Le spese per famiglia e natalità fuori dal patto di stabilità Ue
Occorre aprire da subito un confronto tecnico e politico a Roma e a Bruxelles per lavorare alla riclassificazione della spesa familiare secondo criteri di impatto economico-sociale

La presentazione della Nota di aggiornamento al Def – che il Governo dovrà trasmettere alle Camere entro il 27 settembre – e il successivo invio alla Commissione europea del progetto di legge di bilancio 2026 rappresentano, come ogni anno, due appuntamenti obbligati. Ma proprio quest’anno possono e devono diventare un’occasione strategica: proporre la riclassificazione delle politiche familiari e demografiche come investimenti strutturali e non come mera spesa corrente. Tra settembre e ottobre, infatti, il Governo presenterà a Bruxelles il piano strutturale di medio termine, previsto dalle nuove regole del Patto di stabilità. È il momento tecnico e politico più adatto per chiedere una deroga mirata, come già avviene per ambiti strategici quali transizione verde e digitale. Le politiche familiari hanno effetti duraturi sulla sostenibilità economica e sociale del Paese e dell’intero continente, favoriscono il Pil e rafforzano la coesione europea.
La famiglia è il principale ammortizzatore sociale e il cuore dell’economia di prossimità. Rafforzarla – facilitando la sua funzione di servizio, cura, educazione, risparmio, nonché la sua vocazione di apertura alla nuova vita – significa stimolare la domanda interna senza necessariamente generare inflazione, garantendo benessere stabile nelle comunità locali. Le politiche familiari non bastano senza famiglie e reti di famiglie coese e resilienti, eppure sono essenziali. Non si tratta di invocare nuovo assistenzialismo, ma di attuare il principio di sussidiarietà, come sancito dalla Costituzione e dai trattati europei. Vanno perciò valorizzati – e, in una prima fase, premiati – gli attori non statali, come imprese sociali, cooperative e enti del Terzo settore, che si assumono la responsabilità originaria di strutturare servizi alla famiglia senza nuovi oneri per la fiscalità generale, all’interno di un ecosistema radicato nei territori e orientato al bene comune.
La centralità di tali soggetti è riconosciuta dalla Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 27 novembre 2023 (C/2023/1344), che invita gli Stati membri a integrare l’economia sociale nei propri piani nazionali, soprattutto nei settori della cura, dell’inclusione e dello sviluppo locale. Il Primo Ministro, Giorgia Meloni, il 24 aprile 2025, in occasione della conferenza “Per un’Europa giovane. Transizione demografica, ambiente, futuro”, ha già espresso interesse verso l’idea di trattare le politiche familiari e demografiche come investimento. Così riqualificate, le relative spese potrebbero non essere calcolate nella quantificazione del deficit del bilancio dello Stato. In questo modo, si libererebbero risorse per sostenere con più forza le politiche familiari e demografiche. Se anche si trattasse di nuovo debito, sarebbe comunque un debito “buono”, destinato a eliminare gli ostacoli e le discriminazioni a carico delle famiglie con figli, contribuendo, altresì, alla crescita della produttività, del benessere collettivo e della sostenibilità economica e sociale.
Si afferma spesso che la spinta in tal senso dovrebbe arrivare da Bruxelles, più che da un’iniziativa nazionale. Ma perché l’Italia non potrebbe farsi apripista, sollevando la questione a livello intergovernativo – Consiglio europeo o Consiglio dell’Unione – o nel confronto con la Commissione? Alla luce dei dati demografici allarmanti, sia italiani che europei, questo è il momento di avanzare una proposta concreta: inserire la richiesta nel piano pluriennale della prossima legge di bilancio non significa forzare le regole, ma orientarle in senso lungimirante. Occorre dunque aprire da subito un confronto tecnico e politico – a Roma come a Bruxelles – per lavorare alla riclassificazione della spesa familiare secondo criteri di impatto economico-sociale, coinvolgendo i soggetti più competenti. Oggi, mentre si invocano nuove spese militari come investimento per la sicurezza, è paradossale che le politiche familiari — che garantiscono coesione e sicurezza sociale, economica e democratica — siano ancora trattate come spesa corrente. Se il riarmo protegge i confini, la natalità protegge il futuro. Eppure, solo il primo gode di “legittimità contabile”. È tempo di rovesciare questa logica miope: investire nelle famiglie non è un lusso, è una necessità strategica.
Per questo occorre rilanciare la coesione tra le comunità, come voluto dai padri fondatori dell’Europa unita, riconoscendo alle politiche familiari e demografiche una vera “golden rule contabile”. Una richiesta fondata su numeri, buon senso e valori costituzionali. Perché la crescita giusta e stabile si ottiene solo aumentando il benessere delle famiglie, rafforzando i territori e promuovendo un’economia realmente sociale. È una visione di Paese. Ed è il momento di farla valere.
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