Nella Svizzera romanda, dove le strade hanno una memoria e parlano di ecumenismo

Il nostro cammino lungo la Francigena transalpina approda nella terra all'origine della profezia di Taizé. Come un viaggio a ritroso verso l'unità
October 4, 2025
Nella Svizzera romanda, dove le strade hanno una memoria e parlano di ecumenismo
L’Abbazia cluniacense di Romainmôtier
Poche creazioni di pregio sono tanto ammirate come un abito bianco nuziale. Perché condensa promesse e sogni universali. Compresa la speranza di un’umanità pronta a riflettere la luce celeste. Pure a questo si può pensare nel cantone elvetico di Vaud, all’uscita del borgo montano di Ballaigues, se non s’imbocca subito la discesa verso le gole fresche dell’Orbe. Ma si prosegue sotto i cerchi tracciati dalle aquile. Fin quando non spunta maestoso, sull’orizzonte, l’abito da sposa dell’Europa. E un solo colpo d’occhio da nord sul Massiccio del Monte Bianco, con tutte quelle candide pieghe eleganti, ricarica d’energia il pellegrino sulla Francigena diretta a Roma. Per un attimo, il tempo delle promesse non finisce più. All’ingresso di Lignerolle, a strapparci una risata è uno smiley verde lampeggiante, segnalandoci che avanziamo alla bellezza di 3 km all’ora. Poi, giù per gole, boschi e villaggi, fino ai primi campi di grano e vigneti, presso la fabbrica delle cialde di caffè più famose al mondo. A Orbe, antico comune fiero di discendere da Roma, ci accolgono Evelyne e Gilbert, coppia protestante ben inserita nella comunità. La sera, sorseggiando una birra, la conversazione tocca presto l’eredità di frère Roger, che partì in bicicletta proprio dalla Svizzera romanda francofona per creare in Borgogna una comunità ecumenica presso Cluny, a Taizé, fra le ceneri ancora fumanti dell’ultima guerra mondiale. Un’esperienza per scoprirsi fratelli oltre le frontiere e irrigare la terra di fiducia. Una «piccola primavera», disse Giovanni XXIII. «Una fonte», per Giovanni Paolo II. Un praticantato di riconciliazione che fra i fondatori vide pure altri cuori audaci giunti dalla Svizzera lambita dalla Francigena. Gilbert ci dice di partecipare alle preghiere ecumeniche che si tengono due volte al mese nella chiesa e al tempio locali, nel coloratissimo centro. Assaggiamo il pane saporoso che ha preparato all’alba, grazie a una formazione giovanile come mugnaio.
A proposito della Francigena, Evelyne osserva: «Qui, le strade hanno ancora una memoria». Già, le stesse strade che, fra partenze e arrivi felpati come i passi di frère Roger, assassinato il 16 agosto 2005 da una squilibrata, hanno comunque cambiato la storia. Tantissimi i rifugiati accolti fra le valli svizzere. Le stesse che suggerivano la speranza di un’estrema redenzione pure a certi personaggi romanzeschi dostoevskiani fra i più foschi. Nel tempo, non pochi pure i progetti sull’Europa unita ispirati dalla Svizzera. Su questo concentrato di speranze, chiediamo lumi a monsignor Charles Morerod, teologo domenicano già rettore a Roma dell’Angelicum e oggi vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo, alla guida pure della Conferenza episcopale elvetica: «La cultura civica della Svizzera, ovvero dialogo nella differenza piuttosto che conflitto, è ad esempio illustrata nel preambolo della Costituzione federale svizzera. Questo preambolo comincia con ‘In nome di Dio Onnipotente’ e la sua conclusione è abbastanza evangelica: ‘Consci che libero è soltanto chi usa della sua libertà e che la forza di un popolo si commisura al benessere dei più deboli dei suoi membri’. Vi ritrovo l’azione del nostro patrono, l’eremita san Nicola di Flüe, per la pace nel Paese». Lo stesso santo pure compatrono della Guardia pontificia svizzera, molto legata alla Francigena, come ricorda il vescovo: «Non è raro che, al termine del loro servizio in Vaticano, delle guardie svizzere la seguano per rientrare in Svizzera a piedi». Altri ritorni discreti in cui si rispecchia un Paese che nella propria Costituzione, fin dall’articolo 2, proclama l’impegno per «la conservazione duratura delle basi naturali della vita e per un ordine internazionale giusto e pacifico». Di che far riflettere pure su certi stereotipi superficiali e gratuiti a lungo in voga nei confronti della Confederazione.
