Il coraggio dell'essenziale
di Lauro Tisi
Cosa ci insegna la dedizione di tanti sacerdoti messi sotto pressione durante il periodo natalizio. Ecco perché più della mancanza di operai va sottolineato che "la messe è molta"
Ha un impatto inevitabile anche sui tempi della Chiesa la destinazione dei giorni festivi agli acquisti e a frenetiche relazioni di consumo, riferita da Francesco Riccardi su queste pagine (vedi Avvenire del 21 dicembre) a una precisa “visione del mondo”: tanti lavoratori cristiani costretti a “coprire” 365 giorni all’anno perché altri possano fare acquisti, programmi liturgici condizionati da relazioni sociali piegate alla logica del consumo “concentrata” in alcuni giorni.
In questi giorni di Natale mi è stato chiesto di riflettere come pastore di un territorio dalla forte attrazione turistica sul vissuto a rischio stress di tanti nostri sacerdoti, che proprio in questo periodo si ritrovano sempre più pressati da richieste di servizi liturgici, ma anche meno supportati dagli stessi collaboratori laici, a loro volta impegnati in questo calendario stravolto. Una condizione che emerge ad ogni confronto periodico con il clero e che “rivedo” ogni sera in volti ben precisi: parroci che devono coordinare anche una quindicina di parrocchie in una valle di periferia, puntando a rendersi presenti, almeno a rotazione, in ogni comunità; anziani collaboratori che affrontano i tornanti di strade di montagna per garantire la Messa festiva o un funerale; cappellani ospedalieri, già oberati dai ritmi della struttura sanitaria, richiesti per altri servizi o, ancora, referenti di servizi diocesani pronti a trasferirsi ogni giorno festivo o prefestivo in chiese distanti. Questi volti mi ispirano sempre profonda riconoscenza, come provo a testimoniare loro ad ogni incontro locale.
La loro dedizione mi conforta e mi provoca. In alcuni casi mi edifica, come è avvenuto quest’anno con don Renzo Caserotti, un prete che si è speso fino agli ultimi giorni di vita nelle parrocchie della val di Sole, dando una straordinaria testimonianza di fede nella Risurrezione, di coraggio e di libertà da sé stesso, senza mai far pesare sugli altri la sua malattia.
La disponibilità di tanti sacerdoti, ben conoscendo anche i rischi di logorio psicofisico imposto da troppe incombenze loro richieste, mi ha convinto a capovolgere l’interpretazione della frase evangelica che insiste sulla mancanza di operai. Invito, piuttosto, a guardare con ottimismo e fiducia l’abbondanza della messe, comprendendo in essa anche quanto è determinato dal lavoro generoso degli operatori pastorali, preti e non solo. Il titolo del messaggio “La messe è molta” scelto per la prima Visita pastorale è stato confermato da questi primi tre mesi: continuo a trovare sacerdoti che sanno alimentare preghiera e Parola comprendendo che è la spiritualità personale a supportare l’attivismo pastorale, appesantito con impegni crescenti, non solo nel tempo di Natale.
Di fronte a un cambiamento d’epoca, avvertiamo l’esigenza di lasciare modelli e calendari di un passato superato, compiendo coraggiose scelte all’insegna della semplificazione e dell’essenzialità. Per il presbitero mi sento di riportarle a due aspetti prioritari: la frequentazione della Parola di Dio e la relazione di ascolto con le persone.
“Lasciar riposare la terra” è una delle indicazioni bibliche sulle modalità celebrative dell’Anno Santo che si è appena aperto. Mi piacerebbe poterlo interpretare come un “lasciar riposare l’agenda”, ovvero staccare la spina, ritagliarsi un proprio spazio nel tempo libero troppo spesso “pre-occupato”, potersi ritrovare in quella “camera segreta” di ognuno di noi, dove abitano i desideri, vero motore della vita. Quest’invito a “lasciar riposare l’agenda” è rivolto non solo ai preti ma anche ai laici e alle laiche e a tutti gli altri componenti della comunità, come ci siamo detti in alcuni Consigli pastorali: devono essere anche loro a trovare modalità per lasciar decantare l’agenda del prete, riuscendo a supplire e supportare i vari servizi pastorali, liturgici o caritativi. Un esito che non solo consente di dare continuità all’annuncio del Vangelo e di non spossare i nostri sacerdoti, ma anche di rendere grazie al Signore per l’abbondanza della messe. Con la fiducia che da essa si generano anche nuovi operai.
