Cacciare i civili, sfruttare il suolo: cosa c'è dietro alle mattanze in Congo

L’intento di miliziani, trafficanti e mercenari è quello di strumentalizzare la religione per fini eversivi. Il tutto nell'indifferenza della comunità internazionale
July 28, 2025
Cacciare i civili, sfruttare il suolo: cosa c'è dietro alle mattanze in Congo
È raccapricciante quanto è avvenuto nella notte tra sabato e domenica scorsi nel settore nordorientale della Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Quarantatré giovani del Movimento Eucaristico Giovanile (Mej) sono stati massacrati da una formazione armata islamista, mentre erano riuniti per celebrare il 25° anniversario del loro gruppo all’interno della parrocchia dedicata alla Beata Anuarite di Komanda, diocesi di Bunia (provincia dell’Ituri). Quello che doveva essere un tempo di grazia si è trasformato in un inferno di dolore. Gli autori di questa carneficina sono stati i ribelli delle Allied Democratic Forces (Adf), noti anche come Forces démocratiques alliées. Fonti della società civile locale hanno riferito che non si è trattato di un episodio isolato in quanto da quelle parti, soprattutto lungo il confine tra il Nord Kivu e la provincia dell’Ituri, ogni settimana si verificano uno o due raid, vere e proprie mattanze perpetrate all’arma bianca o a colpi di kalashnikov, nei villaggi o nei campi, a volte anche sulle strade in terra battuta.
I ribelli uccidono, incendiano e sequestrano impunemente ragazzi e ragazze cristiani o animisti, che successivamente, vengono sottoposti a sedute di indottrinamento invasive: una sorta di lavaggio del cervello che trasforma queste reclute in automi in grado di compiere indicibili nefandezze, grazie anche alla somministrazione di sostanze stupefacenti. Sarebbe comunque fuorviante pensare che questa spirale di violenza prescinda dal contesto geopolitico di quella tormentata parte dell’ex Zaire. Stiamo parlando di una terra che da lunghi anni continua a essere bagnata da sangue innocente, per questo raccontata spesso anche da questo giornale e inspiegabilmente e colpevolmente ignorata da gran parte della stampa internazionale.
Si stima che nella regione siano attivi oltre un centinaio di gruppi armati – in alcuni casi masnade dedite al banditismo, in altri, formazioni ribelli – per un totale di oltre 20mila combattenti. Quello che più recentemente è assurto all’onore della cronaca è il movimento filo-ruandese M23, anche se poi la formazione, per così dire, più imprevedibile e feroce sono le Adf, un gruppo ribelle islamico di matrice ugandese considerato un’organizzazione terroristica dal governo di Kampala. Originariamente questo gruppo eversivo era insediato nell’Uganda occidentale, ma si è poi dispiegato stabilmente nella vicina Repubblica Democratica del Congo. Le Adf considerano come loro fondatore un certo Jamil Mukulu. Nato in una famiglia cristiana nel 1964, si convertì successivamente all’islam. Dal 2015, le Adf hanno fortemente radicalizzato la propria agenda politica, dopo l’incarcerazione di Jamil Mukulu e l’ascesa al suo posto di un altro ugandese, Musa Baluku.
Dal 2019 le Adf si sono divise, con una parte minoritaria rimasta fedele a Mukulu, mentre l’altra, che ha preso il sopravvento, si sarebbe fusa sotto Baluku, nella Provincia dell’Africa centrale dello Stato islamico, meglio nota con l’acronimo Iscap. La loro ferocia, mediatizzata attraverso una strategia comunicativa delirante, è incentrata sulla provocazione, uno dei tratti caratteristici dell’ideologia salafita, quella su cui si reggono le cellule eversive d’estrazione islamista. L’intento di questi jihadisti è quello di strumentalizzare la religione per fini eversivi, attribuendo all’Occidente la responsabilità del degrado mondiale e annientando chiunque si opponga al loro delirio di onnipotenza. Mentre scriviamo, la popolazione locale è costretta a fuggire per il costante incalzare di questi fanatici. Nel nordest della Rdc, il controllo delle terre e il sistematico sfruttamento delle risorse naturali, oltre ai continui approvvigionamenti di armi e munizioni, consente a miliziani, trafficanti e mercenari di perseguire una massiccia e devastante appropriazione e (s)vendita di un bene comune mai condiviso. Motivo per cui papa Francesco gridò da Kinshasa nel 2023: «Giù le mani dall’Africa!». Un appello ancora oggi tristemente disatteso.

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