lunedì 14 novembre 2022
Mirco Pegoraro ad di Geoplast, azienda padovana da quarant’anni specializzata nell’ingegnerizzazione e produzione di soluzioni in plastica rigenerata per l’edilizia sostenibile
Plastica sostenibile: «Chi vi ha detto che non si può?»
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«Lavoro con la “porcheria” fin da ragazzo quando, a mani nude, dividevo i residui delle materie plastiche, perché papà - un pioniere del settore – si occupava di rigenero. Dall’odore sapevo distinguere il polipropilene dal polietilene, acre il primo, dolciastro il secondo. Da adulto ho capito che bisogna fare grandi tecnologie con gli scarti, per perseguire contemporaneamente la sostenibilità ambientale e quella economica. E, se vuoi, come diceva mia nonna, non butti via niente». È questo il segreto di Mirco Pegoraro, cinquant’anni, amministratore delegato di Geoplast, azienda padovana da quarant’anni specializzata nell’ingegnerizzazione e produzione di soluzioni in plastica rigenerata per l’edilizia sostenibile. Imprenditore di professione e sportivo per hobby, Pegoraro è anche contadino per passione.

«Coltivo l’orto, allevo animali da cortile, produco frutta. Mi piace seguire il ritmo della natura, che d’inverno rallenta, sembra dirti “sto riposando”. Allora anch’io rallento, però tengo l’occhio vigile, preparo il terreno e scelgo che cosa piantare quando tornerà la bella stagione, che comincia presto, a cavallo tra febbraio e marzo. E, quando la natura si risveglia, non c’è più tempo, è “un’alluvione”». Proprio da questo amore per la natura nasce l’idea di realizzare prodotti meno impattanti possibile. «Il 99% dei nostri prodotti è di materiale plastico da recupero, rigenerato al 100%. Oggi molti stanno cominciando a perseguire questa strada, anche per rifarsi l’immagine. Ma per me non è una moda, ritengo giusto cercare di contenere l’inquinamento». Ingegnere elettrico, appassionato di motori elettrici, Pegoraro è anche ufficialmente un inventore. Lo ha sancito Epo (European Patent Office), che ne ha validato il progetto Geopanel come un “inventing step”, ovvero un’invenzione. Geopanel è una cassaforma in plastica riciclata che consente la realizzazione di diverse strutture in calcestruzzo (pareti, colonne).Si è chiusa così un’annosa vicenda che nel 2016 aveva visto una multinazionale del settore, la Peri, non solo presentare una soluzione identica in una fiera internazionale, ma anche accusare Pegoraro di essere lui l’emulatore.

«Dopo che Epo ha proclamato che il mio brevetto è unico, c’è stato un ulteriore risultato. A febbraio di quest’anno il Tribunale di Venezia ha inibito a Peri di produrre e commercializzare in Italia il loro prodotto, chiamato Peri Due. C’è da parte mia la soddisfazione che mi sia stata attribuita in sede legale la paternità dell’opera. Ma mi resta un rammarico. Perché il contenzioso è durato ben undici anni. Undici anni in cui si sarebbero potuti tagliare meno alberi (perché di solito la cassaforma è in legno o acciaio, ndr), undici anni durante i quali si sarebbe potuto costruire con soluzioni più economiche, undici anni in cui avremmo potuto diffondere su larga scala un prodotto buono, con caratteristiche di leggerezza e semplicità adatte soprattutto ai Paesi del sud del mondo, dove la manodopera è meno specializzata, undici anni buttati via insomma. Anche perché il brevetto scadrà a breve e a quel punto chiunque potrà commercializzarlo, com’è giusto che sia. Perché un’invenzione ha senso se viene resa disponibile a tutti». Con Geopanel sono state realizzate grandi opere: dallo stadio olimpico di Sochi in Russia, al Terminal 1 dell’aeroporto internazionale di San Francisco, ai muri di fondazione presso il nuovo centro di eccellenza in Biologia-Farmacia-Chimica dell’Università di Paris-Sud, ma anche varie costruzioni in Togo, Sudafrica, Congo, Ruanda, dove sarebbe stato molto difficile procedere con i sistemi tradizionali. Non male per un’azienda che fattura all’anno 30 milioni di euro, il 50% in Italia, l’altro 50% dall’estero. La sfida per Geoplast è la crisi climatica: circa il 10% degli investimenti è nella ricerca e nello sviluppo di prodotti innovativi, soluzioni efficaci, per esempio per quanto attiene i sempre più frequenti fenomeni meteorologici estremi. «Quanto è successo recentemente nelle Marche e in Umbria grida vendetta. Perché gli strumenti per capire quali sono le problematiche li abbiamo, ma bisogna utilizzarli. Siamo in grado di sapere per ogni area della penisola qual è il livello massimo di piovosità. L’Italia è un territorio ricco di fiumi, geologicamente fragile. Non sappiamo quando, ma sappiamo che ci saranno cicloni, che ci saranno sismi ed alluvioni. Al momento, alle esondazioni si può far fronte solo creando degli invasi, perché non c’è il tempo per mettere mano alle urbanizzazioni esistenti. Ma le nuove urbanizzazioni invece devono essere ad impatto zero. Significa che ogni goccia che cade sul tetto di un edificio, deve poter essere assorbita dal terreno sottostante. Oggi le tecnologie ci sono, i progettisti le conoscono, ma le municipalità spesso sonnecchiano. Invece, serve rapidità. E chi non agisce, va sanzionato».

Di invasi Pegoraro parla con cognizione di causa. Infatti, tra i suoi prodotti c’è Acquabox, un sistema modulare ad alta capacità per la ritenzione, infiltrazione, smaltimento e riutilizzo di acqua piovana. In parole povere, è un bacino, ma non a cielo aperto, che vuole salvaguardare gli equilibri idrogeologici. «Quando piovono 60 millimetri d’acqua in trenta minuti, moltiplicati per i metri quadri della superficie che intendi realizzare (parcheggio, edificio, pista di decollo...), quei sessanta millimetri diventano metri cubi. Tutta quest’acqua non la puoi far confluire in qualche canale che ingrosserebbe, devi cercare di stoccarla nel terreno. Acquabox raccoglie l’acqua piovana, che così non si riversa sul territorio in tutta la sua quantità e potenza devastatrice. Passato l’evento, piano piano l’acqua viene drenata dal terreno. Se ne può anche tenere una parte, che potrebbe essere utile per irrigare in casi – come è accaduto quest’estate – di siccità eccessiva. Creare prodotti sostenibili, però, non è sufficiente. Oggi è necessario soprattutto creare cultura. Dobbiamo sapere che il pianeta è vivo e ci dà dei grattacapi. Siamo noi ad essere sciocchi se costruiamo abitazioni in prossimità del cratere di un vulcano».© riproduzione riserva

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