«Davanti allo specchio
della prigione ho ritrovato il mio vero volto»

La toccante testimonianza scritta di Nareto nel testo premiato al concorso per detenuti organizzato dalla Fondazione Società San Vincenzo de' Paoli
October 28, 2025
«Davanti allo specchio
della prigione ho ritrovato il mio vero volto»
Fotografia di Ron Lach
Per le persone detenute la scrittura è una risorsa inestimabile. Strumento prezioso per rileggere il passato, prendere coscienza degli errori commessi e provare a metterli nero su bianco, fare i conti con il dolore procurato e con quello che divora l’anima, riannodare i fili spezzati dell’esistenza. Ed è anche un modo per dire a sé stessi e testimoniare alla società che l’uomo non è definito dal male compiuto, ma c’è sempre una possibilità di cominciare una nuova esistenza, già nel tempo della detenzione. Nei giorni scorsi il carcere Canton Mombello di Brescia ha ospitato la cerimonia di premiazione del premio letterario riservato ai detenuti promosso dalla Federazione Nazionale Italiana Società San Vincenzo de’ Paoli e intitolato alla memoria di Carlo Castelli (volontario vincenziano e promotore della Legge Gozzini), giunto alla diciottesima edizione. Il titolo di quest’anno mette in evidenza le dinamiche di cambiamento che possono nascere anche nel buio del carcere: “Mi specchio e (non) mi riconosco: non sono e non sarò il mio reato”. I tre vincitori hanno ricevuto un riconoscimento che si è tradotto in una doppia opportunità: una somma in denaro destinata al partecipante e una seconda somma che finanzia progetti di reinserimento sociale da realizzare in un carcere per adulti, in un istituto penale minorile e attraverso l’Ufficio di esecuzione penale esterna (Uepe). «Ogni vincitore diventa così protagonista di un percorso che offre a un altro detenuto una concreta possibilità di riscatto - spiega Paola Da Ros, presidente della Federazione -. I testi premiati e altri dieci lavori ritenuti meritevoli dalla giuria vengono raccolti in un’antologia distribuita in tutta Italia e allegata alla nostra rivista “Le Conferenze di Ozanam”» . Pubblichiamo di seguito ampi stralci di “L’amico riflesso”, uno dei tre racconti vincitori, in cui l’autore affronta un dialogo profondo con sé stesso, tra colpa, ferite e desiderio di rinascita.
Specchio insopportabile e maledetto. Volgevo lo sguardo altrove pur di non vedere quella faccia riflessa che ogni mattina mostravi, ma tu, impietoso, mi affliggevi esibendo il volto di un detenuto. Un’immagine che generava rabbia e rancore, frustrazione e depressione. Silente e insistente, non concedevi sconti e attenuanti: «Sei tu, fattene una ragione», parevi dirmi. Un tormento quotidiano a cui era impossibile fuggire. Un dito puntato che trafiggeva gli occhi e tormentava il cervello. Ti odiavo. Sono entrato in carcere poco convinto di aver commesso un reato, preferivo parlare di errore: potenza delle distorsioni mentali. I primi a non volerci credere sono stati i miei familiari, «impossibile tu abbia fatto ciò che sostengono i giudici» dicevano. E io con loro. Dopo trent’anni di lavoro, una moglie e un figlio magnifici, sono passato da incensurato a detenuto. «Lo sbaglio l’ho commesso, d’accordo, ma addirittura la galera no, questo no. Non sono un terrorista, un rapinatore e, tutto sommato, non ho ucciso nessuno» ripetevo a me stesso. Ma tu, specchio, non hai mollato la presa: «Basta trovare giustificazioni». Disperato, mi sono arreso e ho accettato l’aiuto di un’équipe di esperti compiendo una scelta tormentata e sofferta. Mi spiegarono che avrei dovuto lavorare su istinti e pulsioni, elaborare criticamente l’accaduto, rileggere il mio vissuto con occhio differente, imparziale, accettando il confronto, l’analisi, la ricerca delle cause, toccando con mano le conseguenze delle mie azioni e le ferite arrecate, guardando in faccia la verità. «Proviamoci», non potrà esser peggiore di quell’immagine che quotidianamente riflettevi, ormai divenuta insopportabile, capace di artigliarmi l’anima. Giorno dopo giorno sono emersi dall’oblio tratti e aspetti della personalità che inconsciamente preferivo non vedere, mantenere sepolti, nascondendoli al mondo ed a me stesso. (…)
