giovedì 18 gennaio 2024
Appello degli esperti. No alle creme di bellezza, al collagene e ad altri prodotti inadatti e aggressivi alla pelle di ragazzine di 7/8 anni. Eppure sui social è un profluvio di prodotti formato baby
Un'immagine tratta da un video diffuso sui social di una bambina che utilizza cosmetici

Un'immagine tratta da un video diffuso sui social di una bambina che utilizza cosmetici - Archivio

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Una bambina di 8 anni che mostra orgogliosa una crema di bellezza di alta gamma, se la spalma sul viso e prosegue poi nella sua skincare quotidiana spiegando nel dettaglio le formidabili caratteristiche di ogni prodotto utilizzato, dal siero per la pelle al fluido con effetto illuminante.

Da qualche tempo TikTok e Instagram negli Stati Uniti e in Gran Bretagna pullulano di video di questo tipo, con protagoniste giovanissime che si atteggiano a influencer navigate di prodotti di bellezza. Tanto che tra i regali più richiesti dalle bambine americane per lo scorso Natale ci sono stati proprio i cosmetici. Tutto rigorosamente documentato da un profluvio di video sui social in cui piccole di 8-9 anni in estasi mostrano urlanti il cofanetto con prodotti (mediamente costosi) per prendersi cura della propria pelle. E i giocattoli? Qualcuno sparuto sotto l’albero, non certo al centro dell’attenzione. Mentre le profumerie americane sono prese d’assalto da orde di bambine che fanno ciò che è (o sarebbe ) normale per loro: giocano con i prodotti esposti. Con il risultato che gli scaffali abbondano di creme semiaperte, liquidi rovesciati e altri pasticci simili.

Ma a quell’età c’è davvero bisogno di prodotti di bellezza? Ovviamente no, però un packaging colorato e un’agguerrita campagna di influencer marketing hanno reso alcuni di questi marchi “virali” e hanno scatenato la corsa all’acquisto, con le mamme spinte da bambine pronte a tutto pur di ottenere l’occorrente per la propria skincare. Sono scesi in campo esperti dermatologi per spiegare come pratiche di questo tipo non abbiano alcuna utilità, anzi, possano essere dannose.

«Ci sono bambine che hanno una routine di cura della pelle molto elaborata, che si lavano il viso prima di usare un siero, poi passano a un nebulizzatore, quindi un tonico, seguito da una costosa crema idratante», spiega Emma Wedgeworth, del British Cosmetic Dermatology Group, interpellata dal quotidiano britannico Daily Mail. Una pratica «del tutto inutile».

Inoltre prodotti troppo aggressivi, come quelli antietà, contenenti polipeptidi o retinolo, con la crescita possono provocare problemi seri alla pelle. «Con simili trattamenti si rischia di compromettere la barriera cutanea e rendere la pelle più sensibile. Altri prodotti come la vitamina C aiutano a ricostruire il collagene, ma perché una bambina di dieci anni dovrebbe aver bisogno di collagene? Si inizia a perderlo solo verso i 20 anni», spiega un’altra esperta intervistata dal periodico online Vice. Ci sono ragazzine di 14 anni già preoccupate per le rughe attorno agli occhi e disposte a utilizzare qualsiasi prodotto pur di prevenirle. Cresce così in modo virale la preoccupazione per la propria pelle, la spinta a scrutarne ogni minima imperfezione, in un’età in cui i problemi dovrebbero essere decisamente altri.

Una delle aziende più popolari nelle fasce pre-teen, Drunk Elephant (altri due marchi gettonati sono Sol De Janeiro e Glowrecipe), ha pubblicato in dicembre un post su Instagram per indicare quali tra i suoi prodotti sono adatti anche ai bambini e quali no, proponendo comunque una skincare piuttosto complessa (e costosa) a un pubblico che in realtà non dovrebbe nemmeno conoscere il significato della parola. L’azienda dichiara di non rivolgersi direttamente all’audience infantile, ma rassicura sul fatto che buona parte dei prodotti possono essere utilizzati anche da bambine.

I genitori dal canto loro sembrano smarriti, molti chiedono consigli sugli stessi profili social delle aziende produttrici per capire quale crema o siero sia adatto alle proprie figlie in modo da riuscire almeno in parte ad accontentarle. In molti casi però sono proprio gli account dei genitori che ospitano agghiaccianti video in cui bambine di 7 o 8 anni spiegano nel dettaglio i passaggi della propria skincare, a volte sotto l’occhio compiaciuto della mamma.

Nel frattempo negli Stati Uniti c’è chi propone di vietare la vendita di prodotti cosmetici troppo aggressivi al di sotto dei 25 anni. Che sta succedendo? Lo “scandalo Drunk Elephant”, com’è già stato ribattezzato negli Usa, è soltanto l’ultima tappa di quel processo di “corrosione dell’infanzia” che è in atto da tempo su più fronti: dall’accesso precoce a contenuti inadatti all’età – che si tratti di musica, videogiochi, serie tv o canali di influencer, senza escludere la pornografia vera e propria – al marketing di un abbigliamento adulto rivolto alle ragazzine e ai ragazzini. Si tratta di una strategia che mira a erodere ulteriormente i confini di un’età ormai limitata nel tempo (la pubertà arriva sempre prima, ci dicono i dati), ma proprio per questo ancora più preziosa.

È vero che l’interesse per i trucchi e il desiderio di sembrare più grandi rubando prodotti nella borsa della mamma è da sempre proprio delle bambine, ma è ben diverso coltivare un sogno, cercando di varcare un limite che resta chiaro, come quello tra infanzia ed età adulta, dal trovarsi catapultate in quel mondo, con le sue pressanti richieste riguardo alle apparenze e alla valutazione da parte degli altri. I social media non creano ma amplificano ed enfatizzano a dismisura un simile processo, fornendo innumerevoli palcoscenici su cui è possibile esibirsi (in teoria dopo i 13 anni, in pratica a qualsiasi età) e chiudendosi così alle spalle irrimediabilmente (e troppo presto) le porte dell’infanzia.

Le tecnologie, del resto, hanno avuto da sempre un ruolo nel rendere sfumato il confine tra infanzia ed età adulta: basti pensare alla tv che ha invaso rapidamente lo spazio domestico e ha gradualmente indebolito il ruolo dei genitori nel decidere quali contenuti fossero adeguati ai propri figli. I social media hanno compiuto un altro decisivo passo in questa direzione. Con il risultato, preconizzato già negli anni Ottanta dal massmediologo Neil Postman, di soddisfare ogni curiosità e aprire al disincanto e al cinismo. Così facendo però «rimaniamo con bambini ai quali si danno risposte a domande che non hanno pensato di formulare – scriveva lo studioso – . Rimaniamo, per dirla in breve, senza bambini».

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