Fare scuola è come spezzare il pane e condividerlo

Con la lettera apostolica "Disegnare nuove mappe di speranza" papa Leone XIV, sessant’anni dopo la "Gravissimum educationis", riporta l'educazione al cuore del Vangelo
October 30, 2025
Fare scuola è come spezzare il pane e condividerlo
Sono trascorsi sessant’anni dalla Gravissimum educationis, la dichiarazione conciliare alla quale si richiama l’ultima lettera apostolica di papa Leone XIV, intitolata, in pieno spirito paolino, Disegnare nuove mappe di speranza. Robert Francis Prevost aveva dieci anni, io solo uno di meno, frequentavo la quarta elementare in una scuola pubblica, ricordo che andavamo in aula indossando il grembiule azzurro col colletto di plastica bianco rigido intorno al collo, il maestro usava il righello non solo per tracciare le linee sul quaderno, anche per colpirci sulle mani quando sbagliavamo, la Guerra Fredda teneva tutti col fiato sospeso non solo in Europa, insomma visto col senno del poi poteva sembrare un altro mondo e forse lo era. Eppure, leggendo queste considerazioni di oggi, figlie dichiarate del Patto Educativo Globale firmato sette anni fa da papa Francesco, dobbiamo ammettere che la trama essenziale del pensiero su cui esse appaiono fondate ricalca in sostanza le convinzioni che tutti i grandi maestri del passato, da San Filippo Neri a don Giovanni Bosco, da San Giuseppe Calasanzio a Maria Montessori, ci hanno trasmesso: l’istruzione non può limitarsi a spostare un contenuto da un luogo all’altro, significa piuttosto far fiorire la vita, l’insegnante non deve restare da solo di fronte alla classe, ha bisogno dell’accordo con le famiglie, il vero sapiente non conserva per sé la propria cultura ma la spezza con chi ha di fronte, come pane da mangiare, non esistono metodi unici, bensì stili educativi, è necessario, seguendo la scia agostiniana, entrare nei mondo interiori dei nostri allievi in modo da orientare ciascuno verso la strada migliore. Non semplice addestramento a superare l’ostacolo, né riduzione alla mera cultura della competenza specifica, ma centralità, integralità della persona, recuperando “lo sguardo lungo di Abramo”, nell’indimenticabile intuizione lirica compresa nella Genesi, (15-5), quando il Signore gli dice: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle», soggiungendo subito dopo: «Tale sarà la tua discendenza». Ogni vero insegnante, almeno una volta nella propria vita, dopo aver finito di spiegare, vedendo brillare gli occhi anche di uno solo dei suoi studenti, è stato scosso dal brivido a cui questo passo allude. Vale per tutti gli educatori, in primis i genitori: il vento soffia imprevedibile spargendo i semi là dove tu non puoi sapere.
Si apprezzano in particolare nella presente lettera apostolica i rilievi sulla rivoluzione digitale, non da combattere, ma da utilizzare nella maniera più giusta, legandola al bene comune. Le università sono chiamate a dare un fondamentale contributo nel ripristino delle gerarchie di valore, tornando a mettere a confronto, sulle tracce di San John Henry Newman, fede e ragione. Abbiamo bisogno, leggiamo testualmente, di «poesia, ironia, amore, immaginazione, gioia della scoperta e perfino», questo a me pare essenziale, «educazione all’errore come occasione di crescita». Sottraiamoci alle aride e cieche combinazioni dell’algoritmo, accordandoci piuttosto ai ritmi dei nostri cuori pulsanti. Da ogni parte del testo apostolico filtra la consapevolezza della natura planetaria che oggi deve avere la speranza educativa, anche pensando alla responsabilità ecologica che ci accomuna: leggendo questi scorci mi sono tornati in mente i piccoli scolari che ho visto in Africa, sessanta bambini attenti di fronte al maestro senza penne né quaderni, oppure quelli ucraini, costretti per anni a studiare nei bunker illuminati dalla luce elettrica per evitare le bombe. La pace non può essere una parola vuota, va conquistata ogni giorno nelle ferite del confronto quotidiano fuori e dentro sé stessi. Troppo facile sarebbe delegare agli Stati sovrani, specie quelli belligeranti, il compito di far tacere le armi. Chi del resto può aiutarti a superare le pastoie che ti opprimono, spingendoti al fondamentale discernimento fra ciò che potresti fare e ciò che devi abbandonare, se non la scuola? Non separata dalla vita, selettiva e competitiva, standardizzata e destinata alle sole famiglie abbienti, perché, sottolineo questa riga che sarebbe piaciuta al priore di Barbiana, “perdere i poveri” equivale a perdere la scuola stessa. Al centro di ogni azione educativa deve restare la qualità della relazione umana che viene prima del programma da svolgere, dell’interrogazione programmata e del voto da assegnare. Soltanto così potremo metterci alla sequela del giovane rabbi quando, dopo essere sceso da Cafarnao, incrociò sul lago di Tiberiade lo sguardo dei pescatori incuriositi, i quali non l’avrebbero seguito se non avessero percepito in lui un interesse originale e autentico nei loro confronti.

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