domenica 13 giugno 2021
Cresce il fenomeno degli adolescenti che si isolano volontariamente nelle loro stanze. L’allarme degli psicologi: si abbassa l’età media. La Dad? Un detonatore. Verso le linee guida ministeriali
Hikikomori, una tendenza giovanile esplosa in Giappone, ora diffusa in tutto il mondo

Hikikomori, una tendenza giovanile esplosa in Giappone, ora diffusa in tutto il mondo

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Il termine rimbalzava in rete e sui giornali già da alcuni anni. Psicologi e psicoterapeuti iniziavano a riconoscere i contorni specifici del fenomeno in crescita fra i giovani, a distinguerlo da altre patologie. Perfino il mondo della scuola muoveva i primi passi nella valutazione del problema. Poi è arrivata la pandemia, e qualcuno ha detto «siamo diventati tutti hikikomori», come sinonimo di 'chiusi nelle nostre case'. Una sovrapposizione arbitraria che ha però avuto il merito di far balzare finalmente alla luce la categoria. Gli hikikomori sono improvvisamente diventati 'famosi', proprio loro che vogliono vivere appartati da tutto e da tutti, quasi nascosti. Ma c’è differenza fra il distanziamento sociale obbligatorio a cui ciascuno si è dovuto adeguare nei vari lockdown, e l’isolamento volontario nello spazio ristretto di casa, o della propria stanza. La sofferenza psicologica patita a causa delle restrizioni, l’essere soli, è altra cosa dal sentirsi soli , sempre, «anche quando si esce tra la gente». La solitudine cioè di chi sceglie di 'stare in disparte', che è il significato letterale del termine giapponese in uso anche in Italia, come in altri Paesi, per indicare le persone, giovani soprattutto, che si ritirano dalla vita sociale e relazionale rinchiudendosi nei casi più gravi nella propria camera da letto, spesso rifiutando contatti diretti perfino con genitori e fratelli.

Lunghi periodi vissuti così, che possono diventare anni, tra fasi alterne e dinamiche, in cui l’isolamento da occasionale o reiterato può diventare totale e sfociare in psicopatologie: ansia, disturbi dell’umore o disturbi psichiatrici. In Italia, in assenza di una ricerca ufficiale, si stima una presenza fra 100mila e 150mila hikikomori (in Giappone sono 2 milioni). Non sembrano numeri da capogiro, ma vanno considerate anche le ripercussioni sui familiari che sperimentano la sofferenza di avere un figlio o un fratello chiuso in se stesso: genitori disperati non tanto perché temono che il figlio possa perdere l’anno scolastico o non finire gli studi, ma perché vedono messo a repentaglio il suo intero progetto di vita. I primi casi in Italia risalgono agli anni ’80, quando ancora non si aveva percezione del fenomeno: ecco perché ci sono anche hikikomori fra i 40 e i 60 anni. Ma per lo più si tratta di adolescenti, ragazzi fra i 15 anni (l’età media di esordio) e i 25 anni, quasi sempre maschi (fra il 70 e il 90%), in molti casi già vittime di bullismo.

«L’età d’insorgenza si sta abbassando », è l’allarme dell’associazione Hikikomori Italia, che raccoglie famiglie, gruppi di mutuo aiuto, e che ha visto aumentare le richieste di aiuto dopo il lockdown. Ma cos’è successo con la chiusura per Covid e perché è stata un punto di svolta? Lo riassume Chiara Illiano, psicologa e psicoterapeuta, coordinatrice dell’area psicologica dell’associazione per il Lazio: «In alcuni casi c’è stato un miglioramento delle persone che erano in autoisolamento da tanto tempo: ora il mondo intero viveva come loro! Hanno percepito una diminuita pressione sociale e ne hanno riportato un certo miglioramento. Ma abbiamo purtroppo registrato casi di chi non aveva ancora ceduto all’isolamento, lo ha sperimentato cogliendovi una forma di sollievo, e vi si è rifugiato. Da qui l’incremento dei casi segnalati».

Entrando nel lessico comune, la parola hikikomori ha portato con sé il pregiudizio di una dipendenza da videogiochi e internet. Ma quella che viene spesso erroneamente indicata come una delle principali cause scatenanti, è in realtà «solo una possibile conseguenza dell’isolamento», spiegano gli esperti dell’associazione. Non si diventa hikikomori perché si gioca tanto al pc, ma ci si rifugia nel mondo virtuale dei videogame perché si tende all’isolamento. E si tende all’isolamento per i più svariati motivi: senso di inadeguatezza, vergogna per il proprio corpo, eccessive aspettative o iperprotettività da parte dei genitori, un vissuto familiare difficile, il confronto con il mondo dei pari sempre più esasperato dai social... Guai a generalizzare, ogni caso è a parte, avvertono gli psicologi. Marco Crepaldi, fondatore di Hikikomori Italia, sottolinea: «La spinta all’isolamento è una reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale, tipiche delle società capitalistiche economicamente più sviluppate».

La sorpresa è che «nell’isolamento molti ragazzi non vivono in uno stato di inerzia ma, al contrario, producono e coltivano le loro passioni», rivela Chiara Illiano. C’è chi ha imparato due lingue, chi si è messo a disegnare videogiochi o allenare giocatori virtuali e viene pagato per farlo. Anche perché, dice la casistica, l’hikikomori è solitamente un individuo di spiccata intelligenza. I genitori che si rivolgono all’associazione spesso non sanno cosa facciano il figli chiusi nelle loro camere. L’errore più comune è staccare il wifi, o 'sequestrare' pc e consolle. Gli psicologi mettono in guardia: «La rete, i videogame, le serie tv, e qualunque cosa faccia parte del loro mondo è un modo per relazionarsi con i ragazzi». Se i genitori fanno le domande opportune scoprono che il figlio è felice di condividere le conoscenze che ha acquisito. «Il nostro compito primario è quello di ristabilire un corretto sistema di comunicazione all’interno della famiglia, e successivamente della società, invitando il genitore ad evitare ogni tipo di pressione sul figlio ma anzi, ad entrare nel suo mondo per scoprire delle caratteristiche importanti», spiega Illiano.

Un hikikomori si può riconoscere. Risalendo alle cause del disagio. E favorendo il reinserimento sociale. Il tema è centrale per la scuola. «L’abbandono scolastico è uno dei primi sintomi» dice Hikikomori Italia. Spesso i docenti non conoscono il problema. I ragazzi e le loro famiglie all’inizio venivano colpevolizzati, per le assenze o lo scarso rendimento. Oggi la categoria è inserita nei Bes (Bisogni educativi speciali) e può accedere a un piano didattico personalizzato. «La scuola sta mostrando grandi ricettività verso il problema», sottolinea Illiano. La didattica a distanza di questi mesi ha purtroppo favorito l’allontanamento. Non che il rientro a scuola sia una soluzione, quando è forzato: il fenomeno hikikomori è «sistemico»: se si rimette il ragazzo nel sistema che l’ha danneggiato si rifà il danno. In Piemonte c’è dal 2018 un protocollo per le scuole. E al ministero dell’Istruzione da gennaio 2019 un tavolo per definire le linee guida a livello nazionale. È indispensabile fare chiarezza. Non siamo 'tutti hikikomori', ma bisogna aiutare quelli veri a ritrovare il proprio progetto di vita. A uscire dal loro personale, volontario e a volte definitivo lockdown.

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