mercoledì 6 ottobre 2021
Gli effetti del disastro nucleare si fanno ancora sentire. Ma per il Covid e la crisi diplomatica con la Bielorussia i bambini attendono ancora di abbracciare le loro famiglie italiane temporanee
Un gruppo di bambini bielorussi in arrivo a Fiumicino in un'immagine d'archivio

Un gruppo di bambini bielorussi in arrivo a Fiumicino in un'immagine d'archivio - Ansa

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Non è la prima volta che scendono in piazza, ma sperano che questa sia l'ultima. Sono le associazioni e le famiglie ospitanti i "bambini di Chernobyl" che da 627 giorni non vedono più i minori bielorussi, ospitati in orfanotrofi e case famiglia, a cui ogni anno davano un alloggio, cure mediche e soprattutto affetto. E il 7 ottobre si presenteranno davanti alla Farnesina per sollecitare la politica a risolvere la situazione.

Gli effetti del disastro nucleare di 35 anni fa (26 aprile 1986), a Chernobyl (in Ucraina ma vicino al confine con la Bielorussia) si fanno ancora sentire sulla popolazione bielorussa e sui bambini nati anche molti anni dopo. L'emergenza non è ancora finita.

Le frontiere tra l'Italia e la Bielorussia sono chiuse. All'emergenza Covid, con l'impossibilità di spostarsi per motivi sanitari, è subentrata la crisi diplomatica. "Dopo mesi di lotta il 22 maggio 2021 avevamo ottenuto un protocollo sanitario sicuro, grazie al quale potevamo far venire i bambini in Italia" ci racconta Marco Mochi, presidente dell'associazione Puer, tra le più attive nella realtà che si occupa dell'ospitalità temporanea.

"Speravamo di riabbracciare i nostri figli affidatari quest'estate, dopo più di un anno di distanza a causa del coronavirus". Il tempismo però qualche volta è beffardo e il giorno dopo, il 23 maggio, un altro ostacolo ha impedito ai bambini e genitori italiani di abbracciarsi: il dirottamento aereo a Minsk, con il conseguente blocco aereo e isolamento totale del Paese.

"Abbiamo cercato un'interlocuzione sia con le istituzioni italiane che quelle bielorusse. Ma la situazione non accenna a sbloccarsi. Dall'Europa, poi, non abbiamo proprio avuto risposta", continua il presidente di Puer.

Marco Mochi da anni accoglie una bambina di 12 anni, e una volta capito che non avrebbe potuto farla arrivare in Italia, è stata la famiglia italiana ad andare in Bielorussia. Si può fare ma solo attraverso Paesi terzi, non europei, come la Turchia, affrontando settimane di quarantena e il costo del viaggio che si triplica.

Va da sé che non tutti i genitori delle famiglie affidatarie possono permettersi una spesa simile; per alcuni gli unici collegamenti disponibili sono quelli tramite telefono. "Spiegarlo ai bambini è la cosa più difficile - riprende Marco Mochi -. Piangono, si disperano, non capiscono. Pensando che sia colpa loro. Questo nel migliore dei casi. Altri sono passati al mutismo. Si sono chiusi in loro stessi. Ѐ struggente perché sono ragazzi che hanno già subito il trauma dell'abbandono. E vivendo in orfanotrofio, noi siamo l'unica famiglia che abbiano mai conosciuto".

Il corridoio umanitario con Minsk è stato aperto 30 anni fa, per arginare le conseguenze della contaminazione dopo l'esplosione di Chernobyl. In 3 decenni in Italia sono stati ospitati 750mila bambini, per 3 mesi durante l'estate e 1 mese d'inverno.

"In Bielorussia alcune radiazioni persisteranno per 50 anni dall'avvenuto disastro, quindi questi ragazzi sono nella fase finale dell'inquinamento territoriale - ricorda il presidente di Puer -. Per non parlare del fatto che qui hanno un sostegno psicologico e controlli medici di base a cui non possono accedere nel loro Paese".

Quello che le Associazioni e le famiglie ospitanti si chiedono quindi è perché si stia ignorando la necessità di questo corridoio umanitario. Tanto più che, ricordano, in questi anni è stato sempre e tutto a carico delle famiglie affidatarie e dicono: "Questa cosa va risolta per il bene dei bambini".



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