venerdì 25 marzo 2022
L’ex vicedirettore della Banca d’Italia, analizza la storia della disuguaglianza, esplosa negli ultimi 40 anni: «Ma il vero problema è la povertà»
L'ex direttore della Banca d'Italia Pierluigi Ciocca

L'ex direttore della Banca d'Italia Pierluigi Ciocca

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Pierluigi Ciocca entra con sapienza e determinazione nel tema più drammatico e urgente degli ultimi anni. Lo fa con un libro di 164 pagine, edito da Einaudi, e intitolato eloquentemente Ricchi e Poveri. Storia della diseguaglianza. Economista, storico, uomo di sinistra, per anni vicino a Ciampi, figura chiave della Banca d’Italia dove ha condotto la sua lunga carriera fino a diventare vicedirettore, Ciocca non si accontenta di descrivere la piaga della diseguaglianza che affligge il pianeta ma traccia la sua storia plurimillenaria, ne individua le cause e propone rimedi. Commentando la sua ultima opera con Avvenire, ribadisce e sottolinea alcuni concetti: «Il problema vero della nostra epoca è la povertà, un minimo di diseguaglianza si può accettare. Ricordiamo che anche Dante, acutamente, mette gli Invidiosi, colpevoli di destabilizzare le società, nel Purgatorio lasciando loro la possibilità di espiare ». E le diseguaglianze? Certo è d’obbligo lo sdegno morale sui tempi che corrono, ma per chi come Ciocca conosce il pensiero degli economisti, non è una novità. Forse Keynes non aveva definito il capitalismo 'ingiusto' e tale da 'incoraggiare i peggiori istinti'. E il vecchio Karl Marx? Non pensava che si trattasse in definitiva di sfruttamento dell’uomo sull’uomo? Le cose sono peggiorate ultimamente e Ciocca lo documenta: le ultime stime indicano che all’1% più ricco fa capo il 45% del patrimonio complessivo e Forbes dice che sono 2.000 i miliardari in dollari nel mondo. Perché si è venuta a determinare questa situazione vergognosa? L’alba dell’umanità e l’epoca antica non ci aiutano molto: le bande di cacciatori primitivi dividevano equamente la preda abbattuta a colpi di clava perché anche il compagno più gracile avrebbe potuto essere utile in futuro. Non ci aiutano la peste e le pandemie: sul finire dell’Impero romano e nel 1300 la 'morte nera' ridusse le diseguaglianze per il semplice fatto che tolse risorse agli unici che avevano da perdere, cioè i più ricchi. Nei tre secoli che hanno preceduto la rivoluzione industriale la ricchezza è frutto del potere e non viceversa, le economie ristagnano, le diseguaglianze avanzano e la povertà resta alta, cristallizzata, segnata da torme di vagabondi e diseredati. Situazioni non raffrontabili con il moderno assetto di una economia. È solo negli ultimi due secoli, con la nascita del capitalismo e del lavoro salariato, che la storia delle diseguaglianze comincia a suggerirci da lontano la strada giusta per l’oggi.

Dall’Ottocento in poi, osserva Ciocca, «l’economia di mercato capitalistica ha dato all’umanità uno sviluppo senza eguali nella storia». Ma c’è una differenza sostanziale, pur nel comune orizzonte capitalistico, nei 200 anni in questione: nell’Ottocento vincono i profitti e le diseguaglianze svettano. Nel Novecento la musica cambia: leghe e sindacati, tassazione progressiva, pensioni pubbliche e Welfare hanno aumentato il potere d’acquisto. Ma soprattutto le aziende, in cerca di innovazioni e progresso tecnico, «hanno accettato di riconoscere più alti salari perché la loro dinamica seguiva quella della produttività del lavoro ». Soprattutto nell’età d’oro post Seconda guerra mondiale quando le Istituzioni prevalgono sul Mercato, cioè agiscono meccanismi di Welfare e redistribuzione. La crisi vera è oggi. A partire dagli ultimi quarant’anni quando le forze del Mercato sono state improvvisamente «rese libere di esprimersi come da decenni non avveniva». Globalizzazione, sindacati deboli, manodopera a basso costo in India e Cina. A conti fatti, nel periodo del Far West neoliberista, la quota di redditi dell’1% più ricco è risalita al 20% negli Usa e 10-15% in Europa. Che fare? Non certo illudersi su formule come 'capitalismo diverso' o 'superamento del capitalismo'. Invece bisogna ritrovare la crescita, facendo leva sull’uguaglianza: l’Ocse, dice Ciocca, ha stimato che la riduzione di un punto dell’indice di Gini, che misura la diseguaglianza, favorisce la crescita del Pil di 0,8 punti nel successivo quinquennio. Dunque deve tornare lo Stato, bisogna ampliare il Welfare: reddito minimo e sostegno per i figli. Però, attenzione. «Gli squilibri distributivi sono da prevenire intervenendo a monte, sui processi che li generano», dice lo storico ed economista. E le risorse? Vanno prese dalla lotta all’evasione perché finanza straordinaria e tassazione di patrimoni e successioni hanno «controindicazioni economiche, amministrative e politiche».

Sembra finita qui, ma Ciocca gioca una carta in grado si sparigliare il dibattito focalizzato sulle differenze e le stratificazioni dei redditi e dei patrimoni. «Il problema delle diseguaglianze c’è – osserva conversando con Avvenire – ma anche Keynes diceva che un po’ di diseguaglianze possono essere tollerate. Anche perché negli ultimi anni si è affacciato un tema di opportunità politica: incidere sui redditi dei ceti medi può fomentare tensioni sociali come si è visto negli Usa e in Francia». Ciocca ritorna a Dante che, con la citazione che conclude un po’ ambiguamente il suo libro: forse gli Invidiosi possono aspirare di passare dal Purgatorio al Paradiso accettando un modesto grado di diseguaglianza dovuta al merito e accontentarsi di 'spuntare' la ricchezza smodata. Perché? Perché il vero punto sul quale battere è piuttosto quello della povertà. Ciocca definisce una vergogna che nel mondo ci siano 736 milioni di persone in povertà assoluta (il 10% del genere umano), che negli Stati Uniti ci siano 30 milioni di persone nella stessa condizione e che in Italia coloro che non superano i 700 euro al mese di entrate, nel post-pandemia, abbiano raggiunto i 5,6 milioni di unità. «Basterebbe un punto di Pil per risolvere il problema e Draghi dovrebbe agire per non farsi rubare da altri questa bandiera», è il commento di Ciocca. Il dibattito è aperto: si attendono sviluppi.

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