La nostra tappa successiva è il villaggio di Romainmôtier, legato come frère Roger alla Borgogna di Cluny, ma da un millennio. Neppure un migliaio di anime vivono nell’abitato raccolto come un ricamo prezioso attorno alla splendida Abbazia cluniacense dedicata ai santi Pietro e Paolo, completata nel 1028 in stile romanico a partire dal più antico monastero svizzero, del V secolo. Da qui, derivano pure i simboli della chiave e della spada, ancora sullo stemma cittadino. Sulle mappe, è solo un semino nel cuore di una valle verdissima. Ma da secoli, un semino che sprigiona speranza. «In certi luoghi soffia lo spirito, come a Romainmôtier. Ci vivo da 40 anni, ma l’Abbazia mi fa sempre lo stesso effetto. È un gioiello circondato da uno scrigno naturale. Fra le sue vocazioni, oggi, quella di epicentro ecumenico della Svizzera romanda», ci dice sgranando gli occhi Michel Gaudard, già sindaco negli anni Novanta. Ogni giorno, la comunità della Fraternità per la preghiera ecumenica anima nell’Abbazia le Lodi mattutine e i Vespri, ma anche l’Ora media a mezzogiorno. Secondo uno spirito senza steccati che l’ex sindaco ha assaporato pure viaggiando in tutta Europa, come presidente della Federazione europea dei Siti cluniacensi, fra il 2004 e il 2014: «Dalla Scozia al Piemonte, ho sempre detto ovunque ‘siamo cluniacensi, abbiamo la stessa storia». Florence Mugny, cattolica 70enne, è un’attiva animatrice della comunità: «Tutto cominciò circa 50 anni fa, con 4 suore, protestanti e cattoliche. Oggi, siamo una ventina di laici delle due confessioni, riconosciuti dalle nostre Chiese. Si diventa membri dopo 2 anni di noviziato. Preghiamo per l’unità dei cristiani. Il giovedì sera, l’Eucaristia è celebrata per tutti, ecumenicamente, traendo ispirazione da Taizé. Ogni tanto, certi fratelli di Taizé passano, ma siamo legati pure ad altre comunità. E speriamo in nuovi sussulti dell’ecumenismo, per non restare in surplace».
Da parte sua, Léo Piguet, giovane assessore comunale alla Cultura, ci dice con impeto: «Come svizzeri, non siamo nell’UE, ma forse siamo quelli che crediamo di più all’Europa della cultura, nella scia forse di questa fiducia nell’unità europea che soffiava già nel Medioevo. Sentiamo che una colla ci unisce, un po’ come per i cluniacensi, con idee condivise che viaggiavano dappertutto, senza Internet». Ma aprirsi significa pure guardare al presente. Così, accanto all’Abbazia, una bandiera ucraina indica l’edificio storico in cui è accolta una famiglia rifugiata. Fra i tanti artisti attirati dal borgo, pure la pittrice Barbara Bonvin, che ha fatto dei pellegrini sulla Francigena un tema di predilezione: «Vengo da Losanna e vivo qui da 5 anni. Romainmôtier è un pellegrinaggio in sé. Un luogo ideale per chi come me s’interessa al sacro e alla natura. Qui, ho l’impressione di essere sempre in viaggio, connessa a tanti luoghi, come spinta dalla potenza dei millenni. Tutto ricomincia sempre, in una specie di marcia perpetua. Per me, i piedi dei pellegrini sono come le mani dell’artista. Trasformano la materia e l’interiorità. La marcia è come l’arte». E in questo spirito "connettivo", sono tanti pure i matrimoni celebrati ogni anno nell’Abbazia, talora anche di star internazionali, come fu per Diana Ross. Ripartendo, ritroviamo presto le vette alpine che riflettono maestosamente la luce ricevuta, proprio in una sorta d’eterno gioco sponsale fra cielo e terra. Un bianco che ricorda pure quello del saio adottato a Taizé. Come se un po’ del candore contemplato fin da ragazzo da frère Roger fosse finito in Borgogna. Poi, da lì, in ogni contrada europea, grazie agli eventi annuali della comunità. Così, non è forse esagerato paragonare la Svizzera a un serbatoio di bianca colla per risaldare gli elementi dei vasi infranti continentali. Strada facendo, realizziamo che la storia di Taizé ha ricalcato, attraverso i suoi priori, i volti del cristianesimo lungo la Francigena settentrionale: Roger Schütz, svizzero protestante, prima del cattolico franco-tedesco Alois Löser, fino all’anglicano Andrew Thorpe, frère Matthew, priore dal dicembre 2023. Come un viaggio a ritroso verso l’unità.
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