La vera zavorra sulla crescita
La politica rinuncia a frenare le disparità. Senza interventi come la tassa sulle transazioni finanziarie, crescono instabilità economica e sfiducia democratica

Perché la democrazia non ha ridotto la crescita delle diseguaglianze? È il bellissimo titolo di un lavoro scientifico che cerca di capire come sia possibile che alle urne il 99% degli elettori non voti per una politica che riduca invece di aumentare le distanze tra l’1% più ricco e il resto dei cittadini. I meccanismi che alimentano le diseguaglianze, ricordati nel rapporto del G20 Extraordinary committee on global wealth inequality presieduto da Joseph Stiglitz, uscito qualche giorno fa, sono molti. La globalizzazione aumenta le differenze tra lavoratori ad alta e bassa qualifica. La necessità di risorse per finanziare le campagne elettorali è una legge di gravità che lega politici e partiti ai poteri finanziari. I rendimenti medi annui della borsa sono da un secolo attorno all’8% ma i salari non aumentano certo a quella cifra, anzi spesso si riducono in valore reale per ondate inflattive o mancato rinnovo dei contratti. Per questo il gap tra chi ha risparmi da investire e chi no tende inevitabilmente a crescere. In questo contesto, follie come la proposta di stipendio di mille miliardi di Musk sono un insulto alla miseria e uno scandalo che solo la crescente insensibilità dell’opinione pubblica ci porta a minimizzare.
La diseguaglianza può essere corretta e il suo permanere e allargarsi è dunque una scelta dettata dall’inazione (pericolosa) della politica. I due anni di maggiore diseguaglianza di reddito negli Stati Uniti nel corso degli ultimi due secoli sono stati quelli del 1929 e del 2007, quando l’1% composto dai maggiori percettori di reddito era arrivato a detenere quasi un quarto dell’intera torta. Sono stati i due anni delle più gravi crisi finanziarie della nostra epoca. Il collegamento è evidente: l’economia si regge sulla crescita dei consumi di massa e in presenza di diseguaglianze estreme questa crescita s’inceppa. Per sostenerla ci vogliono iniezioni di doping finanziario (inflazione finanziaria che porta a una crescita abnorme dei corsi azionari, mutui subprime…) che alla fine producono crisi. È inoltre dimostrato che le diseguaglianze generano sfiducia nelle istituzioni, alimentano populismi e complottismi e sono dunque alla radice dei fenomeni di degenerazione politica e della crisi della democrazia a cui assistiamo oggi.
Dobbiamo combattere le diseguaglianze ex ante favorendo pari opportunità e dunque accesso universale a credito, sanità e istruzione. Ma possiamo e dobbiamo mettere in campo meccanismi redistributivi che possono contribuire a risolvere i problemi oggi. Uno di questi strumenti è la proposta di istituzione di una tassa europea sulle transazioni finanziarie (Ttf). Un piccolo prelievo sulle compravendite di titoli finanziari in grado di disincentivare pratiche speculative, come il trading algoritmico ad alta frequenza, e di generare al contempo risorse cospicue da destinare al finanziamento di bisogni sociali e sfide ambientali impellenti. È notizia degli ultimi giorni che la Commissione europea intenda ritirare la proposta di direttiva sulla Ttf avanzata nel lontano 2013 nell’ambito di una procedura di cooperazione rafforzata che ha visto coinvolta anche l’Italia. Nel 2016, i 10 Paesi cooperanti avevano siglato un accordo quadro sul disegno della misura (con un valido contributo tecnico-legale del nostro Mef), salutato con favore dalla società civile europea capace di raccogliere 1 milione di firme a supporto della misura. Le successive giravolte franco-tedesche hanno purtroppo ridimensionato profondamente le ambizioni iniziali e portato a uno stallo negoziale che si protrae fino a oggi. La decisione della Commissione rischia di porre una pietra tombale sul dossier, sancendo l’incapacità dei governi europei di mettersi in sintonia con le istanze dei propri cittadini. L’intendimento andrebbe scongiurato: la tassa mantiene per altro ancora una sua attualità, rappresentando un’ottima candidatura per le risorse proprie dell’Unione, “argomento caldo” per il legislatore continentale. La Ttf rappresenta un “granello di sabbia” nella densa agenda di riforma del sistema finanziario. Un’agenda a sua volta integrabile nel più ampio manifesto politico che la taskforce Stiglitz ha trasmesso al G20 per affrontare la crisi internazionale delle disuguaglianze. A cittadini che ne condividono lo spirito sta il compito di esigerne l’attuazione, alla politica quello di comprendere la gravità del momento e di non deluderne le aspettative.
Leonardo Becchetti
Mikhail Maslennikov, analista di policy di Oxfam Italia
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