La vita familiare è piena di debiti, rimetterli educa al perdono
Come uscire dal dedalo dei debiti e dei crediti reciproci, nel quale tutti abbiamo almeno una parte di ragione? Riconoscendo l’umana fragilità di tutti noi

Il secondo mandato dell’anno giubilare, dopo quello della liberazione dalla schiavitù, riguarda la remissione dei debiti. Nell’Antico Testamento la remissione dei debiti, collegata alla ritmicità lenta del Giubileo, risulta essere un evento grandioso: un evento sociale più che personale, un evento legato alla legge e non alla scelta. Nel Nuovo Testamento Gesù riprende il tema nel suo modo sempre sorprendente: introduce infatti la remissione dei debiti nella preghiera del Padre nostro, spostandola così dal piano sociale (il piano della norma e della legge) al piano della vita personale e quotidiana, e dunque al piano della scelta. E non solo ci invita a chiedere al Padre la remissione dei nostri debiti giorno per giorno, ma lega l’efficacia della richiesta al maturare della nostra disponibilità a fare lo stesso nei confronti degli altri. Quando penso alle parole “rimettere i debiti”, così centrali nella preghiera del Padre Nostro, mi domando se siano del tutto sovrapponibili con la parola “perdonare”. Questa sovrapposizione potrebbe trarci in inganno, facendo sbiadire l’idea stessa del perdono. Proprio perché il per-dono fa riferimento a un dono di proporzioni particolari, mi sembra che vada collegato alla remissione di quei debiti che originano dall’oggettività di una vera colpa; in questo senso, non è possibile perdonare davvero in un giorno solo, perché il perdono è un atto umano molto complesso e faticoso, che può richiedere tempi lunghi e una profonda elaborazione psichica. Mi sembra invece che il tema del debito da condonare giorno dopo giorno, per avere il cuore libero e per ottenere la benevolenza del Padre, sia da collegare piuttosto con i tanti piccoli debiti/crediti che tutti sperimentiamo nel quotidiano vivere insieme: un tema, dunque, fortemente connesso con l’esperienza della vita familiare. Quando viviamo insieme, incontriamo difficoltà che non dovremmo affrontare se vivessimo da soli e potessimo occuparci solo di noi stessi. La grande prossimità ci porta a confliggere: è qualcosa di inevitabile, a tutti i livelli della relazione. Qualche esempio? Partiamo dalla coppia di marito e moglie. L’ intimità del loro rapporto li porta a conoscersi in un modo unico, da cui tutti gli altri sono esclusi; nella vita di coppia ci osserviamo anche nei momenti di debolezza e di vulnerabilità: maggiore è la fiducia reciproca e più abbassiamo le difese, mostrandoci per quello che siamo. Questo ci espone però a rischi e ferite: ci mettiamo nelle mani dell’altro, e spesso basta una brutta lite per scagliarsi addosso le fragilità come pietre, facendosi del male.
Anche nel rapporto tra genitori e figli il tema del debito/credito è scottante. Sul versante dei genitori, è evidente che il diritto del figlio ad essere amato ed educato comporta anche momenti di fatica: rinuncia ai propri tempi, alle priorità personali, agli spazi di libertà della vita senza figli. Non è facile vivere tutto questo in modo completamente gratuito, senza sentirsi in credito e aspettarsi almeno un ritorno di affetto. Vista dal versante dei figli, però, anche i migliori genitori deludono. I genitori amano come meglio sanno e possono, con le loro personalità imperfette e le fatiche concrete della vita; i figli invece, che attribuiscono loro un grande potere, si aspettano un amore capace di comprendere tutto e dare totale disponibilità ai loro bisogni. L’imperfezione inevitabile dell’amore dei genitori lascia perciò spesso delle ferite che non è facile superare e bonificare. Ecco allora che anche figli molto amati possono sentirsi in credito con i propri genitori persino in età adulta, e continuare a tenere aperti e insoluti dei conti di cui non sempre i genitori sono consapevoli. E i fratelli? La loro relazione si basa sull’avere in comune gli stessi genitori: è un rapporto che nasce intorno alla triangolazione d’amore con le stesse persone, dalle