Il 7 ottobre come l'11 settembre: cosa non abbiamo imparato sul terrorismo

Le 1.200 vittime innocenti di due anni fa chiedono al mondo una risposta diversa dalla vendetta e dalla distruzione
October 6, 2025
Campo commemorativo all’aperto: su terriccio chiaro sono disposti in file molti pannelli con foto e brevi testi delle vittime, circondati da piccoli memoriali con fiori, candele e oggetti personali
Le foto delle persone uccise nella strage di Hamas al Nova Festival nella foresta di Beeri un anno dopo, 7 ottobre 2024
A due anni di distanza dall’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023, un atroce atto di terrorismo dalle ripercussioni a cerchi concentrici (Libano, Iran, Yemen, Siria) che ancora non si sono esaurite, il parallelo tra le stragi dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti compiute da al-Qaeda e l’“Operazione Diluvio al-Aqṣā” scattata dalla Striscia di Gaza pare sempre più plausibile. Pur avendo una scala territoriale diversa, entrambi sono stati eccidi di massa attentamente e lungamente pianificati da movimenti fondamentalisti islamici, che hanno sorpreso gli apparati di sicurezza delle nazioni colpite e hanno provocato una reazione di vastissima portata, con lunghe guerre su ampia scala.
Nel caso dei raid contro i cittadini israeliani di cui ricorre il secondo anniversario è doveroso ricordare le coordinate, per non smarrire le dimensioni e le modalità del massacro a sangue freddo consumato su giovani a un concerto e intere famiglie nelle loro case, con episodi documentati di brutalità e sadismo. Sono stati 1.200 i civili e militari israeliani uccisi, circa 250 sequestrati.
L’operazione cominciò nelle prime ore del mattino con un massiccio lancio di razzi (oltre 3.000) su varie località del sud e del centro di Israele, incluse Tel Aviv e Gerusalemme. Contemporaneamente, unità armate di Hamas e di altri gruppi palestinesi oltrepassarono la barriera di confine attraverso punti forzati, tunnel e con l’uso di veicoli motorizzati, deltaplani e via mare. I miliziani attaccarono basi dell’esercito, insediamenti e città israeliane nei pressi della Striscia, tra cui Sderot, Ofakim, Be’eri e Kfar Aza. Le ricostruzioni di quelle lunghe, terribili ore parlano di bambini uccisi, stupri e torture.
Modalità ben diverse ma tanto devastanti quanto il dirottamento di aerei di linea fatti schiantare contro le Torri Gemelle. Il bilancio dell’evento che segnò l’avvio del nostro secolo fece anche molti più caduti. A dispetto delle differenze, le reazioni di America e Israele sono state in qualche misura analoghe, forzate dall’enormità simbolica e di morte di quegli attacchi. La perdita dell’inviolabilità del proprio territorio per gli Stati Uniti, il peggior massacro dalla Seconda guerra mondiale per Tel Aviv e gli ebrei nel mondo. 
Se lo svolgimento dei conflitti successivi, l’invasione dell’Afghanistan (e in seguito dell’Iraq) e la messa a ferro e fuoco dell’intera Striscia di Gaza hanno avuto dinamiche dissimili, comune ai due eventi bellici sembra essere stata la volontà distruttrice dei gruppi che li hanno ideati e realizzati così come le conseguenze. Al-Qaeda è stata in gran parte disarticolata come rete globale e le popolazioni islamiche dei Paesi interessati dai combattimenti successivi innescati dagli attentati hanno pagato un altissimo prezzo in termini di vite e sviluppo, con stime del Costs of War Project che parlano di mezzo milione di deceduti civili e altrettanti fra uomini in armi. Lo stesso si può dire del 7 ottobre. Hamas che governava Gaza ha di fatto perso il controllo politico della regione e gran parte dei suoi effettivi, i pochi leader ancora in vita andranno in esilio se il “piano di pace Trump” diverrà effettivo, mentre almeno 67mila palestinesi, il 3% degli abitanti complessivi, sono morti sotto le bombe e le pallottole di Israele.
Qualcuno si è spinto a dire che Hamas ha comunque “vinto”, con il cinico utilizzo del sangue del proprio popolo per attirare il “nemico sionista” in una trappola di violenza. I prossimi anni diranno come i nuovi assetti del Medio Oriente post-7 ottobre si assesteranno. Tuttavia, già ora si può dire che la reazione divenuta nel tempo sproporzionata degli Usa allora e ancor più di Israele oggi ha creato un muro di risentimento del Sud globale del mondo verso quei due Paesi, che peraltro hanno conseguito vittorie militari iniziali – si pensi all’Afghanistan – ma, pur mettendo in sicurezza i propri confini, non hanno ottenuto risultati politici duraturi. Le 1.200 vittime innocenti, cui si aggiungono gli ostaggi deceduti o infine liberati, non possono e non devono perdere il nostro ricordo e il nostro rispetto. Sono stati incolpevoli bersagli degli attacchi che hanno dato il via alla guerra per cui tantissimi sono oggi in piazza a chiedere pace. Hamas non voleva liberare Gaza, di Gaza ha fatto solo il male, chi dice il contrario è in profonda malafede. Hamas ha innescato una perversa spirale di odio e di distruzione cui non ci si è saputi sottrarre. Per questo i 1.200 civili massacrati sono doppiamente vittime, di un crimine e di un inganno della storia. Una lezione che non abbiamo imparato con l’11 settembre e che potremmo infine imparare con il 7 ottobre. Prevenire il terrorismo non solo con la repressione, bensì pure migliorando le condizioni sociali ed economiche nelle quali si alimenta. Combatterlo con determinazione, rispettando però prima ancora il senso di umanità che il diritto internazionale. Questo è il modo di onorare tutti i caduti, senza ambiguità né cedimenti a risorgenti tentazioni antisemite. Onorarli con la giustizia e non con la vendetta. 

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