
Giubiieo delle famiglie. Il convegno Fafce sull'associazionismo familiare
«È compito di chi ha responsabilità di governo adoperarsi per costruire società civili armoniche e pacificate. Ciò può essere fatto anzitutto investendo sulla famiglia, fondata sull’unione stabile tra uomo e donna, società piccola ma vera, anteriore a ogni civile società».
Con queste parole – pronunciate il 16 maggio scorso davanti al Corpo Diplomatico – papa Leone XIV ha molto significativamente posto la famiglia al centro della Dottrina sociale della Chiesa. La stampa in cerca della prima polemica sulle parole di un nuovo papa, si è concentrata sull’espressione «unione stabile tra uomo e donna». Eppure il passaggio decisivo è un altro: il Papa rilancia la priorità ontologica e giuridica della famiglia rispetto allo Stato e al mercato, riaffermando che l’intera questione sociale – oggi come ieri – trova nella famiglia la sua radice.
Nella Rerum Novarum (nn. 9-11) Leone XIII contrapponeva la visione cattolica a quella socialista per la quale la famiglia doveva essere «smantellata» e sostituita dallo Stato; per la Chiesa, la famiglia era ed è invece «società domestica… anteriore a ogni civile società» con diritti propri che lo Stato riconosce, non concede. Sappiamo che qualche decennio dopo questa stessa logica entrerà quasi alla lettera nella Costituzione italiana (art. 29: « La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio»). Nella Rerum Novarum, la famiglia è presentata come un’entità dal significato e valore autoevidenti, che non necessita di essere spiegata, ma semplicemente difesa dalla minaccia esterna, rappresentata allora dal totalitarismo. È solo quasi un secolo dopo, a partire dal ‘68, che il significato stesso della famiglia comincia a essere profondamente messo in discussione. Oggi, la minaccia del comunismo è un capitolo del passato; eppure, tanto nei Paesi che hanno vissuto l’esperienza del totalitarismo quanto nell’Occidente segnato dall’individualismo consumista, la famiglia appare in ritirata: più fragile, liquida, e spesso priva di un riferimento di senso condiviso.
L’evidenza di ciò è nei numeri impietosi: il numero medio di componenti per famiglia in Italia è sceso precipitosamente, passando da 4 nel 1950 a 2,2 nel 2024. Oggi, il 36% delle famiglie italiane è composto da una sola persona. Il tasso di fertilità, pari a 1,18 figli per donna (2024), è ben al di sotto della soglia di sostituzione generazionale e si mantiene tale da oltre mezzo secolo. Proprio in questi giorni l’Istat ha annunciato il “sorpasso demografico”: in Italia ci sono ora più ultraottantenni (4,59 milioni) che bambini sotto i 10 anni (4,33 milioni). Sempre nel 1950 si celebravano quasi 355.000 matrimoni (con un picco di 420.000 nel 1963), mentre nel 2023 ne sono stati registrati 184.000 — di cui solo il 40% con rito religioso. Numeri che raccontano famiglie più piccole, più fragili, meno longeve; e che proiettano ombre lunghe sulla sostenibilità del welfare, sul mercato del lavoro e sul futuro stesso della coesione sociale.
Che la famiglia sia il cuore della sfida dei tempi moderni, il luogo in cui si gioca la battaglia più decisiva, lo aveva già compreso profondamente san Giovanni Paolo II, che tanto si è speso sul tema fino a fondare l’Istituto Pontificio per gli Studi su Matrimonio e Famiglia, oggi a lui intitolato. In Familiaris Consortio (1981), egli ha delineato una visione profetica della famiglia come cellula fondamentale della società. In continuità con questo magistero, anche papa Francesco ha posto la famiglia al centro della sua azione pastorale, convocando due Sinodi a essa dedicati e rilanciando con forza questo impegno nell’esortazione apostolica Amoris Laetitia (2016) che ha consegnato alla Chiesa un’agenda di lavoro per far riemergere una narrazione positiva ed un entusiasmo contagioso attorno al progetto famiglia.
Due papi e due lavori di capitale importanza per combattere quella ritirata della famiglia di fronte al mondo moderno; due lavori condotti sul fronte teologico antropologico con san Giovanni Paolo II e sul piano narrativo pastorale da papa Francesco. Questi due piani si soffermano primariamente sull’aspetto intimo della famiglia. Sul suo profondo significato spirituale e sulla bellezza che pervade coloro che scelgono di investire in essa. A questo importante lavoro di riflessione oggi sembra mancare un passaggio conclusivo: rimettere la famiglia non solo al centro del discorso personale e spirituale, ma anche al cuore del discorso sociale e politico. Si avverte con urgenza la necessità di far uscire la famiglia dalla sola sfera delle scelte intime e private, per riscoprirne il ruolo pubblico, civile, generativo di coesione sociale.
Osserviamo ogni giorno che la fragilità e la liquidità delle famiglie non rappresentano il trionfo dell’individuo, bensì il segno del suo fallimento. Laddove la famiglia coniugale non nasce oppure laddove si disgrega, emergono chiaramente le criticità e i costi di un welfare sotto pressione: dai costi della denatalità crescente alle difficoltà delle famiglie monogenitoriali e divorziate cui spesso si accompagna un impoverimento economico, la compromissione del benessere psicologico di adulti e minori e l’aumento di fenomeni come la dispersione scolastica, le dipendenze e la devianza minorile. La famiglia va dunque rimessa al centro dell’attenzione pubblica.
Ma — attenzione — non nel senso di un’ulteriore centralità dell’intervento statale. È urgente superare una visione equivoca, purtroppo ancora diffusa anche nel mondo cattolico e associativo, secondo cui lo Stato debba “sostenere” la famiglia come se questa fosse, per sua natura, un problema da assistere. Un approccio che, seppur nato in buona fede, finisce per adottare una logica assistenzialista che guarda alla famiglia solo nella sua dimensione di fragilità. Una logica che finisce per reintrodurre, seppur in modo involontario, l’ingerenza dello Stato nella sfera familiare, da cui la Rerum Novarum aveva invece preso chiaramente le distanze. Servono invece parole nuove che orientino anche l’agire — spesso incerto e disorientato — dei cattolici impegnati nella vita pubblica e nelle politiche familiari.
Per parafrasare John F. Kennedy, non si tratta più di chiedersi che cosa lo Stato possa fare per la famiglia, ma di riconoscere che cosa la famiglia già fa e può ancora fare per lo Stato, per la società e per le comunità e di come queste possano mettersi in armonia con la famiglia. La famiglia non è un problema da risolvere attraverso lo Stato sociale, ma una parte fondamentale della soluzione alla crisi dello Stato sociale. Le prime, seppur brevi, parole dedicate alla famiglia da papa Leone XIV in uno dei suoi discorsi inaugurali — parole che ricollocano la famiglia al centro del discorso sociale — sembrano indicare proprio questa direzione.