Ogni percorso di educazione
deve avere il passo dell’umiltà

Il libro “Cuore” appartiene al passato. Non esistono le scuole dei migliori, gli atteggiamenti élitari promuovono una visione gerarchica dell’istruzione che non è positiva
November 1, 2025
Ogni percorso di educazione
deve avere il passo dell’umiltà
Il cortile di un liceo milanese / FOTOGRAMMA
La scorsa estate mi sono imbattuto nei compiti estivi assegnati alle future classi prime da un rinomatissimo liceo. Da prof di lettere delle superiori in un liceo, li ho letti con grande attenzione: ero curioso di sapere cosa proponesse ai suoi futuri studenti una scuola tanto quotata. Mi sono trovato di fronte a un lunghissimo elenco di esercizi, al suggerimento (sacrosanto) di leggere tanto tanto tanto e all’indicazione, in particolare, di alcuni libri. Il primo e fondamentale era “Cuore” di Edmondo De Amicis. Con tutto il rispetto per i colleghi e per De Amicis, autore di uno dei capisaldi della nostra storia e della nostra letteratura, ho cominciato ad avere qualche perplessità. Ho letto il libro Cuore in giovane età, amandolo e commuovendomi. L’ho riletto poi da insegnante, ad anni di distanza e con un maggiore senso critico. È un libro certamente emblematico, che ha educato generazioni di italiani, ma mi chiedo se, tra tutti i possibili romanzi da assegnare a ragazzi che vivono la loro emozionante estate tra la terza media e la prima superiore, sia opportuno scegliere quello come primo e fondamentale. Un’opera profonda, ma anche molto molto retorica, moralista, con una visione pedagogica e un sistema valoriale riferiti a una società che non esiste più. Un utile documento per comprendere un’epoca, ma è questo il senso di una lettura estiva? Io penso che sia necessario, prima di tutto, suscitare passione per la lettura in ragazzi che affronteranno cinque anni di letteratura. Penso che il primo obiettivo sia far loro capire che leggere può essere piacevole, arricchente, esaltante; leggere può essere una valida alternativa ai video, ai reel, ai social. Sperimentando il piacere della lettura si accende il desiderio di andare avanti, si apre un mondo, si accetta la fatica. Il gusto di leggere è il primo passo per affrontare testi sempre più complessi, impegnativi, sfidanti. Mi chiedo se il libro Cuore, un indubbio capolavoro, sia il romanzo adeguato per accendere questo gusto, per suscitare questo interesse.
Un’altra cosa che mi ha molto colpito di quel lungo elenco di compiti era il tono con cui erano scritti. In più passaggi si sottolineavano i doveri di un liceale, la necessità di raggiungere certi standard, le alte aspettative dei docenti a cui tutti i futuri studenti avrebbero dovuto attenersi, la serietà richiesta a loro in quanto, appunto, liceali. Essere esigenti è formativo, per carità: un ambiente educativo richiedente aiuta a crescere. Il rischio è però che l’essere giustamente richiedenti e stimolanti diventi un atteggiamento elitario, da primi della classe. Il confine, talvolta, è sottile. Mi è capitato più volte, ascoltando i discorsi di alcuni insegnanti, ma anche di diversi genitori di liceali, di cogliere un certo autocompiacimento, come se il liceo fosse la scuola dei migliori, dei più selezionati, di coloro che saranno ai vertici della società. C’è il liceo, la scuola più prestigiosa, di cui andare fieri, e poi, sotto, tutte le altre: istituti tecnici, istituti professionali e così via, fino ai gradi più infimi. E tra i licei stessi ci sarebbe secondo alcuni (anche insegnanti delle medie che si occupano di orientamento) una certa gerarchia: tra il rinomato liceo di una grande città e un liceo di provincia intercorrerebbe un abisso. Molti anni fa, durante una festa a scuola, assistetti a uno scambio di cori tra liceali e studenti dell’istituto tecnico. I secondi cantavano ai primi: “Voi sapete solo studiare!” I primi, dal canto loro, replicavano: “Noi saremo i vostri padroni!” Goliardia, certo: era un gioco, un modo per scherzare insieme. Uno scherzo che tuttavia rispecchia, in modo inquietante, una mentalità forse un po’ troppo diffusa. Credo che promuovere una visione gerarchica delle scuole sia un grave errore. Lo dico da prof del liceo: i liceali non sono superuomini, non appartengono a una gerarchia speciale. Far passare questo messaggio non è educativo. Non esistono indirizzi di scuole di serie A e di serie B, così come non esistono lavori più dignitosi di altri. Ciò che fa la differenza è lo stile e la consapevolezza con cui si frequenta una scuola o con cui ci si impegna nel proprio lavoro.