Arcivescovo di Trento
In questi giorni di Natale mi è stato chiesto di riflettere come pastore di un territorio dalla forte attrazione turistica sul vissuto a rischio stress di tanti nostri sacerdoti, che proprio in questo periodo si ritrovano sempre più pressati da richieste di servizi liturgici, ma anche meno supportati dagli stessi collaboratori laici, a loro volta impegnati in questo calendario stravolto. Una condizione che emerge ad ogni confronto periodico con il clero e che “rivedo” ogni sera in volti ben precisi: parroci che devono coordinare anche una quindicina di parrocchie in una valle di periferia, puntando a rendersi presenti, almeno a rotazione, in ogni comunità; anziani collaboratori che affrontano i tornanti di strade di montagna per garantire la Messa festiva o un funerale; cappellani ospedalieri, già oberati dai ritmi della struttura sanitaria, richiesti per altri servizi o, ancora, referenti di servizi diocesani pronti a trasferirsi ogni giorno festivo o prefestivo in chiese distanti. Questi volti mi ispirano sempre profonda riconoscenza, come provo a testimoniare loro ad ogni incontro locale.
La loro dedizione mi conforta e mi provoca. In alcuni casi mi edifica, come è avvenuto quest’anno con don Renzo Caserotti, un prete che si è speso fino agli ultimi giorni di vita nelle parrocchie della val di Sole, dando una straordinaria testimonianza di fede nella Risurrezione, di coraggio e di libertà da sé stesso, senza mai far pesare sugli altri la sua malattia.
La disponibilità di tanti sacerdoti, ben conoscendo anche i rischi di logorio psicofisico imposto da troppe incombenze loro richieste, mi ha convinto a capovolgere l’interpretazione della frase evangelica che insiste sulla mancanza di operai. Invito, piuttosto, a guardare con ottimismo e fiducia l’abbondanza della messe, comprendendo in essa anche quanto è determinato dal lavoro generoso degli operatori pastorali, preti e non solo. Il titolo del messaggio “La messe è molta” scelto per la prima Visita pastorale è stato confermato da questi primi tre mesi: continuo a trovare sacerdoti che sanno alimentare preghiera e Parola comprendendo che è la spiritualità personale a supportare l’attivismo pastorale, appesantito con impegni crescenti, non solo nel tempo di Natale.
Di fronte a un cambiamento d’epoca, avvertiamo l’esigenza di lasciare modelli e calendari di un passato superato, compiendo coraggiose scelte all’insegna della semplificazione e dell’essenzialità. Per il presbitero mi sento di riportarle a due aspetti prioritari: la frequentazione della Parola di Dio e la relazione di ascolto con le persone.
“Lasciar riposare la terra” è una delle indicazioni bibliche sulle modalità celebrative dell’Anno Santo che si è appena aperto. Mi piacerebbe poterlo interpretare come un “lasciar riposare l’agenda”, ovvero staccare la spina, ritagliarsi un proprio spazio nel tempo libero troppo spesso “pre-occupato”, potersi ritrovare in quella “camera segreta” di ognuno di noi, dove abitano i desideri, vero motore della vita. Quest’invito a “lasciar riposare l’agenda” è rivolto non solo ai preti ma anche ai laici e alle laiche e a tutti gli altri componenti della comunità, come ci siamo detti in alcuni Consigli pastorali: devono essere anche loro a trovare modalità per lasciar decantare l’agenda del prete, riuscendo a supplire e supportare i vari servizi pastorali, liturgici o caritativi. Un esito che non solo consente di dare continuità all’annuncio del Vangelo e di non spossare i nostri sacerdoti, ma anche di rendere grazie al Signore per l’abbondanza della messe. Con la fiducia che da essa si generano anche nuovi operai.
Arcivescovo di Trento
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