domenica 15 ottobre 2023
Francesca Di Luca: sfatiamo falsi miti, l’adozione non è per pochi ricchi Farcela è possibile e il bene diventa dilagante
Il vicequestore di Assisi, Francesca Di Luca con i due figl

Il vicequestore di Assisi, Francesca Di Luca con i due figl - .

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Francesca Di Luca: sfatiamo falsi miti, l’adozione non è per pochi ricchi Farcela è possibile e il bene diventa dilagante Christian e Riana, erano già nel suo cuore prima ancora di essere nella sua vita. Perché la genitorialità non è solo quella biologica ma, anzi e soprattutto, è quella che accoglie, custodisce, cresce un essere umano: «una persona che, al di là del suo dna, è altro da te». Lo ripete più e più volte, con gli occhi pieni di gioia, la voce sommessa dalla felicità, la forza di una donna tenace, sicura e determinata. È il vice questore Francesca Di Luca, a capo ormai da dieci anni del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Assisi che, insieme al marito, ha scelto la via dell’adozione per avere la sua famiglia. E lo ha fatto ben due volte, accogliendo nel 2016 il piccolo Christian, originario del Madagascar, che ora ha 10 anni, e meno di tre mesi fa Riana, di appena 4 anni, anche lei venuta dall’isola africana. «Perché l’adozione si può fare – sottolinea con forza - ; sfatiamo falsi stereotipi che è per pochi, che bisogna essere ricchi, che si possono scegliere i figli».

Il fisico longilineo e lo sguardo amicale non nascondono i tratti di una donna di carattere che, a un certo punto della vita quando pensava di fare la cooperatrice internazionale così da poter essere utile agli altri, ha scoperto la divisa. «È stato un puro caso – spiega Francesca – perché non vengo da una famiglia di poliziotti e non mi passava neanche per la mente di poter fare questo percorso ». Alla ricerca della sua strada, sicura di non voler fare l’avvocato, pur avendo conseguito a Bologna una laurea in giurisprudenza e l’abilitazione professionale, Francesca, originaria di Vasto, si sposta a Roma per frequentare un master in tutela internazionale dei diritti umani alla Sapienza, ma la “vocazione” alla divisa arriva quando accompagna il fratello a Spoleto per l’ammissione alla Scuola di polizia. «Lì – racconta – ho capito cosa volessi fare. Ho provato il concorso diverse volte per poi essere ammessa ed ora sono la donna più felice e fortunata del mondo perché mi sveglio tutte le mattine contenta di andare al lavoro e fare questo mestiere o meglio questo servizio ». Ed è grazie alla divisa che conosce il marito e sin dai primi anni di matrimonio si ritrovano non solo nel lavoro ma nel voler adottare un bambino, «a prescindere dai figli che sarebbero venuti».

Perché avete pensato subito all’adozione?
Perché per noi non è mai stata una seconda scelta. Poi quando abbiamo saputo che la genitorialità biologica non sarebbe stata possibile, soprattutto per me come donna, è stato ovviamente un dolore. Ma noi avremmo comunque voluto un figlio, africano per l’empatia verso quella terra e quindi ci siamo accostati all’adozione con gioia. Accogliere un figlio non concepito da te è una genitorialità diversa. Quando dicono “ma non è figlio tuo” , rispondo “anche quello che nasce dal tuo grembo è comunque altro da te”, non puoi pensare ai figli come se fossero cosa tua, per il solo fatto di averli messi al mondo.

Quale è stato il percorso che avete seguito?
La procedura è abbastanza standardizzata: la prima cosa è la domanda al tribunale dei minori. Una volta accolta la richiesta c’è la presa in carico da parte dei Servizi sociali e l’obbligo di seguire un corso per comprendere quanto sia solida la decisione. Questo aspetto è molto importante perché molti sono spaventati dalle domande, dalle “interferenze” degli assistenti sociali e degli psicologi, ma invece sono necessarie. È il momento in cui si comprende pienamente se l’adozione è un semplice ripiego o, invece, è fortemente voluta come scelta di vita e di famiglia. Mi ricordo, come fosse ieri, che io e mio marito andavamo al corso con tanto entusiasmo perché sapevamo da sempre che quella era la nostra strada, ma vi erano anche coppie meno serene, rassegnate dal fatto di non poter avere figli propri e avviati così a questa seconda scelta.

