Europa armata, vittoria degli Stati Uniti. E gli altri hanno perso
di Redazione
Sull'intesa del 5%, in sintesi e a rigor di logica, ha ragione Rutte: ha vinto Trump, dunque gli altri, tutti gli altri, hanno perso

Nulla spiega il vertice Nato appena conclusosi come quel messaggio che il segretario generale dell’Alleanza, l’olandese (ed europeo) Mark Rutte, ha recapitato a Donald Trump prima ancora che il presidente Usa partisse verso L’Aia. In sintesi: «Il vincitore sei tu». Poi certo al World Forum sono accadute cose, ci sono stati incontri, bilaterali, sussurrii, bilanciamenti, ma la sostanza è quella che Rutte si è premurato di comunicare a Washington prima ancora che i leader arrivassero: l’intera riunione era finalizzata a certificare il peso di Trump e del trumpismo sull’Occidente e sull’Europa.
Certo, va detto che l’intesa sul 5% è “politica”, nel senso che offre ancora margini per scaltri riconteggi e riclassificazioni delle spese. Ma l’indirizzo è assunto: i soldi in armi, difesa e sicurezza cresceranno in modo esponenziale perché, dice ancora Rutte, la protezione del Vecchio Continente e degli Stati Nato non può essere a carico dei «contribuenti americani».
L’Europa ne esce oggettivamente con le ossa rotte. Per almeno tre motivi. Primo, ha dovuto assumere l’impegno sostanzialmente “sotto minaccia”, perché quando Trump, ancora sull’Air force one, metteva in dubbio l’articolo 5 del Trattato Nato, stava tornando a declamare la teoria del disimpegno americano. Lo assume, secondo motivo della “sconfitta” europea, consapevole dell’inevitabile impatto sul welfare. In questi giorni la bandiera della “battaglia sociale” è stata lasciata in mano al socialista spagnolo Sanchez, ma dietro le sue argomentazioni si celavano le paure e la consapevolezza anche di altri leader europei, Meloni compresa.
L’Europa ne esce oggettivamente con le ossa rotte. Per almeno tre motivi. Primo, ha dovuto assumere l’impegno sostanzialmente “sotto minaccia”, perché quando Trump, ancora sull’Air force one, metteva in dubbio l’articolo 5 del Trattato Nato, stava tornando a declamare la teoria del disimpegno americano. Lo assume, secondo motivo della “sconfitta” europea, consapevole dell’inevitabile impatto sul welfare. In questi giorni la bandiera della “battaglia sociale” è stata lasciata in mano al socialista spagnolo Sanchez, ma dietro le sue argomentazioni si celavano le paure e la consapevolezza anche di altri leader europei, Meloni compresa.
Anche se si tratta di un passaggio sfumatissimo, non va dimenticato quanto la premier ha detto alla Camera lunedì, quando ha ammesso un possibile calo di consensi derivante dalla scelta del riarmo (evidentemente per le inevitabili ricadute su altri capitoli di spesa). Né è possibile dimenticare le “grida di dolore” del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti circa l’impatto sul debito pubblico. Terzo motivo di delusione e riflessione per la debole Europa, l’inchino a Trump sul 5% non è valsa le attese rassicurazioni americane sull’Ucraina.
È evidente il tentativo dell’Ue, dai suoi vertici istituzionali ai principali capi di governo, di provare a “tenere buono” Trump, sperando che tanta solerzia sulla difesa paghi quantomeno sul dossier dazi. Ma è, in tutta evidenza, una (costosa) scommessa. Anche perché, va detto chiaramente, gli impegni di riarmo nazionale in sede Nato allontanano ulteriormente l’ipotesi di una difesa comune europea. E d’altra parte già il piano RearmEu è distante dall’intuizione dei padri fondatori, prevedendo anch’esso un riarmo su base nazionale (per di più sbilanciato sulla Germania).
Il “programma militare” dell’Alleanza, infatti, nonostante le rassicurazioni dei leader europei circa l’impatto positivo sulle industrie nazionali, asseconda l’inerzia di accordi commerciali tra Stati Uniti e altri Stati membri, e questo rischia di depotenziare anche Safe, l’europiano per finanziare progetti condivisi tra Paesi Ue con prestiti agevolati. Di tale circostanza non sembra essere troppo preoccupata Giorgia Meloni, che a L’Aia ha “problematizzato” molto meno il tema del riarmo rispetto a quanto fatto, invece, durante i recenti Consigli Europei. Segno che la premier, al netto dell’imprevedibilità di Trump che la costringe a non rinunciare al rapporto con Germania e Francia, continua a prediligere l’atlantismo all’euroatlantismo. Ma la strada dell’attuazione del riarmo, per la presidente del Consiglio, è tutt’altro che in discesa: la Lega scalcia, già intravede una manovra “austera” e non ama i toni bellici della Nato di Rutte contro Mosca, in Forza Italia si affaccia qualche insospettabile riserva, la stessa FdI riesce a mascherare le preoccupazioni “sociali” solo affidandosi alla leadership di Meloni. Per questo motivo, sul dossier militare, la premier ha aperto a collaborazioni con un pezzo di opposizione.
In sintesi, a rigor di logica, ha ragione Rutte: ha vinto Trump, dunque gli altri, tutti gli altri, hanno perso.
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