L'abbazia di Clairvaux che rinasce è un messaggio per tutta l'Europa

Nei luoghi di San Bernardo da Chiaravalle, padre dell'ordine cistercense. Per anni la struttura è stata un carcere, ora la Francia ha aperto un cantiere di riqualificazione culturale
September 13, 2025
L'abbazia di Clairvaux che rinasce è un messaggio per tutta l'Europa
Il refettorio dell'abbazia di Clairvaux
C’era una splendida abbazia medievale, ammirata e imitata ben oltre le frontiere. Brillò per secoli, inviando monaci a un intero continente. Ma un giorno, un’ondata rivoluzionaria epocale la travolse e fu poi trasformata in prigione. Oggi, si spera che gli sconvolgimenti siano finiti. Un’abbazia non è un involucro inerte da lasciare in bilico lungo i declivi della storia. Si potrebbe raccontare pure così l’epopea di un luogo fra i più toccanti per chi avanza verso Roma, lungo la Francigena transalpina. Un vasto insieme architettonico in uno scenario naturale rimasto celebre: quella radura fra i boschi dove, nel 1115, un futuro dottore della Chiesa chiamato Bernardo scorse una "chiara valle" ricolma di promesse. Lì, fra Champagne e Borgogna, scorre l’Aube, che si scrive in francese come la veste bianca sacerdotale, l’aube. Si tratta proprio di Clairvaux. Chiaravalle. Fra una tappa e l’altra della Francigena, il sacro e il profano danzano spesso insieme. Con loro, la memoria di epoche più o meno favorevoli agli uomini e alle "cose" di fede. Ma giungere a Chiaravalle, culla feconda della riforma cistercense, è diverso. Come se si finisse fra improvvisi sbalzi di luce ed ombre che turbano i viandanti. Al pellegrino che entra nell’Abbazia attuale, possono presto tornare in mente le parole della più nota preghiera lasciata da san Bernardo, trasposta pure in canzoni rivolte alla Vergine: "Se turbato dall’enormità dei peccati, se confuso per l’indegnità della coscienza, cominci ad essere inghiottito dal baratro della tristezza e dall’abisso della disperazione, pensa a Maria". Impossibile, in effetti, non pensare ai baratri esistenziali di cui le mura abbaziali sono divenute testimoni, da quando la mareggiata rivoluzionaria espulse i monaci, ostinandosi a svuotare il luogo della sua vocazione. Sotto Napoleone, nel 1808, la più grande abbazia cistercense d’Europa fu così trasformata nella più capiente prigione francese e continentale, prevista anche per i condannati a pene severissime. Un’epopea carceraria che si è chiusa solo un paio d’anni fa, in una Francia memore del fuoco che aveva azzannato, nell’aprile 2019, la Cattedrale Notre-Dame di Parigi. Come se il riverbero del rogo in mondovisione si fosse trasformato, misteriosamente, pure in un ammonimento per la coscienza nazionale: basta con gli scempi verso il patrimonio religioso. Di proprietà statale, l’Abbazia è così passata interamente sotto la tutela del Ministero della Cultura. Una svolta accolta con speranza da chi tiene al futuro del sito, anche ben al di là dei confini francesi. Ma l’odierno complesso, un mix ibrido di edifici storici e strutture penitenziarie su ben 32 ettari, non conosce ancora precisamente il suo destino. Sul posto, visitiamo pure la luminosa cappella, rimasta senza mobilio. Poi, raggiungiamo una sorta di antro ciclopico dismesso, ovvero le cucine. "Vogliamo che la storia carceraria possa restare ed essere ancora documentata. Che questo passato non venga cancellato, com’è invece successo all’Abbazia di Fontevraud", ci dice, con piglio militante, Isabelle, fra i volontari associativi che accompagnano pellegrini e turisti. In effetti, anche altri luoghi sacri francesi celebri conobbero nell’Ottocento simili conversioni forzate. Persino l’Abbazia del Mont-Saint-Michel, dove è però già tornata una comunità monastica. Lì, per l’anniversario dei 1000 anni, era giunto un presidente Emmanuel Macron dai toni lirici: "Guardando questo chiostro, vediamo apparire la volontà perpetua del popolo francese, essendo questo luogo quello del controllo del destino grazie alla volontà". Correva il 2023. Proprio lo stesso anno degli ultimi detenuti partiti da Chiaravalle. Pur amputato di ampie parti originarie, a cominciare dalla chiesa abbaziale distrutta nel 1812, il sito di Clairvaux resta eccezionale. Ormai restaurati, i piani dell’ala dedicata ai frati conversi sono un gioiello, con i loro colonnati spettacolari. Non è stata dunque totalmente snaturata la "madre" di decine di altri siti abbaziali in tutta Europa, dalla Scozia alla Sicilia. Al contempo, fra ciò che resta delle strutture carcerarie, si avverte ancora l’eco di un intreccio fittissimo di destini individuali e sofferenze indicibili, spesso riflesso di svolte epocali recenti. Nel 1847, fra aprile e maggio, la struttura contò ben 117 morti, secondo un’inchiesta giornalistica che fece scalpore. Nel 1858, il carcere accoglieva ben 2.700 detenuti, fra cui 489 donne e 555 bambini, oltre a 300 altre persone, fra cui 16 suore e 2 medici. Anche sul fronte carcerario, dunque, una memoria sociale innegabile. Fra i detenuti, ci furono disertori e dissidenti di conflitti e regimi, dall’epoca napoleonica alla Guerra d’Algeria.
