Padre Eligio Gelmini, il frate che ha vissuto sulla frontiera delle dipendenze

S'è spento a Milano, all'età di 94 anni, il carismatico (e a volte discusso) ideatore di "Telefono Amico" e di "Mondo X". La sua eredità è una rete di comunità dove ancora oggi rinascono migliaia di ragazzi
December 1, 2025
Padre Eligio Gelmini coi suoi ragazzi / ANSA
Padre Eligio Gelmini coi suoi ragazzi / ANSA
La fedeltà ostinata agli ultimi fra gli ultimi, quelli che non chiedono aiuto perché non hanno voce per farlo, i reietti, i dimenticati: alla linea rossa che attraversa la storia della Chiesa, e della Chiesa italiana, a partire dalla fine degli anni Sessanta s’è intrecciato indissolubilmente il mondo delle dipendenze. Furono per primi preti e suore ad accorgersi dei ragazzi sperduti che vagavano per le strade delle nostre città, all’epoca segnate dall’avanzata inesorabile dell’eroina. Furono preti e suore a sognare, e poi costruire attorno a sé da Nord a Sud, le prime, pionieristiche comunità d’accoglienza, facendosi carico dei derelitti di cui le famiglie e la società si vergognavano, o più spesso si lavavano le mani. Fra loro – figure carismatiche, anticonformiste, spesso discusse – c’era padre Eligio Gelmini, che s’è spento nei giorni scorsi a Milano all’età di 94 anni. Un frate atipico, che chi ha conosciuto ricorda per il suo passo svelto, la parlata colorita, un modo di vestire eccentrico, ma che dello sguardo sulla disperazione fece la sua ragione di vita.
Quando la grande metropoli cominciò a contare i primi morti di droga, padre Eligio decise d’aprire la porta. Quella del convento di Sant’Angelo, prima di tutto, dove nel 1964 fondò il “Telefono Amico”: cinque linee in un appartamento di via Copernico, giovani francescani che rispondevano notte e giorno, registri scritti a mano che diventavano – come amava dire – “una banca dell’amore e una mappa della solitudine”. La prima chiamata fu quella d’una donna che aveva tentato il suicidio. Poi decine, centinaia, migliaia di voci seguirono. Sessant’anni dopo, il servizio è ancora lì, cresciuto e necessario, con tanti volontari a tenere in piedi un ascolto che lo Stato fatica, ieri come oggi, a garantire. Nel 1967 arrivò "Mondo X", la sua creatura più cara: un’altra porta spalancata, stavolta ai tossicodipendenti appunto, quando la tossicodipendenza non aveva né nome né diritti. Da Milano a Cozzo, da Cetona all’Isola di Formica alla Sardegna fino al monte Tabor, padre Eligio costruì comunità dove l’essenziale – lavoro, silenzio, responsabilità – diventava cura. Per chi ci entrava, per chi le visitava, per i territori in cui le strutture sorgevano: luoghi presi in carico dai ragazzi e trasformati in oasi di pace e d’accoglienza. Un modello che restituì dignità a migliaia di giovani precipitati in un abisso allora invisibile alla politica.
Lui, coi suoi ragazzi, amava trascorrere il tempo. Li conosceva uno a uno, li chiamava per nome, spesso li rimproverava coi modi bruschi d’un padre deluso e arrabbiato, per poi abbracciarli e sostenerli nelle loro fragilità: “Siete cresciuti nel disordine e tra le brutture” ripeteva, “ora dovete abituarvi all’ordine e alla bellezza”. Ma per sostenere (anche economicamente) le comunità non disdegnava la frequentazione dell’alta società in cui finì per trovare amici altrettanto veri, a partire da Gianni Rivera, a cui lo legava la sconfinata fede calcistica al Milan. Le serate mondane e le domeniche allo stadio gli valsero i soprannomi di “frate by night” o “fratel dribbling”, negli anni fu travolto dalle polemiche e perfino da qualche guaio giudiziario assieme al fratello Pierino, un altro pilastro del mondo delle dipendenze con la sua Comunità Incontro. Eppure ridurre padre Eligio a un “personaggio” sarebbe un errore: fu piuttosto un testimone, uno di quei cristiani che scelgono il margine perché sanno che lì, nel luogo dove l’uomo è più fragile, Dio si lascia incontrare con meno resistenze; la prova concreta di una Chiesa che sa vedere figli dove altri vedono scarti, senza giudicarli mai. Le sue comunità resistono. Le solitudini, purtroppo, anche. Ed è forse questo il suo ultimo insegnamento: senza qualcuno disposto a credere che nessuno è irrecuperabile, gli ultimi restano ultimi.

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