Educazione e IA, formula attuale di una pedagogista del passato
Le scuole Faes a 100 anni dalla nascita di Serena Bianchi e a 50 anni di un sistema educativo che si fonda sulla centralità della persona

Sembra proprio che viviamo in un crocevia di crisi che si intrecciano e si potenziano a vicenda creando disagio e sofferenza. Famiglia, scuola, mondo dei più giovani e mondo degli anziani, tutto sembra esprimere una forte sensazione di disorientamento in cui è difficile trovare soluzioni. Ma non è certo la prima volta che nella nostra società si sperimenta questa percezione acuta di un cambiamento che mette in crisi le nostre radici, senza offrirci, almeno apparentemente, soluzioni alternative. Cinquanta anni fa le cose sembravano andare ancora peggio, per quanto sembri paradossale. Nacquero allora a Milano, a metà degli anni ’70, le scuole Faes (acronimo di Famiglia e Scuola): furono generate dalla convinzione profonda che per rinnovare la società si dovesse ricominciare dalla famiglia e che i genitori, come primi educatori dei propri figli, dovessero assumersene la responsabilità. Lo fece un gruppo di genitori milanesi dando vita al primo nucleo di centri educativi ispirati a un progetto, sostanzialmente cristiano, che mette al centro la collaborazione stretta tra scuola e famiglia. Tra i promotori di quei centri c’era la professoressa Serena Bianchi, che proprio in questi giorni avrebbe compiuto 100 anni. A lei sono dedicate queste rapide considerazioni.
Tra i punti principali del metodo educativo Faes, da lei messo a punto insieme ad altri genitori animati da una comune passione educativa, ci sono aspetti che riguardano la centralità della persona: ogni studente è seguito nella sua crescita integrale intellettuale, affettiva, sociale e spirituale. I genitori non sono considerati semplici “utenti” della scuola ma corresponsabili dell’educazione. Per tutti è disponibile un tutoring personalizzato, che aiuta a organizzarsi nello studio, a maturare responsabilmente e fa da ponte con la famiglia. Oltre alle discipline scolastiche, molta attenzione è posta all’educazione morale e civica, con riferimento a valori cristiani come il rispetto, la responsabilità, la solidarietà. Il metodo punta a uno sviluppo integrale della persona e la scuola propone attività culturali, artistiche, sportive e di volontariato per completarne la crescita. Non moltiplica le discipline, ma le integra in problemi da affrontare con un approccio diverso dalla lezione frontale tradizionale. Lo studente viene messo in condizione di cercare, riflettere, proporre soluzioni, mentre l’insegnante diventa un facilitatore, una guida, non solo colui che “spiega”. Si parte da situazioni reali, che rappresentano un problema da risolvere; può essere una questione di matematica applicata, un dilemma etico, un caso storico, un progetto scientifico o un problema pratico di vita quotidiana. In altri termini, occorre sviluppare capacità di pensiero critico e non solo mnemonico, potenziando autonomia nello studio e nella ricerca ma anche capacità di comunicazione e abilità di lavoro in gruppo, sapendo collegare ciò che si studia con la vita reale.
Serena Bianchi in classe con i suoi alunni ha lavorato su una antologia senza note: queste dovevano farle gli alunni con le loro domande e le loro risposte. La didattica Faes (attiva, personalizzata, centrata su ciascuno) oggi si confronta con le prospettive aperte dall’Intelligenza artificiale (IA) in ambito educativo, ed emergono indubbiamente alcuni aspetti distintivi. L’IA può supportare lo studio, ma non sostituisce il rapporto educativo tra docente, studente e famiglia. L’IA tende a sviluppare soprattutto competenze cognitive e tecniche, mentre il metodo Faes lavora anche su valori, responsabilità, senso critico, empatia e relazioni interpersonali, aspetti che l’IA non può “insegnare”. In altri termini, con la didattica per problemi gli studenti imparano a porsi domande, valutare fonti, distinguere il vero dal falso. Cosa fondamentale in un mondo dove l’IA può generare informazioni in modo automatico ma non sempre affidabile. L’IA può personalizzare contenuti, ma lo fa secondo algoritmi, mentre serve mettere al centro la singolarità irripetibile di ogni ragazzo e ragazza, accompagnandoli anche sul piano umano e spirituale. Ben venga l’IA, dunque, ma solo se inserita in un modello formativo complessivo e non solo come una tecnica che sostituisce altre tecniche didattiche. Ai tempi della professoressa Bianchi l’IA non c’era: c’erano in compenso i mille antidoti per ovviare all’uso maldestro di una tecnica potente e interessante ma insufficiente per fare davvero formazione. L’IA può essere un valore aggiunto, non un sostituto. Mentre ricordiamo i 100 anni dalla nascita di Serena Banchi, pedagogista e grande educatrice del secolo scorso, ricordiamo allora anche i 50 anni di un sistema educativo che offre una rete di cura relazionale e preventiva per formare studenti più sereni, autonomi e capaci di affrontare le sfide emotive della crescita, sostenendo anche i genitori nel loro ruolo educativo.
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