Come è accaduto? Come è stato possibile che non mi rendessi conto di ciò che stavo compiendo? Il vaso di Pandora era stato aperto. Ho ricostruito, condiviso, rivissuto l’accaduto con sofferenza e disagio, sincerità e lacrime, scoprendo nodi irrisolti, traumi non elaborati, modalità comportamentali, debolezze, limiti. Gradualmente ho iniziato ad ammettere e comprendere che quel viso rispecchiava realmente la persona capace di calpestare altri per ottenere ciò che voleva, pronto a tutto pur di ottenerla. (…). Ho vacillato, ho temuto di non farcela e proprio in quei tristi frangenti ho scoperto che non ero solo e potevo contare, nonostante tutto, sull’amore immeritato dei miei familiari, la vicinanza degli amici superstiti, il ritrovato conforto e sostegno della fede, riscoprendo le orme di Dio che camminava al mio fianco, accorgendomi che non se era mai andato. È emersa chiara la consapevolezza che chiedere aiuto non è segno di debolezza, bensì di forza (…). Un cammino impegnativo e a tratti doloroso, che mi ha trasformato da vagabondo in pellegrino, con una meta da raggiungere, imparando a convivere con il senso di colpa che ancora oggi toglie il respiro, accettandomi per ciò che sono. (…) Sai, specchio, ho scoperto che la speranza è più forte dei fatti: non li ignora, non li aggira, ma li attraversa, li contesta e talvolta li trasforma, ma è necessario guardarsi dentro, accettando con umiltà la mano di coloro che vogliono aiutarti nella risalita. L’avessi fatto prima, forse non sarei in carcere. Specchio, ancora oggi guardo l’immagine riflessa e non mi capacito di ciò che ho fatto. Eppure quella persona ero io. Sono io. Smagrito, qualche ruga in più, i capelli radi con fili d’argento ma, se ti limiti all’apparenza, sembrerei lo stesso uomo di anni fa. Sei ancora capace di farmi provare vergogna, senso di colpa e crisi di coscienza, perché non puoi sapere la trasformazione avvenuta dietro le sbarre. Sei un disco che ripete sempre la medesima musica, cambi solo l’arrangiamento. Ma non è così, te l’assicuro. Questo è il tuo limite. Non è colpa tua, sei un oggetto inanimato, ti limiti all’esteriorità. Il volto che oggi restituisci è, invece, quella di un uomo diverso, punito e detenuto, ma consapevole e rinato. Non temere, sei in buona compagnia, sei identico a molti che incontrerò da libero cittadino e già mi hanno impresso un marchio indelebile, ritenendomi un reietto, uno scarto sociale, un reato che cammina, capaci solo di giudicare, emettere l’ennesima sentenza. Forse inappellabile. Lo chiamano stigma. (…) Oggi, caro specchio, non ti odio più, anche se mi mostri una figura al contempo reale e virtuale, verosimile ma non autentica.
Ora sono un uomo timoroso ma fiducioso, carico di desideri e speranze, rimorsi e rimpianti, aperto al futuro. Ho sostituito all’attesa inerme l’azione, alla fuga la responsabilità, ritrovando l’autostima, maturando la convinzione che la vita non è un mistero da risolvere, ma una sfida da vivere. Tutti i giorni. Stamattina mi sono fatto la barba e ho visto il mio viso segnato da anni di detenzione a tratti incivile e disumana, stipato in una cella sovraffollata ma intrisa di solitudine, con il drammatico ricordo di compagni di viaggio che hanno deciso di farla finita. Acqua passata, mi ripeto, ma non voglio ricadere nell’errore e nascondermi ciò che mi attenderà lasciandomi catturare dall’ottimismo ottuso. Sarà dura. Molto dura. Quasi sessantenne ed ex detenuto: un appestato. Come raccontare al mondo che è possibile concedere una seconda possibilità? Come far comprendere che sono fragile e custode di lacrime, prigioniero di mille limiti prima che colpevole? Non è il colpo di spugna sul passato, ma la volontà di provare a riallacciarmi le scarpe e ripartire senza aver sulle spalle uno zaino troppo pesante, che mi farebbe cadere. L’amore dei miei cari, la fede e le lettere degli amici infondono speranza. (…). Ce la farò? Ricominciare da zero, in una nuova città, tra volti sconosciuti, chiedendo un lavoro per ripartire, sapendo che sono, un ex galeotto, sinonimo di pericoloso, uno da cui stare alla larga. Davvero è lo scandalo della speranza. Ma l’alternativa sarebbe la resa e in troppi hanno deciso di rinunciare, di arrendersi allo sconforto, nell’indifferenza generale. Un silenzio assordante certo non beneaugurante. Io no. Ci voglio provare e affrontare la seconda vita a muso duro. So di potercela fare. Sai, specchio, ti faccio una confidenza: quando preparerò la borsa per uscire dal carcere non ti lascerò nella cella. Ti porterò con me. Un amico sincero, pur se virtuale, mi servirà.
Nareto
(22 - Continua)

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