A Torino c’è un prato verde dove gioca anche chi non può
L’associazione GiuCo ‘97 ha sede a Porta Palazzo, si ispira a Giuseppe Cottolengo, e ha una missione: permettere a tutti di fare sport. Don Andrea: la nostra porta è sempre aperta

Nel gran bazar torinese di Porta Palazzo, al centro come un diamante, lì dove la notte si “gioca” drammaticamente a guardia e ladri inseguendo gli spacciatori, brilla la stella luminosa della GiuCo ’97 Asd. Molto più di un’associazione sportiva, è una comunità solidale, la famiglia allargata, con figli nati sotto la Mole da genitori delle etnie più disparate. Gioventù messa sui banchi di scuola e poi a tavola e infine sui campi di gioco dal “Presidentissimo”, don Andrea Bonsignori. Un “Don Matteo” cinquantenne che sfreccia in moto per la città e le colline fino alla Superga del suo Grande Torino, e poi nelle rare sere libere dalla Polisportiva suona la chitarra e canta anche nella band degli amici della sua prima vita mondana, i PanKalieri. Alcuni dei musicisti sul palco sono stati i primi soci fondatori della GiuCo, insieme ad altri che hanno poi percorso altre strade. Ex ragazzi che trent’anni fa hanno fatto questo sogno ad occhi aperti: permettere ai loro figli e ai figli degli altri, specie a quelli con poche risorse economiche, di poter giocare e crescere insieme in un quartiere dove i problemi non mancano, miseria compresa.
Non a caso, dall’altra parte della strada del campo sportivo, in erba sintetica usato per il calcio e il rugby, il moderno ConiCotto, («nato, assieme all’attiguo campo di basket, sopra una spianata di cemento», racconta don Andrea) la trattoria leccese alla vetrina ha appeso il cartello ultrasolidale: «Diamo un primo a chi non può pagarlo». Stessa filosofia di don Bonsignori che, tutti i giorni, mette in pratica gli insegnamenti del sant’uomo a cui è intitolata la GiuCo che è l’acronimo di Giuseppe Cottolengo (1786-1842). «Stiamo allegri, non ho più che tre centesimi; con tutto questo stiamo allegri, abbiamo fede nella Divina Provvidenza», ha ripetuto fino alla morte il fondatore della Piccola casa della Divina Provvidenza. «Ed è davvero solo la Divina Provvidenza, quella che da sempre manda avanti tutti noi», dice convinto don Andrea aprendo la festa per la presentazione del bilancio sociale, il primo nella nuova sede della GiuCo ’97, inaugurata a maggio grazie a una generosa raccolta fondi pubblica che ha superato i 100mila euro, promossa e sostenuta da Intesa Sanpaolo attraverso il Programma Formula, in collaborazione con Cesvi. Un luogo dell’anima che dà la possibilità ad ogni ragazzo e ragazza di esercitare il suo diritto allo sport «il quale è sancito anche dall’Articolo 33 della nostra Costituzione», sottolinea il ministro dello Sport e delle Politiche Giovanili Andrea Abodi che da Roma è salito a Torino apposta per dare il via a questa nuova stagione agonistica che coinvolge le squadre della Polisportiva (oltre a calcio e rugby, pallavolo, basket, thai boxe, danza e atletica).
