mercoledì 1 novembre 2023
Conservare sul web i dati dei nostri cari per generare contenuti anche dopo la morte grazie all’intelligenza artificiale? «No, la fede è un’altra cosa»
Il ricordo dei defunti

Il ricordo dei defunti - Goran Horvat / Pixabay

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Conservare sul web i dati dei nostri cari per generare contenuti anche dopo la morte grazie all’intelligenza artificiale? «No, la fede è un’altra cosa». Basta digitare “morte” e “digitale” su qualunque motore di ricerca per scoprire come, già da alcuni anni, il web sia pieno di siti e applicazioni che, su autorizzazione (e pagamento) del cliente, raccolgono e catalogano tutti i dati di una persona presenti in rete, per poi renderli disponibili dopo la sua morte e permettere una qualche forma di immortalità digitale. L’avvento dei sistemi di intelligenza artificiale ha poi permesso un ulteriore e non banale passo avanti: con i dati raccolti è ora possibile generare nuovi contenuti (frasi, testi, voce e immagini) ascrivibili alla persona defunta, promettendo di fatto una specie di vita dopo la morte. Ce lo avevano già detto non pochi romanzi, film e serie televisive, che con dovizia di particolari in questi anni ci hanno mostrato il futuro presente, dai tratti inquietanti e fascinosi al contempo. Può sorprendere ma, di fatto, chiediamo all’intelligenza artificiale di continuare in qualche modo a vivere. Cosa speriamo di trovare nelle tecnologie di oggi e del prossimo futuro? Una risposta alla domanda di eternità con cui facciamo i conti, imperterriti, da quando abitiamo questo pianeta.

L’immortalità digitale che ci viene offerta a colpi di offerte speciali impone almeno tre riflessioni.

La prima ci offre una conferma. Chi è l’utente di questo tipo di servizi? Non certo il defunto che, al massimo, può apprezzare l’acquisto fino a quando è in vita. Piuttosto parenti, amici e conoscenti che possono continuare a ricordare in modo raffinato e addirittura relazionarsi con qualcosa di noi dopo la nostra dipartita. L’immortalità digitale è sostanzialmente relazionale, così come, in fondo, l’intera vita umana, anche nella sua pretesa di eternità. Che senso avrebbe salvare tutti i nostri dati e renderli pronti a generare nuovi dialoghi se poi nessuno si connettesse con noi? La risposta offerta alla nostra domanda di sempre dalla tecnologia del momento è quanto mai classica (e vera): non si vive e sopravvive per noi stessi.

La seconda riflessione svela invece un imbroglio: la parola “eternità” o il promesso “per sempre” sono usati a sproposito. Le pubblicità mentono, pur giocando su un desiderio assolutamente vero. I sistemi di digitalizzazione della vita oltre la morte possono, al massimo, offrire un allungamento temporale di una presenza nella storia. Possono aggiungere giorni, forse anni o ere geologiche quando riusciremo a iscrivere tutti dati della nostra vita nel silicio. Ma non possono concederci l’eternità. Non siamo capaci di assicurarci un “per sempre”.

Infine la terza, una messa in guardia. Quand’anche riuscissimo a raccogliere tutti i nostri dati e tutte le nostre tracce lasciate nel corso di una vita e avessimo sistemi tali da poterli processare nel modo più efficace e incredibile, questi sistemi non potrebbero mai offrirci altro che una eccezionale rappresentazione di noi stessi. Perché noi siamo più dei nostri dati, siamo più delle parole che abbiamo scritto e pronunciato, siamo più delle immagini e delle tracce che abbiamo lasciato.

La riduzione della vita umana ai suoi dati è una delle tentazioni pericolose che l’era dell’intelligenza artificiale porta con sé. Anche per i detrattori preoccupati che tali sistemi sostituiscano l’uomo, i quali rischiano di non accorgersi di cadere nella trappola dell’equivalenza dati=vita umana. Cosa dice tutto questo alla fede cristiana? Come il vivere la morte e il desiderio di eternità nell’epoca digitale interpella la comunità cristiana? Davanti al rischio di ridurre la vita umana ai suoi dati, la tradizione cristiana, accanto al doveroso richiamo alla dimensione spirituale dell’esistenza, offre un argomento tanto potente quanto dimenticato: la risurrezione della carne che proclamiamo nel Credo Apostolico.

L’ambiente digitale fatica a gestire la carne, e in questo tempo tecnologico i corpi rischiano di essere relegati a questione minore, financo di impiccio. Nati da un gesto di incarnazione, da un Dio che si fa uomo, la comunità cristiana può aiutare questo mondo a custodire quella carne che genera dati ma che non può essere digitalizzata, quei corpi che rendono umane le nostre intelligenze. L’imbroglio circa la presunta eternità promessa ci ricorda poi che, se la domanda di eternità è parte strutturale dell’esperienza umana, così non è la sua risposta.

La risurrezione di Gesù è evento eccedente e indeducibile. È pura grazia, non ce la possiamo fabbricare da noi. Ci supera e ci stupisce. Anche oggi, dove rischiamo di dire che Gesù è risorto con la stessa tranquillità con cui notiamo che il sole è sorto. Il limite tecnologico ci ricorda che non possiamo gestire ed esaurire la totalità della nostra esperienza. Solo insieme, solo nella relazione che non annulla nessuno e tutti relativizza, è possibile abitare il desiderio di eternità e accogliere stupiti quel sorprendente compimento che annunciamo. In fondo, anche in questo tempo ultratecnologico, davanti alle domande di fondo della vita, siamo sempre chiamati ad affidarci. Forse la più umana delle forme di relazione.

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