mercoledì 2 giugno 2021
L’economista indo-britannico ha ridisegnato il rapporto economia-ecologia concependo la biosfera come "asset", "partner" e "valore indipendente"
La biodiversità di Partha Dasgupta
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Siamo tutti abitanti di sfere. Sfere sociali, familiari, politiche, urbane. Alcune sfere sono sempre state intorno a noi, altre le abbiamo conosciute da poco. In quest’ultima categoria rientra ad esempio l’infosfera, cioè quello spazio interstiziale tra il virtuale e il reale – on-life, per usare le parole del filosofo Luciano Floridi – nel quale ci muoviamo (semi)consapevoli. Anche gli economisti si occupano di sfere. Spazi monetari, finanziari, di commercio, d’impresa. L’economista indo-britannico Partha Dasgupta, professore emerito di Economia a Cambridge, dal 2002, Sir per nomina regia di Elisabetta II, ha ribadito ai suoi colleghi che c’è tuttavia uno spazio che gli economisti hanno ignorato o male interpretato. È una sfera più antica dell’uomo e di ogni economia, ma che da sempre ha condizionato e viene condizionata da entrambe: la biosfera. Un termine complesso, che per Dasgupta ha un significato ben preciso: l’ecosistema di tutti gli ecosistemi, ciò che noi semplicemente chiamiamo natura. In che rapporti sono oggi economia e natura? A questo interrogativo Dasgupta è stato invitato a rispondere dal dipartimento del Tesoro Britannico nel 2019 e la risposta, frutto di un lavoro biennale, sintesi di cinquanta anni di studio dell’Economia dello sviluppo, è diventata un rapporto di seicento pagine dal titolo The Economics of Biodiversity: The Dasgupta Review. Il 5 Maggio 2021, a pochi mesi dalla pubblicazione della review, Dasgupta è stato ospite della Economy of Francesco School. Ancor prima del contenuto, è la genesi dell’opera che ci colpisce: «Se non mi avessero invitato a fare una cosa del genere, mai sarei riuscito a pensarla nella sua attuale forma».

È bello questo commento di Dasgupta. Quante cose nella vita, anche nelle sfere più 'alte', iniziano con una chiamata, perché qualcuno ha visto il nostro 'non ancora' che da soli eravamo incapaci di vedere. Per Dasgupta la promessa di futuro era anche iscritta nei geni. Il padre, Amiya Kumar, fu uno dei pionieri degli studi su economia e sviluppo, maestro di quella tradizione di economisti indiani e bengalesi che tanto hanno arricchito il pensiero economico – nell’obituario di Amiya Kumar, Amartya Sen, suo studente e premio Nobel nel 1998, definì Dasgupta senior «uno dei veri pionieri dell’economia dello sviluppo ». Ma torniamo allo sguardo dell’economista sulla natura. Se Dasgupta ha scritto una re-view, letteralmente un riguardare, vuol dire che le lenti d’osservazione adottate in precedenza erano appannate. Tanti economisti avevano considerato la biosfera come il contesto della vita economica, un elemento neutro da non far rientrare nelle funzioni d’utilità individuali e sociali. Altri avevano posto la loro attenzione sulle risorse naturali della biosfera – fonti energetiche, sementi, risorse idriche ed ittiche – elementi da sfruttare al servizio del benessere umano. Anche gli economisti che si erano opposti a questo binomio indifferenzasfruttamento, secondo Dasgupta, avevano una prospettiva miope: proponendo penalità economiche per chi intenzionalmente o collateralmente danneggiava la biosfera avevano fatto passare l’idea che, pagando, fosse legittimo espropriare la Natura. Da qui la necessità di ripensare il rapporto economista-natura o, ragionando per discipline, economia- ecologia. La biosfera è caratterizzata dalla biodiversità, cioè dalla coesistenza ed equilibrio di numerosi sistemi complessi.

Ecco perché l’economista non può indossare un’unica lente nell’osservarla. Dasgupta ne propone almeno tre. In primo luogo la biosfera è un asset: dobbiamo imparare a riconoscere il contributo della natura alla nostra prosperità, le tante funzioni che essa assolve senza ricevere un compenso (regolazione del clima, fertilità del suolo, mantenimento di ecosistemi). In secondo luogo la biosfera è un partner, cioè una delle parti interessate dalla produzione e distribuzione della ricchezza del sistema economico. Come tale, dovremmo considerarla in un’ottica di reciprocità e mutuo vantaggio: non chiederemmo ad una persona di scambiare contro il suo interesse o oltre le sue possibilità. Con la natura lo stiamo facendo, la nostra domanda supera di molto l’offerta: stiamo dilapidando risorse naturali, perdendo biodiversità vegetale e animale e a lungo termine, come in tutte le relazioni di mutuo vantaggio, quando una parte è svantaggiata soffriranno entrambe. La perdita di biodiversità non è tanto un danno per i Paesi ricchi che hanno standardizzato i processi di produzione ed estrazione, ma lo è per quelli poveri che vivono più in simbiosi con la diversità e generosità della natura – quando non viene espropriata da pratiche colonialiste. Il grido della terra e il grido dei poveri, come ci ha ricordato Papa Francesco nella Laudato Sì, ma a volte il grido della terra è anche il grido dei poveri. Infine, per Dasgupta la biosfera ha un valore indipendentemente dal vantaggio che potremmo trarne. Ritorna qui forte l’idea che l’essere umano esprime una delle parti più belle di sé quando ha cura degli altri senza aspettare un ritorno. Nelle seicento pagine di Review Dasgupta avanza alcune proposte, ma il vero obiettivo è quello di suscitare nel lettore le domande giuste. Per questo i messaggi principali della review sono tradotti in tante lingue e disponibili gratuitamente. Come Antonio Genovesi, padre dell’Economia civile, Dasgupta parla 'come tra noi si parla' perché ha a cuore l’essere capito, non ammirato.

*Ricercatore in Filosofia ed Economia (Centro Universitario Cattolico) e Visiting Scholar alla Erasmus University Rotterdam santori@esphil.eur.nl

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