«Siamo arrivati a quasi 1.000 tesserati, quasi la metà sono qui a Torino e il resto nelle altre comunità sportive nate ad Arezzo, Novara, Palermo e ora, politica permettendo a Ercolano (il Comune è stato appena commissariato) ci accingiamo ad inaugurare la nuova affiliata GiuCo». Aperture coraggiose, da cuori impavidi, specie in quel profondo Sud dove spesso manca tutto, a partire dagli impianti sportivi. Un grido lanciato nella notte dei tempi dalla sua Barletta dal grande campione olimpico dell’atletica, la “Freccia del Sud” Pietro Mennea, e che il ministro Abodi, tra un selfie e un abbraccio dei pulcini della GiuCo allietati dal ventriloquo Rafael Voltan, in arte Gi&Raf, accoglie immediatamente come un desiderio da esaudire: «Troveremo un campo sportivo, proprio come questo, anche a Palermo». Promessa ministeriale che va ad aggiungersi a quella dei 50 milioni di euro che verranno stanziati per gli oratori. E quella della GiuCo è la dimensione più oratoriale possibile. La dimensione dell’accoglienza e dell’inclusione totale. «Abbiamo creato anche la squadra di calcio femminile, under 17 e under 14, circa 25 ragazze: la maggior parte sono di religione musulmana e scendono in campo con la hijab a coprire il capo», dice il giovane mister Simone Fanotto, al quale fa eco un divertito don Andrea: «È incredibile no? Le ragazze arabe che giocano nella squadra del prete». Nel campo del prete si trovano una cinquantina tra tecnici, educatori e membri dello staff dirigenziale. Tutti volontari. Come Samuele Mirenzi e Antonio Reina, ragazzi nati e cresciuti nella GiuCo Rugby chee anche adesso che giocano in Nazionale («Samuele nell’Under 20 e Antonio nell’Under 18») appena hanno un attimo libero non mancano mai di dare una mano a don Andrea e vengono ad allenare quei ragazzi che sognano un giorno di indossare la maglia azzurra. Don Andrea abbraccia loro e altri due dei suoi figliocci storici, Romeo Tarantino e suo fratello Vincenzo, mostrando la foto di quando erano piccoli e stavano ancora seduti sulle sue gambe. Assieme agli altri ragazzi con disabilità della GiuCo, loro sono la risposta concreta a quello che nel basket da anni è conosciuto come il “Metodo Calamai”. Metodo che prende il nome dal coach Marco Calamai che per primo alla Fortitudo Bologna mise assieme un quintetto che mandava e manda ancora a canestro in tutta Italia, normodotati e disabili.
Alla GiuCo oltre allo sport paralimpico si sono inventati anche il “BreakCotto”, il distributore di prodotti alimentari “responsabili” che vengono preparati dai ragazzi disabili. «Così le macchinette della “BreakCotto” non solo sono entrate nelle università o nelle aziende, ma, insieme a Reale Mutua e tanti altri sostenitori abbiamo dato vita a un progetto di formazione volto alla futura occupazione professionale e a “BreakCotto” laboratorio didattico per la disabilità che proponiamo formando i docenti nelle scuole», spiega con orgoglio don Andrea che intanto sfoggia le nuove maglie, quelle con le ali d’angelo stampate sulla schiena. E sono tanti gli angeli strappati a questo inferno metropolitano quelli che scendono in campo con la casacca biancoverde. «Perché siamo i biancoverdi? Erano le maglie simili all’Avellino, le uniche ottenute grazie alle donazioni dei primi compagni d’avventura di trent’anni fa. Oggi i donatori sono aumentati ma sono sempre troppo pochi per mandare avanti questo che non è solo un luogo di sport per ragazzi ma un vero centro sociale a cielo aperto».
Al sabato e alla domenica per le tante sfide in programma al ConiCotto almeno 500 persone si ritrovano a bordo campo a tifare la GiuCo’97. Sono quei genitori, papà mamme e nonni che hanno la gioia di assistere alle partite di un figlio e un nipote al quale riescono a far fare sport praticamente gratis. “Da noi paga solo chi può, gli altri li aiutiamo in tutto ciò che possiamo, studio e ripetizioni pomeridiane gratuite comprese». Sono storie da libro cuore le tante che scorrono sull’erba di questo campo verde, come la speranza nel domani. Alcune di queste storie sono già state raccontate e pubblicate, fino a qualche tempo fa, nella rivista interna, La Città Nascosta. Lì dentro c’erano i fumetti, sulle squadre della GiuCo e i suoi protagonisti, e venivano pubblicati in italiano, inglese, arabo, francese e spagnolo, con tiratura fino a 500mila copie. Perché tutti devono sapere quello che si fa alla GiuCo ’97, dove ognuno si sente parte di una comunità la cui parola d’ordine che campeggia sul murales di cinta è “No differences”. «Il nostro inno inizia dicendo “chi non ha mai sognato un prato verde per tutti?”. Quel sogno è il desiderio condiviso di sentirsi liberi. Il nostro scopo primario – conclude don Andrea Bonsignori -, è quello di continuare ad aprire le stanze, le camerette di chi ancora, per paura del giudizio di qualcuno fuori nel mondo, non riesce ad aprire quella porta e venire a giocare sul nostro prato verde. Noi siamo qui, che li aspettiamo a braccia aperte».
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