a conti fatti, uno dei momenti più preziosi del nostro cammino di pace.

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