venerdì 21 giugno 2024
LU-VE, sostenibilità oltre le Benefit
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Nello scrivere i brevi racconti aziendali di questa rubrica, ho pensato che il rischio potesse essere quello di dipingere le Società Benefit come le uniche realtà capaci di guidare il cambiamento verso la sostenibilità, intesa come strategia d’impresa per il bene comune. La Società Benefit è un modello d’impresa che ben rappresenta questa visione, quello che io stesso ho scelto per la mia società di consulenza, ma tante aziende che non sono Benefit, o non lo sono ancora, aderiscono a questo paradigma con più o meno naturale consapevolezza. Il libro “Medie eccellenti” parla di un modello italiano di management e, attraverso una ricerca condotta dall’Università Cattolica, individua un 22% di imprese italiane che incarnano questo paradigma che le porta ad avere successo e a rappresentare l’Italia nel mondo.


In questo articolo voglio soffermarmi su una di queste, LU-VE Group che non è una Società Benefit, per quanto siano già state fatte delle riflessioni su questo passaggio. LU-VE è una realtà con un’identità aziendale tipica di numerose aziende italiane, i cui valori attingono alla tradizione di cui ho scritto anche nel mio libro “Verso un’economia Integrale”. Ne parlo con Fabio Liberali, socio fondatore con il fratello Matteo e la famiglia Faggioli, e Chief Identity and Communication Officer. «Siamo nati nel 1985 e oggi siamo tra i maggiori costruttori mondiali nel settore degli scambiatori di calore. Una realtà internazionale con 20 stabilimenti produttivi in 9 diversi Paesi e presente commercialmente in altri 100. Attualmente il nostro organico conta circa 4.000 collaboratori qualificati, di cui 1.200 in Italia».

Caso vuole che incontri Fabio in un giorno in cui altri due imprenditori mi hanno parlato di persone e capitale umano con enfasi e passione, così cerco di capire meglio le loro scelte a riguardo. «Dal 1985 ad oggi il nostro fatturato è cresciuto di circa 60 volte, fino agli attuali 600 milioni, siamo quotati in Borsa, ma la nostra crescita è stata sempre ispirata da ciò che ci ha trasmesso nostro padre Iginio quando sosteneva che “le aziende sono fatte prima di donne, uomini e idee e poi di tutto il resto”. Questo è il nostro imprinting sul Capitale Umano. Lui che prima di lasciarci faceva di tutto per stare tra le sue persone in fabbrica e capire se tutto andasse bene o se c’erano attenzioni particolari da riservare a ciascuna. Era un uomo retto e di grande spiritualità e noi proviamo a proseguire nel suo solco».

Queste ultime parole mi appartengono più di altre perché la sfida delle imprese “sostenibili” sarà legata alla capacità di tradurre i grandi valori dell’umanità e dello spirito in azioni manageriali e organizzative e chiedo a Fabio in cosa si concretizzi questa loro passione per l’umano. «Probabilmente in tante cose che facciamo per radicare la cultura aziendale nel nostro fare. Sul fronte della ricerca e della crescita delle competenze, penso alla nostra collaborazione con circa 30 università situate in 13 Paesi, in modo continuativo con il Politecnico di Milano, oppure alla creazione di borse di studio per i figli dei nostri collaboratori in modo che chiunque abbia la possibilità di studiare e crescere. Altre ancora sono le scelte di cui siamo fieri, come l’organizzazione di quelli che chiamiamo break formativi sulla sicurezza, sviluppati in reparto accanto alle persone, divenuti un modello per tante aziende e grazie ai quali abbiamo abbattuto drasticamente gli infortuni. Oppure l’investimento nella qualità del ristorante aziendale, così che la pausa pranzo diventi un momento di vero ben-essere. Ciò che forse abbiamo più a cuore è la presenza di una cooperativa sociale nella quale lavorano circa 30 persone con fragilità psichiche e intellettive, che per noi sviluppa lavori interni. Un altro modo per favorire l’inserimento sociale e l’integrazione e dire grazie a chi ci ha permesso di arrivare fino ad oggi».
Non credo ci sia altro da aggiungere ma forse solo qualche riflessione in più da fare. Per tutti.


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