Non rovesciate quel tavolo

November 7, 2013
Difficile dire se questa sia infine la volta buona, dopo dieci anni di incomprensioni, rotture, speranze di accordo svanite dopo estenuanti trattative. Ma l’impressione è che se non si riuscirà a riprendere il filo del negoziato sul nucleare durante questo nuovo incontro diplomatico a Ginevra fra Iran e i rappresentanti della comunità internazionale, allora è difficile che sarà possibile farlo in futuro.Perché oggi l’Iran sembra essere finalmente determinato a ottenere un onorevole compromesso, superando i suoi ben noti tatticismi e improvvisi cambi di linea: il nuovo presidente ha messo in campo la miglior squadra possibile, con diplomatici che conoscono bene l’Occidente e che in Occidente sono stimati. Rohani stesso sta usando tutto il suo potere per convincere chi, in Iran, si ostina a non voler un accordo, offrendo il fianco alle critiche – che non sono infatti mancate, e anche molto aspre – da parte degli ultraradicali e della fazione più irriducibile dei pasdaran.Ma l’aspetto che oggi rafforza l’ottimismo è dato dalle dichiarazioni pubbliche di sostegno alle trattative da parte della Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, che per anni aveva fatto "da tappo" rallentando e vanificando ogni accordo. Non che abbia meno sfiducia verso l’Occidente; semplicemente, non vuole passare come l’ostacolo alle trattative agli occhi di un’opinione pubblica che le appoggia fortemente. Inoltre, nel regime iraniano prevalgono ora i pragmatici: se vi sarà la possibilità di chiudere un accordo non umiliante, ben venga. Altrimenti, dicono, si continuerà sulla strada intrapresa. E Khamenei sembra condividere questa posizione, adesso che sono chiari i costi insostenibili della linea di sfida al mondo intero, rivelati dalle sanzioni economiche e politiche imposte al Paese. Condizione fondamentale che pongono gli iraniani è che vi sia tuttavia una sorta di cammino con passi reciproci e concordati, i quali da una parte garantiscano il diritto alla tecnologia nucleare civile che Teheran rivendica come essenziale e dall’altra rasserenino la comunità internazionale sulla trasparenza del programma di arricchimento (sciogliendo ogni dubbio sulle sue possibili ricadute militari).Di fatto, i moderati oggi al potere a Teheran hanno bisogno di un qualche successo da potere rivendicare, così da rintuzzare gli attacchi dei radicali che li accusano di essere troppo morbidi e concilianti con l’Occidente. Negli incontri di questi giorni si vedrà se i cosiddetti P5+1 che siedono al tavolo negoziale (ossia Usa, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina e Germania) sapranno trovare una linea comune che vada in questa direzione. Perché i "boicottatori professionisti" di ogni possibile accordo non stanno solo a Teheran.Ve ne sono molti anche nel nostro campo: come chi negli Stati Uniti sostiene che occorra in ogni caso aumentare le sanzioni, dato che sembrano aver "ammorbidito" in questi mesi il regime iraniano. O chi pone quale condizione per una loro riduzione la rinuncia irreversibile e preliminare a ogni forma di arricchimento dell’uranio. Tesi che sembrano fatte apposta per rovesciare il tavolo delle trattative, dato che se vi è una cosa che il presidente Rohani non si può permettere è proprio di essere umiliato o messo platealmente all’angolo.La Casa Bianca si destreggia come può contro questo partito trasversale. Ma quello che manca da tempo è una voce dell’Europa che suoni meno schiacciata sugli Stati Uniti. Non si tratta di dividere il fronte occidentale o fomentare illusioni iraniane su fratture inesistenti: ma forse è tempo che l’Europa torni a parlare con la sua voce, osando un poco di più rispetto alla linea di tetragono formalismo giuridico purtroppo cara a Lady Ashton, Alto Rappresentante europeo. Del resto, se non ora, quando?

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