Penso a un ex allievo, ora pasticcere, che mi raccontava di mettere l’anima nella propria professione: era consapevole che con i suoi dolci qualcuno avrebbe festeggiato, che sarebbero stati condivisi in un momento magari felice, e il suo impegno nel prepararli al meglio era un modo per partecipare a quella gioia. Penso a un ex allievo addetto al controllo di qualità di una industria di pneumatici, alla passione con cui mi spiegava che su quelle gomme avrebbe viaggiato un autotrasportatore per fare il suo lavoro o una famiglia per andare in vacanza: per questo lui si impegnava sempre al massimo, perché sentiva che il suo lavoro era al loro servizio. Penso a un prof di un centro di formazione professionale che insegnava agli elettricisti, trasmettendo con passione ai suoi studenti la necessità del rigore e dell’impegno: “Un impianto realizzato bene, sicuro, a regola d’arte, non solo è necessario alle persone per fare tantissime attività, ma salva loro la vita” mi diceva, fiero dal suo lavoro. Un lavoro non solo tecnico, ma anche di accompagnamento educativo verso la consapevolezza di sé. Ma penso anche, purtroppo, a diversi ex studenti costretti a fare il liceo dalle aspettative proprie o dei genitori: poveri ragazzi fuori posto, che finivano per sentirsi dei falliti, degli incapaci, quando invece non lo erano affatto: avevano semplicemente scelto una scuola non attinente alle loro caratteristiche. Erano come un attaccante costretto a giocare in porta, o come Sinner strappato dai campi da tennis e costretto a correre il Giro d’Italia in sella a una bici. La serietà e l’impegno non sono un’esclusiva dei liceali, devono appartenere a tutti. Così come tutti hanno diritto a ricevere stimoli culturali adeguati, proposte formative alte. Conosco un centro di formazione professionale gestito da personale appassionato e insieme esigente. Se non hai la divisa, non entri in laboratorio. Che tu ti occupi di cucina o di impianti, ti è richiesto il rigore assoluto in ogni singolo gesto. Ma, allo stesso tempo, questo centro organizza concorsi letterari, incontri con autori e personaggi noti che possano essere di ispirazione, uscite culturali di alto livello. Perché la cultura vera può arrivare a tutti, non è appannaggio di un’élite.
Verba docent, exempla trahunt: le parole insegnano, gli esempi trascinano. Un docente che si crede superiore a colleghi che insegnano in altri indirizzi o gradi di scuole, un docente che considera la scuola in cui insegna di una categoria superiore, un docente che vuole avere a che fare solo con gli allievi migliori e sotto sotto pensa che altri, altrove, siano spazzatura, di certo non aiuta a crescere chi ha di fronte: i suoi studenti respireranno queste sue convinzioni, anche se non esplicitate. Uno dei fondamenti di ogni cammino educativo vero è l’umiltà: una parola bellissima, che richiama la necessità di stare coi piedi per terra. Solo chi sta coi piedi per terra, solo chi non guarda gli altri dall’alto in basso può ritenerli degni di cura, di attenzione, di dedizione, e solo chi si prende cura degli altri più trovare la via della propria realizzazione, che faccia il direttore di banca, l’operatore ecologico, il medico, il muratore, il presidente della repubblica, il missionario o il meccanico. Che abbia letto o meno il libro Cuore.
Insegnante e scrittore

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