La scuola, la famiglia e l'insegnante picchiato
La notizia che viene da Foggia, dove un padre ha picchiato un insegnante di scuola media perché aveva rimproverato suo figlio

La notizia che viene da Foggia, dove un padre ha picchiato un insegnante di scuola media perché aveva rimproverato suo figlio, è stata commentata e raccontata più dettagliatamente su questo giornale che su altri. E si capisce perché: è una notizia a forte carica etica. Non parla di uno scontro fra insegnante e alunno, e nemmeno fra genitore dell’alunno e insegnante. Se così fosse, sarebbe una notizia regionale, e non avrebbe avuto il rilievo che ha avuto.
No, sotto sotto, molto in profondità, le due istituzioni che si trovano a contatto, e non si accettano, sono la scuola e la famiglia. La scuola ha sempre a che fare con le famiglie degli alunni, e agendo (com’è suo dovere) sulla cultura degli alunni agisce sulla cultura delle famiglie. Il compito della scuola è di rendere migliore la società, di rendere la nuova generazione migliore della precedente. Il che vuol dire i figli migliori dei genitori. E questo non tutti i genitori lo accettano, il genitore di Foggia voleva il figlio come una ripetizione di se stesso. Non c’è dubbio che i miei figli hanno studiato e imparato cose che io non conoscevo, e che i miei nipoti studiano e imparano cose che i miei figli neanche sospettavano.
In un certo senso, è per questo che io mandavo a scuola i miei figli, perché diventassero migliori di me. Si dice sempre che la scuola è la prosecuzione della famiglia, ma non è esatto: la famiglia che dà i suoi figli a una scuola glieli dà perché faccia sui figli ciò che lei non può fare, non è in grado, non ha la cultura, o non ha il tempo. La famiglia che manda i suoi figli a scuola sperando però che non imparino niente di più, o di diverso, di quello che già lei sa, fa del male ai figli e alla società. Io vengo da una famiglia contadina, la scuola mi ha insegnato una cultura cittadina e nazionale e internazionale.
Un’altra cultura vuol dire un’altra morale, un’altra idea del rapporto con gli altri e della giustizia. Ciò che impari a casa, ciò che avviene a casa, viene discusso a scuola, approvato o corretto. La famiglia di Foggia rovesciava questo rapporto. Ciò che avveniva a scuola veniva discusso a casa, corretto e condannato. C’è un libretto, vecchio ma bellissimo, intitolato Le bacchette di Lula, in cui si racconta l’insegnamento in Sardegna: i bambini andavano a scuola portandosi da casa una bacchetta, con la quale il maestro doveva picchiarli quando se lo meritavano.
Qui a Foggia succedeva l’inverso: il bambino raccontava a casa l’insegnamento della scuola, e i genitori, se quell’insegnamento non gli piaceva, si riempivano di collera verso gl’insegnanti, e alla prima occasione saldavano il conto. Nella notizia che commentiamo, il padre del ragazzo non ha aspettato che si presentasse l’occasione, ma se l’è creata, precipitandosi a scuola. La scuola insegna una relazione basata sul dialogo: non si fa altro che parlare, a scuola, di tutto e con tutti. Le malattie professionali degli insegnanti riguardano l’apparato vocale. Questa famiglia di Foggia basa le relazioni sulle bòtte. Se il padre riesce a picchiare il professore, gliele dà e non le prende, vuol dire che ha ragione. È la morale arcaica. Non si discute, ma si picchia. C’è una frase di Freud che dice: «L’uomo che, invece di scagliare una lancia, scagliò una parolaccia, fondò la civiltà». La scuola è il luogo dove s’insegna a parlare e con ciò s’insegna la civiltà. Quest’uomo che, invece di parlare e magari insultare, non ha fatto altro che picchiare, insegna al figlio la barbarie.
E così il figlio è preso tra due fuochi: la barbarie a casa, la civiltà a scuola. La settimana scorsa venti madri calabresi hanno chiesto al tribunale dei minori di Reggio Calabria: «Portate via dalle nostre case i nostri figli, perché qui crescono mafiosi». Non sappiamo niente della madre di questo ragazzo di Foggia, ma è così che doveva fare.
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