Più di recente, pure criminali internazionali come il terrorista Carlos. "È impressionante che un così alto luogo spirituale sia divenuto un sito penitenziario tanto importante. Ciò continua a interrogarci. Umilmente, continuiamo a sperare che questo luogo di preghiera abbia nutrito in qualche modo i prigionieri", ci dice fratel Philippe, dell’Abbazia di Cîteaux, in Borgogna, la prima in assoluto dell’ordine - per questo "cistercense" - e madre delle altre 4 abbazie primigenie: Chiaravalle, accanto a La Ferté, Pontigny e Morimond. Quanto al futuro, il monaco osserva: "Si parla di "rinascita" di Clairvaux e la parola può sembrare eccessiva. Oggi, per noi, la prima priorità è occuparci di quelle comunità esistenti che hanno bisogno di aiuto. L’essenziale è una vita affidata alle mani del Signore, personalmente e comunitariamente. Ecco dove risiede una speranza molto più grande. La misura dell’amare Dio è amarlo senza misura, diceva san Bernardo. L’essenziale, per noi, è questa fiducia invincibile in Dio. Così, anche rispetto a Clairvaux, lo sguardo di fede ci aiuta ad accogliere ogni forma di bellezza sul posto". Nel 1127, fra le prime abbazie figlie di Chiaravalle, ci fu pure quella d’Igny, nella Champagne, detta poi "l’abbazia dei santi", per la sua vitalità religiosa. Suor Chantal-Pacôme, priora dell’attuale comunità femminile, ci dice: "Clairvaux resta per noi un punto di riferimento, ma soprattutto come simbolo della nostra tradizione. Come ordine, non abbiamo più una vera influenza sul futuro del sito, anche se restiamo molto sensibili al suo destino. Oggi, avvertiamo la nostra fragilità numerica, ma viviamo nella speranza, anche perché la situazione attuale ci incita a un maggiore sostegno fra le comunità, proprio nello spirito già trasmesso da Clairvaux". Sperare, dunque, anche ispirandosi ancora a un luogo ‘mutilato’ il cui recupero potrebbe durare decenni. Ma è notevole che i destini di Notre-Dame di Parigi e di Clairvaux si siano come riavvicinati. Nell’Ottocento, per entrambi, fu pure Victor Hugo a lanciare vibranti denunce, rispettivamente contro il degrado in cui versava allora la Cattedrale e le condizioni di detenzione fra le mura di Clairvaux. Condizioni ritenute pure una fonte d’ispirazione per il destino dell’indimenticabile Jean Valjean, eroe principale de I Miserabili. Adesso, è già in corso una sorta di staffetta? Dopo il cantiere di Notre-Dame che ha commosso il mondo, in effetti, è stata avviata, in modo meno appariscente, una nuova importante tappa del restauro di Chiaravalle, divenuto il cantiere di riqualificazione culturale più importante in Francia. E l’anno scorso, guarda caso per la staffetta della fiaccola olimpica passata fra le mura dell’Abbazia, dei figuranti in abito da monaco hanno messo in scena una sorta di ritorno virtuale alle origini dell’edificio. Intanto, altre attività come un mercato dei manufatti monastici sono promosse regolarmente dall’Associazione per la rinascita dell’Abbazia di Clairvaux (Arac), basata sul posto. Ripartendo da Chiaravalle, in una mattina particolarmente limpida, la Francigena ci appare ancor più come uno scrigno di domande rivolte a un intero continente. Anche sul destino riservato a quanto, per secoli, ha messo insieme l’Europa.  

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