Papa Leone XIV e la scelta di campo per i poveri
Con l'esortazione apostolica "Dilexi te" il Santo Padre invita a guardare i poveri negli occhi: non una categoria astratta, ma volto concreto di Dio e misura dell’amore vero

È la prima, ineludibile soglia: il volto dell’altro. E attraversarla, davvero, con lo sguardo, richiede coraggio. Il coraggio di creare un contatto. Non è un caso che la parola “volto” – tra singolare e plurale – ricorra sei volte nell’Esortazione di papa Leone dedicata all’amore verso i poveri. Un amore concreto, fatto di pensiero, di emozione, di gesti. Anche piccoli, come l’elemosina: non modo sbrigativo di scaricarsi la coscienza ma occasione necessaria per guardare in faccia chi ha bisogno. Solo sottraendo la povertà alla comodità di categoria astratta si spiega il vincolo inseparabile tra il Dio che sceglie di farsi carne affamata, assetata, malata, carcerata per incontrare fisicamente le sue creature, e le più dimenticate fra queste ultime. Il Messia povero, venuto a realizzare nell’oggi della storia la liberazione integrale di chi è prigioniero del male, dell’ingiustizia, dell’esclusione. Dovrebbe sorprendere, dunque, la riluttanza di tanti nei confronti di una «decisa e radicale scelta di campo a favore dei più deboli», della denuncia dell’oppressione, dell’impegno per la giustizia. O forse no. Annacquare la Parola, con cavilli dottrinali ammantati di spiritualismo, diventa un meccanismo quasi istintivo di difesa di fronte a un messaggio che inquieta. Perché prendersi cura della fragilità altrui richiede innanzitutto ammettere la propria.
Anche la Chiesa, talvolta, non è immune dal rischio di “aporofobia”, neologismo coniato dalla filosofa spagnola Adela Cortina per definire il rifiuto nei confronti degli ultimi della fila. I poveri stessi, però, sono il cuore del Vangelo e contribuiscono, in modo decisivo, a salvarla. Onorando il suo nome, Leone ripercorre gli ultimi due secoli di Dottrina sociale, sottolineandone la radice profondamente popolare. Chi ha vissuto sulla propria pelle le contraddizioni di modelli produttivi iniqui, non si è limitato ha subirle: le ha affrontate e pensate. Abituati a guardare la realtà dai margini – da dove si vede meglio - i poveri acquisiscono «una specifica intelligenza, indispensabile alla Chiesa e all’umanità». Per questo, citando Francesco, Leone definisce i movimenti popolari – agli esclusi che resistono e non si rassegnano è dedicato il paragrafo conclusivo del capitolo sulla “Chiesa per i poveri” – fonte di rigenerazione per la democrazia. E – aggiunge di proprio pugno – per le istituzioni della Chiesa. Dall’accento posto sulla soggettività degli ultimi – asse portante dell’Esortazione – emerge tutta la forza dell’esperienza peruviana del missionario Robert Prevost. Là, non ancora trentenne, ha conosciuto e fatto proprio il percorso compiuto dell’Episcopato latino-americano – da Medellín ad Aparecida – per ripensare il rapporto con i poveri. Un tragitto che, con Jorge Mario Bergoglio, è giunto al soglio di Pietro. Se Francesco era naturalmente figlio di quella Chiesa in quanto latino-americano, Leone, uomo del Nord geopolitico per antonomasia, ha deciso di diventarlo. La scelta trasuda da ogni pagina dell’Esortazione. Nella denuncia appassionata della «strutture di peccato» che uccidono la dignità di milioni di donne e uomini. Nella menzione di Óscar Romero. Nel definire i poveri non una «questione sociale» bensì «familiare» poiché sono – dice con un’espressione mutuata dallo spagnolo – «dei nostri». Nel rileggere e arricchire i temi forti del precedente Pontificato. Nell’affrontare senza remore il nodo della teologia della liberazione attraverso la citazione corretta dell’Istruzione del 1984 dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, il quale, nell’invitare a evitare derive, al contempo, esorta i difensori della “ortodossia” a non disgiungere la preoccupazione per la purezza della fede da quella di dare «un’efficace testimonianza di servizio del prossimo, e in modo tutto particolare del povero e dell’oppresso».
Spazzate via le false giustificazioni, Dilexi te mette ogni credente – e ogni essere umano – di fronte a un interrogativo cruciale che si ripete nello spazio e nel tempo: i meno dotati non sono persone umane? I deboli non hanno la stessa nostra dignità? Quelli che sono nati con meno possibilità valgono meno come esseri umani, devono solo limitarsi a sopravvivere? La risposta di Leone è un sogno: «Una Chiesa che non mette limiti all’amore, che non conosce nemici da combattere, ma solo uomini e donne da amare». La Chiesa di cui oggi il mondo ha bisogno. Come ha ricordato ieri il cardinale Matteo Zuppi, con Dilexi te papa Leone XIV invita «la Chiesa e i cristiani a una scelta di campo, oltre che a un cambio deciso di prospettiva».
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