L'ultima puntata della telenovela sui dazi: Trump li comunicherà via lettera
Una dozzina di missive pronte a partire all'indirizzo dei vari Paesi: è la trovata del presidente per complicare il puzzle delle tariffe. Tre ipotesi tra il serio e lo scherzoso per capirne le rag

Bisogna essere grati a Donald Trump. Sinceramente grati di una gratitudine priva di equivoci o facili ironie: non si scherza con il presidente Usa, un tale che ha a disposizione più di cinquemila testate nucleari ed è facile alla collera. E allora grazie, Trump, per aver sdoganato le lettere. Oggi 7 luglio, nel pomeriggio italiano, invierà la prima dozzina. Per le altre i collaboratori sono stati sguinzagliati per le tabaccherie di Washington in cerca dei francobolli. Sarà dura, ma non bisogna sottovalutare i militanti Maga. Nella sua ineffabile lungimiranza, Trump non ha fatto quello che avrebbe fatto chiunque altro meno dotato di lui. Poteva inviare un istantaneo WhatsApp, un dispaccio telegrafico, un vecchio ma pur sempre valido fax. In uno sgabuzzino della Casa Bianca esiste ancora, ben protetta dalla polvere, una telescrivente con nastro perforato intonso e il motore vibrante in attesa: niente. Ha scelto le lettere.
Non solo: per non cogliere alla sprovvista i destinatari, che non sanno i dazi loro applicati, ha annunciato la spedizione del primo contingente giovedì scorso; in questo modo essi potranno farsi trovare in casa; o, in caso di improrogabili impegni di governo, vacanze prepagate o colpi di stato, firmare ai vicini la delega per il ritiro della raccomandata… sempre che Trump non abbia optato, in un’ottica virtuosa di contenimento della spesa pubblica, per la posta ordinaria.
Ne sentivamo il bisogno. Noi: un intero mondo nascosto, quello dei nostalgici della lettera scritta a mano, imbustata, affrancata (trovalo il bollo) e imbucata (trovala la buca), sussulta. Dunque non siamo più residuali! Possiamo uscire allo scoperto, lucidare le stilografiche e scrivere in elegante corsivo. Giubilo anche nelle gilde nazionali dei portalettere finalmente valorizzati. I servizi filatelici annunciano tirature straordinarie di valori bollati; e c’è chi giura che Trump abbia ordinato un annullo speciale, in numero limitato (a sé stesso).
Ma mettendo da parte la gratitudine, la domanda esige una risposta: perché? Perché Donald Trump non lascia passare settimana, giorno, ora senza qualche trovata formidabile, a un ritmo rutilante che mai si sarebbero sognati i suoi irrisori predecessori, da Lincoln ai due Roosevelt, da George Washington a John Kennedy?
Le ipotesi si sprecano e sono tutte tanto improbabili quanto possibili.
Donald Trump è voluto diventare presidente, per ben due volte, non tanto per servire il popolo americano, specialmente il meno fortunato e più derelitto, di cui dubitiamo gli importi qualcosa; quanto semmai per divertire sé stesso. Ha una trovata e, come nella indimenticata canzoncina di Enzo Jannacci, rimane a «guardare di nascosto l’effetto che fa». Musk, colto da comprensibile entusiasmo, più volte ha provato a dire «vengo anch’io», Trump gli ha sempre replicato «no, tu no» e sappiamo com’è andata a finire.
La seconda ipotesi è la più raffinata. Donald Trump è, fin dagli anni Settanta, un seguace del movimento situazionista e in Francia incontrò più volte Guy Debord, restandone assai impressionato pur non capendoci niente. Fatto sta che è a tutti evidente come Trump sia puro spettacolo autogenerato, essendo al contempo il produttore e la merce; in altre parole, crea e vende sé stesso in un cortocircuito situazionista.
Una terza ipotesi, avanzata da un pool di psicoanalisti che desidera mantenere l’anonimato, è che da bambino Donald amava le raccolte delle figurine dei giocatori di baseball e attendeva con trepidazione la paghetta per comprarsi le bustine, da aprire secondo un rituale ben preciso e andando su tutte le furie se trovava un doppione. In queste ore egli sa bene che cosa stanno provando i destinatari delle sue buste: buone o cattive notizie? Lui lo sa ma loro no, e questo provoca in lui indicibile godimento.
In fondo, come un po’ tutti gli anziani, è un bambino; crudele come sanno esserlo certi bambini.
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