Poi che succede?
Fatte le dovute verifiche, dopo circa un anno viene emanato il decreto di adottabilità. A quel punto ti affidi ad un ente accreditato: noi ci siamo rivolti alla Comunità di Sant’Egidio, ed è veramente importante trovare un soggetto capace e serio che ti segua nelle procedure internazionali. Poi si indica un Paese di origine e noi eravamo sicuri dell’Africa perché i popoli di quel continente hanno una gioia, un senso della vita e una solidarietà contagiosi. Da lì inizia l’attesa, che può durare anni, ed è veramente il periodo più duro perché aspetti quella telefonata che sembra non arrivare mai. Quando giunge però, provi una felicità incontenibile, ma la prego sottolinei che i bambini non si scelgono. Sul nome abbiamo deciso di mantenere quello che già avevano per il rispetto di una loro già maturata identità.

Perché me lo ripete?
Proprio per sfatare questi luoghi comuni che descrivono l’adozione in maniera non corretta. A quel punto si forma il dossier con le informazioni sul bambino, con le sue foto. Poi ti chiamano e ti devi preparare a partire per conoscere tuo figlio o tua figlia e restare lì diverso tempo. Questa permanenza varia da Paese a Paese. Per quanto ci riguarda è stata di tre mesi per ogni adozione. Ma poi quando c’è l’incontro è indescrivibile. È come partorire. Quando abbiamo visto Riana abbiamo aspettato che fosse lei a venire da noi e poi, una volta in braccio, è stato un colpo al cuore. A volte ha il desiderio di attaccarsi al seno. In un attimo li senti tuoi, sono la tua carne. In poco tempo io, la mamma, sono diventata la carezza, l’amore; il papà è il gioco, l’allegria. Comunque non è facile, perché soprattutto Christian ci ha messo alla prova all’inizio, aveva un atteggiamento quasi di sfida perché voleva essere sicuro che lo volessimo”.

Come vi siete comportati e come è giusto fare, secondo lei, rispetto alle loro origini?
Nel nostro caso non puoi nascondere la verità perché c’è un discorso evidente di colore della pelle. Ma a prescindere da questo è importante non mentire; per esempio, ai nostri bambini abbiamo sempre e subito detto che hanno dei genitori naturali che li hanno amati tanto da volerli mettere al mondo, ma che non potevano occuparsi di loro. Poi la nostra decisione immediata di avere un secondo figlio sempre dello stesso Paese è derivato dal fatto che sentivamo di avere ancora riserve d’amore da poter dare e ricevere ma è stato anche un modo per non spezzare il legame con la loro terra e permettere di essere una famiglia nella famiglia: Christian e Riana lo sono. Non gli nascondiamo mai niente e non escludiamo che un giorno vogliano tornare nella loro terra che, adesso, è anche la nostra. Per questo sosteniamo anche l’associazione Maisons Des Enfants che in Madagascar sostiene madri in difficoltà e bambini abbandonati.

Non è però tutto semplice, non lo è per nessun genitore, immagino che avere una mamma vice-questore sia impegnativo
Sicuramente non lo è, ma si può fare. Anche rispetto a un lavoro particolare come il mio che, tuttavia, soprattutto Christian ha già compreso pienamente: per lui vedere una donna-commissario nel ruolo di dirigente di colleghi anche uomini è cosa normale. Invece mia figlia vuole proprio fare la poliziotta. L’importante è far capire loro che il mio lavoro è parte di me e senza non sarei una mamma felice.

Che pensa di altre forme di maternità, come la procreazione in vitro?
Sono scelte diverse, non voglio giudicare ma ribadisco che non bisogna pensare ai figli come cosa tua. Per me doveva andare così: i miei figli erano già nati, li dovevo solo andare a prendere. E nel momento dell’attesa, della famosa chiamata, la fede mi ha davvero aiutata perché a un certo punto mi sono detta: “Sarà quel che Dio vuole”. E Dio per me ha sempre voluto traguardi sudati, non facili, anche questo della maternità; ha ritenuto che avessi la forza per raggiungerli. Per l’adozione devi essere in due e avere un percorso culturale solido ma si può fare, anche economicamente, mettendo sul piatto della bilancia le proprie priorità e rinunciando ad altre cose. Le dico veramente che il bene è dilagante e produce solo altro bene. La nostra esperienza è stata d’aiuto per altre coppie e spero che con questa intervista lo possa essere anche di più.

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