La domanda delle madri

Avendo davanti agli occhi ogni giorno i figli, le mamme sanno ciò che i generali e i Grandi dimenticano: che ogni uomo mandato al massacro è stato esattamente come quel loro figlio
July 8, 2025
La domanda delle madri
ANSA | Mamme e mogli ucraine, con i loro bambini, al cimitero di Lychakiv di Leopoli
Una madre ha scritto una lettera al Papa. Parla dei sogni dei figli: diventare un giorno medico, o veterinario, o scrivere fiabe. I desideri di tutti i bambini. Ma subito la donna pone a Leone XIV una domanda tagliente: «Che ne sarà dei sogni dei bambini, se le bombe distruggeranno le loro case? Se i genitori, gli amici, e forse loro stessi moriranno senza neanche avere il tempo di rendersene conto?».
Audace, la Zaira che firma la lettera sulla rivista Piazza San Pietro: senza giri di parole viene al dunque, alla domanda oscura che si fa avanti in noi, da qualche mese. A quella che ci teniamo dentro, perché il solo pronunciarla ci sgomenta. Non ci sentiamo forse, da un po’, come fondati su una terra che trema? Da due generazioni in Italia ci eravamo convinti che la guerra fosse ormai roba da libri di scuola. Certo, la guerra entrata in Europa con i carri armati russi in Ucraina ci ha scosso profondamente: ma l’Ucraina ci sembrava lontana. E il massacro del 7 ottobre, e poi l’eccidio di civili a Gaza, ci atterriscono: ma il Medio Oriente, pure, ci sembra ancora abbastanza lontano. Per quelle guerre i credenti pregano. All’idea però di una guerra che possa riguardare direttamente “noi” stiamo arrivando solo ora, mentre ascoltiamo attoniti i Grandi del mondo che si minacciano apertamente. Restiamo increduli: un’aria da 1939, quando la Germania invase la Polonia – l’inizio. Ma poi via, ci diciamo a rassicurarci, si metteranno d’accordo, poi interverrà la diplomazia, non diranno sul serio. E quindi andiamo a lavorare, o al mare, come sempre. Non parliamo di quella paura se non magari la sera, prima di dormire, fra marito e moglie. Invece Zaira chiede al Papa: e adesso?
Altrettanto diretto, il Papa risponde: sapendo quanto pesa, nelle case del mondo, quando le luci delle finestre si spengono una dopo l’altra a sera, quel “non detto”. Leone non nega la drammaticità del momento: ieri a Castel Gandolfo ha detto di «un mondo che brucia, sia per il surriscaldamento terrestre che per i conflitti armati». Né per dare coraggio alla donna Prevost usa i nostri sparuti argomenti - vedrai che si aggiusta, vedrai che la diplomazia (assente dai rapporti internazionali ormai, come una galanteria d’antan).
Leone XIV parla dell’unica speranza che sa essere vera. «Dio ci raggiunge sempre nei luoghi anche più difficili e tragici dove noi stiamo. Questa è la nostra fede e la nostra speranza, che non viene meno nemmeno nelle realtà più drammatiche».
La pace è il dono di Cristo, continua il Papa, ma è un dono “attivo”: «La pace si costruisce nel cuore e a partire dal cuore, sradicando l’orgoglio e le rivendicazioni, e misurando il linguaggio, poiché si può ferire e uccidere anche con le parole, non solo con le armi». La pace è un dono che va coltivato. Cominciando da noi: smontando pretese e rancori e rabbia, e frenando le parole. Anche le parole uccidono. E viene da pensare al fiume di aggressività e anonimo odio che il Web ha moltiplicato e reso “normale” – un altro inquinamento, digitale ma non meno tossico degli altri.
La pace comincia da noi. Perdonandosi, magari, ogni sera, prima che il rancore travolga. E per la pace, continua Leone, bisogna pregare. Ma già preghiamo per l’Ucraina, potremmo rispondere, e per Gaza e Israele. Ora però si tratta di pregare per la nostra pace, quella delle nostre città. Così come pregavano i nostri vecchi per i figli al fronte, e le madri nei rifugi delle città bombardate, con i bambini stretti attorno. Con la stessa disarmata fiducia. Mia nonna certamente pregava per mio padre, alpino in Russia, in quel modo: dal mattino alla sera. Non dando tregua a Dio. Ma i nostri vecchi sono morti, e noi non sappiamo più il pregare di cui erano capaci.
Non è un caso però che quella lettera coraggiosa sia di una giovane madre. Perché le madri, in un tempo come questo, vedono più lontano di diplomatici, dotti e opinionisti. Una inquietudine le abita, insieme a una saggezza antica. Perché, avendo davanti agli occhi ogni giorno i figli - e soprattutto i più piccoli, gli ultimi arrivati, gli assolutamente ignari e fiduciosi - le madri sanno ciò che i generali e i Grandi dimenticano: che ogni uomo mandato al massacro è stato esattamente come quel loro figlio. Nel saperlo, lo strazio si fa più vivo, non lascia in pace. E i nostri figli? chiede una donna al Papa. E quelli che, a 18 anni, da Kiev a Mosca a Tel Aviv sono stati buttati in trincea, vagoni di uomini come derrate, materia, roba? La madri sanno l’essenziale: siamo tutti stati figli. E allora trovano l’audacia di domandare. In questo sconvolgimento, simile al seismos, alla tempesta che atterrì gli apostoli sul lago di Tiberiade, il successore di Pietro risponde. Non buone parole, ma solamente Cristo. Guardare a Cristo. Al Risorto, ha detto ieri Leone XIV a Castel Gandolfo: «Presente, nella nostra Storia sottosopra». La speranza vera, la sola che regge.

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