quali ciascuno desidera essere riconosciuto come unico e speciale. Proprio per questo, i sentimenti tra fratelli non possono che essere intensi e ambivalenti: intensi, come lo è tutto ciò che origina nella vita infantile, ambivalenti, perché legati ad un continuo confronto e a una rivalità in amore. Debiti e crediti perciò sono all’ordine del giorno nella relazione fraterna, ed è importante non ignorarne la presenza soprattutto nella vita infantile. La vita familiare, dunque, ci fa fare ogni giorno l’esperienza che vivere insieme espone al conflitto, oppure ci obbliga a cercare di morderci la lingua, ad adattarci, talvolta a fare delle rinunce che ci costano. È una cosa inevitabile, ma che spesso facciamo di malavoglia, brontolando e lamentandoci apertamente o segretamente; accumuliamo esperienze che entrano in un conto personale e aprono un credito che prima o poi pretendiamo di esigere: io sono stato gentile, e allora tu…io ho fatto questo, e allora tu…io ho rinunciato a questo, e allora tu… E via dicendo. In fondo al cuore tutti ci sentiamo almeno un po’ creditori nei confronti degli altri, poco attenti o poco rispettosi, colpevoli di non renderci felici o di non facilitarci la vita, sempre troppo richiedenti e sempre poco generosi. Tutti, chi più e chi meno, ci sentiamo in legittima attesa di un risarcimento che sentiamo dovuto.
Che fare allora? Come uscire dal dedalo dei debiti e dei crediti reciproci, nel quale tutti abbiamo almeno una parte di ragione? Non si tratta di optare per un buonismo volontaristico, che ci impone di negare i nostri vissuti e le nostre percezioni: i vissuti e le percezioni, proprio così come sono, hanno sempre una loro legittimità soggettiva, anche se non necessariamente oggettiva, e riconoscerli senza timore è sempre un buon punto di partenza. Si tratta invece di cambiare prospettiva, cercando nella fragilità e debolezza dell’altro le ragioni per poter “rimettere il suo debito”. È vero, l’altro (volontariamente o no) ci ha fatto un torto: non ha capito, non è stato dalla nostra parte, ci ha offeso. Ma la ragione più profonda di questo è sempre l’umana fragilità di tutti noi. L’anno di grazia del Giubileo ci suggerisce che possiamo decidere di leggere le incomprensioni tra noi nella chiave del limite: limite che forse si potrà superare, difetto che con un po’ di lavoro forse si potrà correggere. Possiamo decidere se lasciar correre del tutto ciò che è accaduto, oppure se riprenderlo in modo costruttivo in un momento più adatto; però in questo momento, se lo vogliamo, possiamo decidere consapevolmente di ridimensionare le cose e di rimettere all’altro il suo debito, considerandolo frutto soprattutto della sua (nostra) umanità ferita. In questo modo abbiamo oggi l’occasione per vivere più consapevolmente la richiesta quotidiana del Padre Nostro. È qualcosa che possiamo iniziare a praticare da subito, con la Grazia che ci arriva dal Giubileo; ma è anche qualcosa che possiamo tornare ad insegnare ai nostri bambini fin da molto piccoli, quando litigano e cercano di prevaricare uno sull’altro. Come fare? Se abbiamo ad esempio un bambino arrabbiato e pronto alla vendetta perché la sorellina gli ha rotto un giocattolo, non dobbiamo negargli il diritto di essere arrabbiato: essere arrabbiato è in questo caso la risposta più naturale, e il primo passo per aiutarlo è proprio quello di accogliere e legittimare la sua rabbia e il suo dispiacere. Ma fatto questo è possibile andare oltre: si può aiutarlo a vedere che la sorellina è ancora piccola e perciò impulsiva, e che forse non aveva intenzione di rompere il gioco. Anche se la ragione è dalla sua parte, lo accompagniamo a non vendicarsi, a mettersi con il nostro aiuto da un punto di vista nuovo, che da solo non può trovare, ma che lo farà crescere. In questo modo, allenando noi stessi e i nostri figli a rimettere giorno dopo giorno i piccoli debiti, ci prepariamo anche alla capacità più ardua di perdonare: capacità che ci sarà prima o poi necessaria sul piano personale, e che è indispensabile per un mondo di pace.
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