La corsa di Mamdani a sindaco di New York e gli ostacoli piazzati dalla (sua) sinistra
Il candidato sindaco socialista vien accusato di non essersi smarcato da certe logiche di partito

Potrà sembrare strano, ma nell’elezione a sindaco di New York Zohran Mamdani deve vedersela non solo con i potentati finanziari, le loro lobby e i loro media, ma anche con critiche da sinistra. Un giornaletto dal titolo Workers Vanguard, che circola per le strade e si può acquistare per un dollaro, mette in prima pagina un attacco in piena regola contro il candidato socialista. Motivo? Non si è distaccato dal Partito Democratico, anzi ha vinto le sue primarie, e quanti operano come lui dall’interno «avranno una carriera solo se lavorano per sostenere il loro partito e gli interessi dominanti che rappresenta». Soluzione? Offrire «una reale alternativa a Trump e ai Democratici che parli in nome della classe lavoratrice».
Per principio sono scettico sulle teorie del complotto, che mi sembrano evasioni dai problemi tese solo a dimostrare una sottile astuzia. Quindi non mi attarderò a considerare «di chi facciano gli interessi» queste manifestazioni di dissenso e chi eventualmente le manipoli. Analizzerò la situazione oggettiva. Autorevoli commentatori che non capiscono niente di Machiavelli, di politica e di morale hanno decretato che il segretario fiorentino separò la politica dalla morale, quando invece il suo epocale contributo fu di introdurre con forza nella riflessione morale dell’Occidente il tema del dilemma, che i filosofi avevano sostanzialmente trascurato mentre i tragici greci ne avevano dato brillanti illustrazioni. L’Antigone di Sofocle non ha una scelta fra un bene e un male: deve scegliere fra il male di violare le leggi della città seppellendo il fratello Polinice e il male di violare quelle della famiglia e dei morti non seppellendolo. Comunque faccia, falla. Analogamente, il fantasioso Cesare Borgia del Principe (più archetipo che personaggio reale) sceglie di esercitare crudeltà selettiva su alcuni per salvare lo Stato, a differenza del «populo fiorentino, il quale, per fuggire il nome di crudele, lasciò distruggere Pistoia». Veniamo a noi.
In un sistema rigidamente bipartitico come quello statunitense, muoversi al di fuori dei due partiti porta inevitabilmente a sonore sconfitte. Nella Storia di questo Paese, nessun candidato «terzo» alle elezioni presidenziali ha mai avuto successo, ivi inclusi i due ex presidenti Martin Van Buren e Theodore Roosevelt. Gli unici che si sono fatti notare sono il razzista George Wallace, che vinse cinque Stati nel 1968 sull’onda della ventata di furore che sconvolse il Sud contro i diritti civili dei neri, e il miliardario Ross Perot, che ottenne quasi il venti per cento dei voti nel 1992 ma non vinse nessuno Stato e conseguì l’unico risultato di consegnare la presidenza a Bill Clinton. Se poi guardiamo a sinistra, le cose vanno anche peggio. Nel 1924 Robert La Follette, sostenuto dai sindacati e dal partito socialista, ricevette quasi cinque milioni di voti; ma recentemente i candidati di simile persuasione si sono fermati a poche migliaia di preferenze.
Intendiamoci: il Partito Democratico è una sentina di ipocrisia e di corruzione. Arnesi come i Clinton e gli Obama, che lo controllano da decenni, sono mortalmente contaminati dalla grande finanza: ai lavoratori chiedono il voto ma se ne dimenticano il giorno dopo le elezioni. Sono anche loro responsabili della creazione del popolo di Trump: un popolo che si è infine stufato di essere preso per i fondelli e ha reagito con quella rabbia che è sempre cattiva consigliera. Ma è credibile che l’«alternativa» sia isolarsi in stolide posizioni di principio e di purezza che consacreranno lo stesso criminale equilibrio? Sedersi a tavola con simili figuri è un male, ma non sedersi e lasciare che il tavolo sia tutto loro si è dimostrato, troppo a lungo per non voler aprire gli occhi, un male peggiore. Ben venga allora la scommessa di Mamdani: che il Partito Democratico, almeno nella Big Apple, possa fare un passo nella direzione giusta.
Rimane un monito, da ascoltare e seguire con rigore. Se Mamdani la spuntasse, la sua elezione dovrebbe essere, per il movimento che lo avrebbe portato alla carica di sindaco, l’inizio di un nuovo e anche più duro impegno. Teso a essere sempre presente alla sua attenzione, a ricordargli chi lo ha portato lì e perché, a insistere che realizzi le sue promesse, a criticarlo quando la sua rotta segni sbandamenti. Lui non sarebbe che la testa di un corpo, e sarebbe il corpo che dovrebbe dargli i riscontri giusti perché l’occasione non vada perduta. Il risveglio che si osserva a New York in questi mesi è il risveglio stesso della democrazia, quella con l’iniziale minuscola, e non sia mai che con il nuovo giorno essa torni a dormire.
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